DI ELISABETTA CASELLIDominique Lapierre è uno di quegli autori che vorresti conoscere di persona. E quando hai la fortuna di incontrarlo non ti delude. È un signore dall’aria mite ma decisa, dal look un po’ dimesso, lontano dallo stereotipo alla moda, con uno sguardo e una vivacità di linguaggio che ti affascinano. Ti colpisce per quel suo parlare in italiano «francesizzato» e soprattutto per ciò che riesce a trasmetterti. Considerato uno dei grandi scrittori viventi, in questi anni si è dedicato ai diseredati dell’India e i suoi libri sono tutti bestseller internazionali, pubblicati in più di trenta lingue e letti da oltre cento milioni di persone. Nel 1980 decise di realizzare un sogno che gli stava a cuore fin dal suo primo soggiorno in India, in occasione della stesura di Stanotte la libertà: fondare un’associazione di assistenza per i figli dei lebbrosi di Calcutta. È nel corso delle sue visite ai bambini che Lapierre scopre un giorno l’affascinante mondo descritto nel suo libro più conosciuto: La città della gioia. Dal 1985 al 1990 ha diviso il suo tempo tra Benares, New York, Gerusalemme e Parigi per ricostruire la grande avventura di Più grandi dell’amore, mentre in Mille soli racconta se stesso e la nostra epoca attraverso gli incontri con personaggi straordinari, luoghi ed eventi che hanno segnato la sua intensa vita di giornalista-romanziere. In questi giorni Lapierre è in Italia per presentare il suo nuovo libro, Mezzanotte e cinque a Bhopal, scritto con la collaborazione del giornalista Javer Moro. Un racconto vibrante, sensibile, pieno di amore e di eroismo, riccamente documentato sulla tragedia di Bhopal i cui protagonisti sono la vera gente del posto con cui lo scrittore ha trascorso mesi e mesi nei quartieri poveri della città. Incontriamo lo scrittore francese a Prato dove è stato invitato dal Centro culturale cattolico. L’iniziativa era in collaborazione con la Mondadori e con la libreria pratese «Soprattutto libri». Signor Lapierre, lei non ha mai smesso di percorrere il mondo all’inseguimento delle grandi epopee umane. Ha conosciuto uomini, luoghi ed eventi che hanno segnato la sua intensa vita di giornalista e scrittore. Con questo nuovo romanzo è riuscito a riportare alla ribalta la grande tragedia di Bhopal che sembrava dimenticata. Cosa direbbe agli uomini più potenti del mondo e cosa ai più diseredati? «Un anno dopo la catastrofe dell’India è successa la tragedia nucleare di Chernobyl in Europa e questo ha fatto dimenticare i morti indiani. Vale forse di meno la vita di un indiano? Per questo ho scritto di Bhopal e anche per ricordare che ci sono molti Bhopal nel nostro mondo. Due mesi fa a Tolosa, nel sud della Francia, è scoppiata una fabbrica chimica. Nei nostri Paesi ci sono 1209 fabbriche ad alto rischio perché l’arroganza tecnologica di questi ingegneri è incredibile, sono sicuri che le misure di sicurezza siano perfette, ma tutto questo è un errore. Rivolgendomi agli uomini più potenti direi di condividere di più la loro abbondanza con i poveri del mondo. Dobbiamo fare in modo che questa gente riceva più giustizia, perché, senza la capacità di condividere, il domani sarà molto difficile. Ai più disperati direi che non sono così disperati perché credo nell’amore». Chi è, se c’è, il responsabile della catastrofe di cui parla nel libro?«Non c’è un responsabile, è tutta una catena di responsabilità e questo è molto importante perché è una storia che può succedere in tutti i paesi del mondo dove ci sono le industrie chimiche. Sull’ultimo presidente della Union Carbide pesa un mandato di cattura dell’Interpool, ma non è mai stato trovato. Lui non è un terrorista come Bin Laden, ma ha contribuito ad uccidere un numero di persone sei volte superiore a quello delle Torri Gemelle di New York. L’incidente è avvenuto per risparmiare 50 mila lire al giorno di elettricità: il gas contenuto in tre cisterne di più di cento mila litri, deve essere tenuto alla temperatura di zero gradi, ma i responsabili avevano chiuso la refrigerazione delle cisterne, la temperatura esterna era di 9/10 gradi e così il gas ha avuto una reazione esotermica. La nube tossica, con il vento si è spostata nel nord, la parte più povera della città». ha parlato dei poveri di Calcutta, dei malati di Aids, di catastrofi…. Qual è, a suo giudizio, il più grande peccato dell’umanità? Si può sperare in un mondo migliore?«Il più grande peccato è di non prendere in considerazione la vita della gente, di non fare niente perché non avvengano altre tragedie come questa. Si può e si deve sperare in un mondo migliore se abbiamo la capacità di portare un po’ di compassione, un po’ di amore, un po’ di fede a tutti coloro che soffrono. Questo è il messaggio di Madre Teresa: tutti noi possiamo fare qualcosa per un mondo più giusto. Credo che questo messaggio sia più forte di tutto. Io ho ricevuto 7 mila lettere per questo libro: tutta gente che mi dice grazie per questa testimonianza di amore, di fede, di speranza. Sì, sono sicuro che l’amore sia più forte del potere politico». l è la differenza tra una persona qualunque e Lapierre?«Io ho avuto la fortuna, in un momento della mia vita, di scoprirmi un po’ Hemingway e un po’ Madre Teresa e di poter fare qualcosa con i miei libri. Oggi con mia moglie abbiamo una organizzazione umanitaria nell’India, non abbiamo stipendi, né uffici. Ogni lira dei miei diritti di autore viene concretizzata in qualche progetto, come la clinica ginecologica che abbiamo costruito a Bhopal. Andiamo in India circa quattro volte all’anno, non solo per verificare, ma per dire alla nostra gente che è sul campo di battaglia: Siamo fratello e sorella vostri e condividiamo tutto con voi».