Cultura & Società
Beni ecclesiastici, inventari e telecamere per combattere i ladri d’arte e cultura
Obiettivi privilegiati dalla criminalità. «L’inventario del patrimonio ecclesiastico conta attualmente circa 3.800.000 schede, disponibili online sul portale Beweb (www.chiesacattolica.it/beweb), e ogni anno le diocesi realizzano oltre 400 impianti di sicurezza per le chiese», esordisce monsignor Stefano Russo, direttore dell’Ufficio Cei per i beni culturali ecclesiastici. Eppure «i luoghi di culto permangono tra gli obiettivi più colpiti dalla criminalità predatoria di settore», rileva il generale Mariano Mossa, comandante del Nucleo Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, in una lettera inviata ai Comandi locali per informare e sensibilizzare i responsabili degli istituti religiosi e i parroci. Il 40% dei beni trafugati, secondo l’Arma dei Carabinieri, proviene infatti dalle chiese. Dal furto di una pala d’altare del Guercino, lo scorso agosto, nella chiesa di San Vincenzo a Modena, a quello dell’anello e del crocifisso del santo vescovo di Macerata, Vicenzo Maria Strambi, avvenuto a metà giugno, passando attraverso numerosi altri episodi altrettanto gravi ma con minore risonanza sui media, «gli oggetti ecclesiastici sottratti nel 2014 sono aumentati del 2,4% rispetto al 2013 e tale dato trova conferme nel trend registrato nel 1° trimestre di quest’anno», prosegue il comandante. E ciò nonostante un’attività preventiva che, nel 2014, ha permesso una riduzione del 9,5%, rispetto all’anno precedente, dei furti nei luoghi di culto.
L’importanza della prevenzione. Il report dell’attività operativa condotta nello scorso anno dai Carabinieri parla di 38.488 beni antiquariali, archivistici e librari recuperati, per una stima di oltre 80 milioni di euro. Eppure, nonostante la prevenzione, «il patrimonio religioso rimane fonte di costante preoccupazione, per la non completa catalogazione dei beni e per la parziale sicurezza degli edifici di culto», osserva il report, ricordando che «la sottrazione dei beni religiosi, oltre a causare danno materiale e patrimoniale, segna profondamente le comunità locali, trattandosi di beni particolarmente significativi sotto il profilo della memoria collettiva e della sensibilità religiosa». Oltre alle informazioni disponibili sul portale Beweb, ogni opera inventariata confluisce anche in una dettagliata banca dati a disposizione delle forze dell’ordine. «Molti beni – chiarisce monsignor Russo – si sono potuti recuperare perché, quando sono stati ritrovati, erano chiaramente attribuibili ai loro legittimi proprietari, perché precedentemente inventariati. Viceversa, in assenza di un inventario, sorgono spesso diatribe». Per sensibilizzare i responsabili dei luoghi di culto circa la necessità di tutelare i beni loro affidati, Cei, Carabinieri e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno pubblicato, lo scorso novembre, delle «linee guida», che vanno dalla «conoscenza dei beni mobili e immobili» alla necessità di presidiare le chiese negli orari di apertura, dalla tutela dei beni pregevoli (anche attraverso la loro sostituzione con copie, o con l’utilizzo di ganci e staffe per ancorare i quadri alle pareti) alla sicurezza dell’edificio (con porte rinforzate, serrature antiscasso, impianti d’allarme e videosorveglianza).
Chiese aperte con sicurezza. Accorgimenti che, in fondo, servono a conciliare fruibilità dell’edificio di culto e sicurezza del patrimonio che contiene. «È bene che le Chiese siano aperte, ma bisogna tenerle aperte con sicurezza», chiarisce il direttore dell’Ufficio Cei. Ben venga, quindi, l’impegno dell’associazionismo e del volontariato culturale e cattolico, assieme ad accorgimenti come l’apertura di un unico ingresso quando non ci sono funzioni liturgiche – per controllare chi entra e chi esce – e la chiusura di eventuali passaggi vicino alle zone in cui si trovano le opere più appetibili per i ladri d’arte. Ma, nell’Italia dei mille e mille campanili, capita di scovare opere d’arte e tesori preziosi pure in chiese quasi abbandonate, che vengono aperte poche volte l’anno. In questi casi «è un dovere metterli in sicurezza», e qui entrano in gioco i musei diocesani «per proteggere quei beni e al tempo stesso renderli fruibili». Perché non solo sono preziosi, ma fanno parte della cultura, della devozione e della sensibilità religiosa di un popolo. E questo non ha prezzo, né si può rinchiudere in cassaforte.