Cultura & Società

Pio XII e l’olocausto degli ebrei

DI ROMANELLO CANTINI

Puntualmente si riaccende negli ultimi anni la polemica sul presunto silenzio di Pio XII di fronte all’Olocausto. A fare clamore non sono gli studi recenti di storici anche laici come quello di Giovanni Miccoli (I dilemmi ed i silenzi di Pio XII) o quello di Emma Fattorini (Italia e Santa Sede).

Le accuse categoriche vengono da autori in cerca di successo e quindi anche di scoop clamorosi. Fra questi c’è il volume Il Papa di Hitler di tre anni fa del giornalista John Cornwell che aveva già scritto un libro sensazionalista sulla morte di Papa Luciani. Ora a far rumore è un film («Amen») di Costa Gravas dove la libertà fra realtà e finzione permette di raccontare, ma anche di inventare, compresi personaggi inesistenti. Qualche rumore ha fatto anche la risollevata vicenda del seminario di Grosseto dove furono internati un’ottantina di ebrei dal novembre ’43 al giugno ’44.

Ma tornando a Pio XII, bene ha fatto la Santa Sede a decidere di aprire gli archivi sul periodo della nunziatura a Berlino e della segreteria di stato di Eugenio Pacelli dopo che già Paolo VI aveva voluto la pubblicazione di dodici volumi di documenti sull’atteggiamento del Vaticano durante l’ultima guerra. Dalla ricerca a tutto campo anche su Papa Pio XII ci si attende la verità e nient’altro che la verità.

Eppure ci sono questioni di metodo che fin d’ora promettono di confondere le acque anche in presenza di una documentazione definitiva. Il fatto piuttosto paradossale è che il giudizio su Papa Pacelli ha una storia più lunga e contraddittoria del suo pontificato. Esaltato in vita e poco dopo la sua morte per il suo atteggiamento verso gli ebrei, Pio XII è diventato bersaglio di accuse quando poi la sua figura si allontanava nel tempo. È evidente in questa polemica il riflesso di una animosità antica per il suo anticomunismo, la elaborazione recente del concetto della unicità dell’Olocausto e infine la eco mediatica di una operazione dissacrante nel momento in cui è in corso una causa di beatificazione.

Fra i riconoscimenti di ieri e le accuse di oggi non è certo cambiata la figura di Pio XII ormai nel suo complesso consegnata alla storia, ma semmai il ruolo che si intende oggi attribuire al papato, la centralità che si vuole attribuire ora all’Olocausto nel quadro del Novecento, una lettura attualmente più moralistica che politica della stessa ultima guerra mondiale. Come ricordava il Croce la storia è sempre storia contemporanea anche quando si interessa di un lontano passato. Il problema è che spesso si giudica quell’epoca con le idee e le misure che sono del nostro e non di quel tempo.

Nella retroattività di leggi e situazioni che noi ci siamo dati o che vorremo darci si rischia di andare incontro ad una incomprensione antistorica, anziché ad un approfondimento della verità effettiva.

Pochi mesi dopo la fine della guerra, il 27 ottobre 1945, il segretario del congresso ebraico mondiale, Leo Kubwitsky, chiese udienza a Pio XII e gli consegnò due milioni di lire (circa due miliardi di oggi) come dono simbolico per ciò che il Papa aveva fatto per cercare di salvare il maggior numero di ebrei durante il conflitto.

Al momento della morte di Papa Pacelli quasi unanime fu l’apprezzamento della sua opera da parte del mondo ebraico. Golda Meir, all’epoca ministro degli esteri israeliani, scrisse: «Durante il decennio del terrore nazista, quando il nostro popolo è stato sottoposto ad un terribile martirio, la voce del Papa si è levata a condanna dei persecutori e a pietà per le loro vittime. Noi piangiamo un grande servitore della pace».

Il rabbino Jacob Philip Rudin, presidente della conferenza dei rabbini americani, aggiunse: «Pio XII fu una voce profetica per la giustizia ovunque». A sua volta il rabbino capo di Londra, Brodie, non fu da meno nel tesserne l’elogio: «Pio XII ha dimostrato coraggio e crescente preoccupazione per le vittime della sofferenza e della persecuzione». Infine il rabbino capo di Roma Elio Toaff così si espresse: «Più di qualsiasi altro abbiamo avuto occasione di sperimentare la grande compassionevole bontà e magnanimità del Papa».

Ancora nel 1967, quattro anni dopo che era scoppiata la prima polemica contro il «silenzio» del Papa con «il vicario» di Hochhuth, nel suo libro Tre Papi e i giudei, Emilio Pirichas Lapide, ex console di Israele a Milano, scriveva: «La Santa Sede, i nunzi e la Chiesa cattolica hanno salvato da morte certa tra i settecentomila e gli ottocentocinquantamila ebrei».

La polemica contro l’atteggiamento di Pio XII è invece di anni recenti quando le tremende minacce che nella prima metà del secolo scorso sembrarono stringere in una morsa fra regimi di destra e di sinistra le chiese europee si erano ormai dissolte. Come ha ricordato Ernst Nolte chi crede che qualsiasi sfida è possibile nei confronti di uno stato totalitario non ha mai vissuto in uno stato totalitario.

È facile chiedere condanne oggi quando la Chiesa gode in Europa di una libertà e di una incolumità impensabili al tempo di Eugenio Pacelli allorché le dittature erano la regola e non l’eccezione perfino sul nostro continente.

Durante la sua nunziatura e la sua segreteria di stato il futuro Papa aveva assistito alla persecuzione dei cattolici in Messico, al massacro della cristianità in Russia, al concordato stracciato in Germania, alla caccia al prete in Spagna. Queste grandi tragedie avevano gettato la Chiesa dentro una mentalità di assedio e contro di esse la forza delle parole era apparsa impotente e persino autolesionista come un boomerang.

Pio XII volle assumersi sulle sue spalle soprattutto la responsabilità dei quaranta milioni di cattolici tedeschi e dei trenta milioni di cattolici polacchi. Fu questo gregge che egli privilegiò nelle sue preoccupazioni che possono essere discusse, ma non ritenute infondate.

Fra i capi nazisti fu presa in considerazione la impiccagione del vescovo di Munster Graf Galen, che aveva condannato la soppressione dei malati di mente e la cui punizione fu solo rinviata. Il prevosto di Berlino Bernard Lichtemberg, che nella sua chiesa aveva pregato per i perseguitati del regime, morì deportato a Dachau. Padre Jacob Grapp, il religioso austriaco che nella chiesa di Wattens aveva predicato contro il razzismo nazista, fu condannato a morte e decapitato. Nel 1944 nel solo lager di Dachau c’erano già 2644 sacerdoti provenienti da 24 paesi. Nel 1943 era stato predisposto dalla Gestapo addirittura un piano per catturare e forse assassinare il Papa a Roma.

Per Papa Pacelli salvare le strutture della Chiesa significava anche mantenere la possibilità di un intervento per i perseguitati caso per caso e mettere a rischio quella presenza capillare era rinunciare alla solidarietà del possibile. Denunciare più decisamente la persecuzione con la conseguenza quasi certa di allargarla e di generalizzarla poteva essere una scelta di cui lo storico può oggi parlare, ma senza potere offrire la controprova di ciò che sarebbe seguito a quel gesto.

È dal tempo di Giovanni XXIII e soprattutto con Giovanni Paolo II che è apparso il ruolo e la figura di un Papa concepito come autorità morale mondiale che prende a cuore le sorti di tutto il pianeta. In un certo senso il mondo oggi lo vediamo sovrapposto alla Chiesa, gli uomini ai cattolici. Ma fino al tempo di Pio XII quello che allora si chiamava cristianità aveva confini netti e senza dubbio una predilezione che poteva sconfinare perfino nella emarginazione. «Pasci le mie pecore» significava ancora mantieni il mio gregge.Lo storico a questo punto deve fermarsi e interpellare il teologo. Insieme dobbiamo domandarci se un solo gesto profetico può essere preferibile a quella «banalità del bene» che Pio XII praticò quotidianamente per opporsi al male. Chiederci se ci sia una differenza fra il martirio subito e quello voluto e cercato quasi come un suicidio. Soprattutto se sia consentito scegliere unilateralmente non solo il sacrificio personale, ma quello di una intera Chiesa.

E infine se nel tentativo di fare di Pio XII una sorta di superman che avrebbe potuto fermare l’Olocausto non ci sia una nostra proiezione infantile che non vuole ammettere la realtà tremenda della prevalenza del male nel cuore del secolo appena trascorso e cerca di affidare ad un uomo solo la salvezza impossibile davanti ad una tragedia a cui milioni di uomini concorsero e che altri milioni accettarono persino con la coscienza tranquilla.