Cultura & Società

Fisc, un libro su don Giuseppe Cacciami: «un gigante, dall’entusiasmo contagioso»

Per Zanotti, «o generiamo e lasciamo un segno, o la nostra vita non ha senso. La fecondità di monsignor Giuseppe Cacciami è stata esagerata. Lui ha sempre risposto alla chiamata, ed è lì che troviamo il nostro compimento». Secondo il presidente della Fisc, don Cacciami ha lasciato «un’eredità che definire formidabile è poco, e ne siamo immensamente grati. Come siamo grati ad un altro piemontese, monsignor Franco Peradotto. Ci hanno consegnato un’eredità che dobbiamo essere in grado di accogliere». Anche nella sua esperienza alla presidenza della Fisc, «non mi sono mai sentito solo», ha detto Zanotti, citando monsignor Cacciami che – ha ricordato – «già nel 2001 mi aveva detto che sarei diventato il primo presidente laico della Fisc». «Don Cacciami – ha proseguito – aveva un’efficacia nell’uso della parola che sapeva far vibrare chi lo ascoltava o leggeva, una capacità che invidio molto. Questo perché ascoltava il suo cuore e trovava sempre il tempo per pregare». Ripercorrendo il decalogo di don Cacciami sul giornalismo cattolico, Zanotti ha affermato che «don Giuseppe ci dice che la fede c’entra con la cultura e viceversa e ciò che la Chiesa investe in questo campo non sono soldi sprecati».

«Don Giuseppe Cacciami non era un sognatore, aveva un sogno. Cioè grandi visioni, grandi orizzonti, grandi respiri che lui ha espresso come sacerdote, come educatore e come giornalista», ha detto Paolo Bustaffa, già direttore del Sir, nel corso della presentazione del libro da lui stesso curato. Parlando del titolo dato alla pubblicazione, Bustaffa ha fatto riferimento a due icone: «la prima è tratta da un racconto di Marco Zacchera riproposto nel libro: don Giuseppe che cammina nella piazzola alberata accanto a San Vittore e aveva sempre con sé il brevario per la sua preghiera. Quando qualcuno si rivolgeva a lui la risposta era: ‘prima il mio dialogo con Dio, poi tratterò anche di questioni umane’». «Quindi – ha aggiunto – l’immagine di un sacerdote con i piedi ben piantati per terra ma con il pensiero rivolto più in alto e più lontano». «La seconda icona viene dal Monte Rosa, lui che era valsesiano. Mi ha fatto venire in mente la frase dell’alpinista Bonatti che diceva: ‘Chi più in alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna». «Si tratta non solo di una montagna fisica, ma anche interiore che ciascuno di noi è chiamato a scalare ogni giorno come faceva don Giuseppe». Bustaffa ha anche ricordato la frase storica di don Cacciami: «si lotta», «con la quale esprimeva la fatica di camminare verso l’altro». «Non si può raccontare don Giuseppe solo con un libro», ha concluso Bustaffa, che si è augurato che «dalla lettura di questo libro traiamo motivi per una maggior nostra presenza nella storia, nella vita quotidiana, sul territorio ma anche nel mondo. Questo don Giuseppe lo chiedeva sempre con grande passione».

Un grande europeista. Per Francesco Bonini, «oggi più che mai abbiamo bisogno di misurarci con figure come quella di don Cacciami. Di persone nella propria vita hanno toccato diverse esperienze, diverse storie, diverse sfide». Per il rettore della Lumsa, intervenuto alla presentazione del volume, monsignor Cacciami è stato «un prete geniale, perché capace di essere sempre dentro ai problemi e allo stesso tempo osservarli con uno sguardo che giungeva dal di fuori». «Mi sono riparametrato sulla vita di don Cacciami – ha aggiunto Bonini – cercando di rispondere all’interrogativo sul periodo vissuto dal movimento cattolico italiano, anche alla luce del pontificato di Papa Francesco». «Don Cacciami – ha continuato – era un grande europeista, anche perché ha attraversato personalmente il continente. Ed era convinto dell’importanza dei tre piani – locale, nazionale, sovranazionale – in continua collegamento». Parlando di «Più in alto più lontano», Bonini l’ha definito «un libro da percorrere, una biografia viva che stimola al confronto sui grandi temi dell’oggi e che sono temi ineludibili». «Confrontarci con figure come quella di monsignor Cacciami – ha proseguito – è utile e importante per dare gambe al pontificato di Francesco e per riflettere la presenza dei cattolici in Italia sui piani locale, nazionale e sovranazionale». «Don Cacciami – ha concluso – era del parere che doveva esserci interlocuzione aperta, critica, franca. Anche per questo noi gli siamo grati».

Prete, educatore e giornalista. In apertura della presentazione del libro è stato letto un messaggio inviato dal cardinale Camillo Ruini. «Prete, educatore e giornalista. Don Giuseppe – per Ruini – è stato a pieno titolo ciascuna di queste tre cose e lo è stato in maniera del tutto unitaria: la sua era una personalità polivalente ma senza divisioni interiori». Nel suo contributo il cardinale Ruini ricorda quando nel «1986, fresco di nomina a Segretario della Cei» a Pera di Fassa, durante le vacanze estive, «don Giuseppe mi propose di dar vita, Fisc e Cei insieme, a un’agenzia di stampa, al servizio dei settimanali cattolici ma che fosse anche un primo strumento nazionale di comunicazione riconducibile alla Conferenza episcopale». «La proposta mi spaventò un poco», rivela, perché «il bilancio della Cei era davvero minimo» ma «prima di lasciare Pera di Fassa don Giuseppe era riuscito, con il suo entusiasmo contagioso, a strapparmi un sì, sia pure soltanto di massima».

«Ha trasmesso vita». «Don Cacciami è stata una persona che ha trasmesso vita, che l’ha generata. E chi genera vita lascia un segno, una traccia di sé nella storia», ha affermato da parte sua il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, nell’omelia durante la celebrazione eucaristica che ha presieduto a Verbania in occasione del quarto anniversario della morte di don Giuseppe Cacciami. Parlando di don Cacciami, «una figura di rilievo che ho incontrato solo una volta e di cui ho poi celebrato il funerale, il primo di un sacerdote da quando sono vescovo di Novara», monsignor Brambilla ha affermato che «don Cacciami appartiene alla categoria degli ‘animali fondativi’, che ha saputo realizzare il suo universale nel particolare, che per lui è stata la comunicazione. È lì che ha concentrato la sua potenza di vita». «Molti – ha ricordato il vescovo di Novara – hanno detto che don Cacciami è stato un genio della parola, tutti leggevano il giornale per i suoi spilli».