Cultura & Società
Quando il vento della Verna produceva elettricità
«L’affluenza sempre maggiore dei pellegrini al Santuario Francescano della Verna si legge in una relazione dell’epoca rende necessario lo studio di diversi problemi, la cui soluzione rapida e radicale diventa di più in più impellente ed indispensabile. Il numero dei visitatori è salito fino a 1200 al giorno e si avvicina a 100.000 all’anno». Per questo motivo, uno dei problemi più importanti era quello di dotare il Santuario di acqua potabile necessaria, perché l’antico cisternone non ne poteva fornire a sufficienza sia per le esigenze «moderne» sia per l’igiene. C’era poi la necessità di avere quantità sempre maggiori di acqua per la coltivazione degli ortaggi, non tanto per l’uso del convento quanto per il consumo da parte delle migliaia di pellegrini. I bravi frati francescani della Verna, abituati a limitare al massimo le loro necessità e a saper trovare nella natura tutto ciò che è indispensabile per il loro fabbisogno quotidiano, oltre ad essere riusciti con secolare costanza e amore a trasformare il «crudo sasso» su cui avevano costruito il loro eremo in una delle più belle e suggestive foreste della Toscana, non esitarono a chiedere aiuto al francescano «frate vento» per il compimento dell’opera atta a risolvere i loro nuovi problemi. Il «rotone» era alto ventisette metri, con un diametro di quindici, e azionava due dinamo: una. della forza di 28 cavalli-vapore, per lo sviluppo della corrente elettrica e l’altra, della forza di 12 cavalli-vapore, per il sollevamento dell’acqua che doveva essere pompata per circa 200 metri di dislivello dalla sorgente che tuttora si trova alla base della rupe su cui sorgono il convento e il santuario. Una considerevole quantità di energia serviva, seppure per alcune ore al giorno, per il funzionamento del monumentale organo di cinquemila «canne», fino ad allora azionato per mezzo di mantici, suonato all’epoca dal famoso organista Padre Virgilio.
La necessità di produrre in proprio energia elettrica veniva anche dagli alti costi praticati dalla Società Elettrica Selt-Valdarno: 1 lira/Kwh (circa 2000 lire di oggi).
Nonostante che il vento soffiasse pressoché di continuo su quel crinale che si erge isolato tra il Casentino e la valle del Tevere fino a 1200 metri di altitudine sulla cima del Monte Penna, era stato prudentemente pensato al modo di non far mancare l’energia necessaria neppure durante gli eventuali periodi di calma atmosferica. «Per i giorni, infatti, in cui il tramontano o il libeccio, i due venti dominanti, lasciano silenziosa la selva ha scritto un cronista dell’epoca provvede una batteria di accumulatori, caricatisi nei giorni di vento; con 65 elementi questi accumulatori possono illuminare il vasto Santuario per sei giorni consecutivi. L’acqua è stata trovata con una perforazione di 190 metri e di lì viene sollevata dallo stesso rotone nella quantità di un litro al secondo».
In uno dei due timoni di orientamento dell’impianto sono stati riportati i versi del Cantico delle Creature «Laudato sii mio Signore per frate Vento». Il progetto e l’esecuzione dei lavori per l’impianto eolico furono affidati all’ing. Walter Rothembach, di nazionalità tedesca, residente a Firenze in Viale Principessa Margherita (oggi Viale Spartaco Lavagnini) al n° 19.
Se San Francesco tornasse a benedire la nostra madre terra, fra le creature del suo cantico, accanto alla sorella acqua «umile, pretiosa et casta» e a «frate vento» includerebbe anche «sorella elettricità» che offre oggi tanti conforti a tutti i devoti che visitano il rifugio dove il «giullare di Dio» ricevette l’«ultimo sigillo».