Cultura & Società

ANDREJ TARKOVSKIJ: Il cinema dello spirito

DI ANDREA FAGIOLI

L’Adorazione dei Magi, dipinto conservato agli Uffizi, fu commissionato a Leonardo nel 1481 dai frati della chiesa di San Donato, poco fuori le mura di Firenze. L’opera, però, dopo numerosi studi, non fu mai terminata e rimase nel capoluogo toscano anche quando Leonardo, nel 1482, partì per Milano. La tavola raffigura la Madonna e il Bambino attorniati, oltre che dai Magi, da una folla in adorazione. Al centro del dipinto è raffigurato un albero.

Sacrificio, l’ultimo film di Andrej Tarkovskij, uscito in Italia a distanza di un anno dalla presentazione al Festival di Cannes 1986 e ad oltre cinque mesi dalla morte del regista russo, inizia proprio con l’inquadratura di un particolare dell’Adorazione dei Magi sul quale scorrono i titoli di testa a conclusione dei quali, la macchina da presa carrella verso l’alto inquadrando l’albero del dipinto leonardiano e sul conseguente stacco d’immagine Tarkovskij inquadra in campo lungo un uomo sulla riva del mare che sta piantando un albero secco. È Alexander, ex attore shakespeariano ora giornalista e scrittore, che vive in una casa isolata dal resto del mondo con la moglie e il figlio che non parla. Mentre pianta l’albero, Alexander racconta al figlio la storia di un monaco ortodosso che riuscì a far germogliare un ramo secco innaffiandolo tutti i giorni: «Se ogni giorno, esattamente alla stessa ora, uno compisse la stessa cosa, nello stesso modo, il mondo cambierebbe». Dalle parole dette al figlio e dal dialogo con l’amico postino (un ex professore di filosofia ritiratosi dalla scuola) emerge la preoccupazione di Alexander per il contrasto tra le esigenze materiali e quelle spirituali. Per il protagonista di Sacrificio, il mondo è ormai invivibile, industrializzato, schiavo della materia e destinato all’olocausto nucleare. Ed è proprio nel giorno del compleanno di Alexander che la televisione annuncia la catastrofe nucleare.

Il protagonista, sconvolto dalla notizia, cade in ginocchio a recitare il Padre Nostro, pregando Dio di tenere lontano i suoi cari dagli orrori della catastrofe, offrendo in cambio la rinuncia a tutti i beni, materiali e spirituali, in suo possesso. Alexander capisce che solo attraverso il «sacrificio» di qualcuno sarà possibile salvare il mondo e dopo aver fatto l’amore con una serva di nome Maria (simbolo della femminilità intesa come prosecuzione della vita), darà fuoco alla propria casa (simbolo del materialismo) per poi chiudersi in un mutismo scambiato per follia. Solo il figlio, a quel punto, mentre innaffia l’albero secco piantato dal padre, ritrova la parola: «In principio era il Verbo. Perché, papà?». Su questa frase si chiude il film e appare la dedica di Tarkovskij: «… a mio figlio con speranza e fiducia».

Ma cosa significa quella dedica alla fine dell’ultimo film di Tarkovskij? Lo chiediamo al diretto interessato, al figlio del grande regista. Anche lui, come il padre, si chiama Andrej (e solo una A puntata lo distingue dal genitore). Andrej A. Tarkovskij è venuto a trovarci in redazione, accompagnato dall’editore Andrea Ulivi, titolare delle Edizioni della Meridiana. Insieme dirigono una collana intitolata, manco a dirlo, «Stalker» (ricercatore), come il quinto film del cineasta russo, e nella quale è da poco uscito il Martirologio dei diari di Tarkovskij.

«È una bella domanda – dice Andrej A. –, ma non è facile rispondere. Io stesso ci sto ancora pensando. Forse mio padre mi chiedeva di proseguire quello che lui aveva iniziato. Mi chiedeva di sviluppare il suo pensiero. Insomma di fare quello che in qualche modo adesso sta facendo la Fondazione Tarkovskij».Andrej A. non tradisce l’origine russa :«Dei miei 32 anni – dice – la metà l’ho passata qui». Vive a Firenze. Ha scelto la Toscana perché ha qualcosa di magico: «È una terra benedetta. Anche mio padre – racconta il giovane Andrej – pensava di costruire una casa qui. Amava Leonardo e tutta la pittura toscana, ma soprattutto aveva ritrovato qui la campagna che aveva lasciato in Russia, tanto che nel film Nostalghia aveva simbolicamente ricostruito la propria dacia all’interno dell’Abbazia di San Galgano. Anch’io, solo qui, riesco a sentirmi in pace, a non sentire la “nostalghia”. Eppure, ho vissuto anche a Parigi…».

Non lontano della capitale francese, tra l’altro, nel cimitero ortodosso di Sainte-Géneviève-des-Bois, riposa Tarkovskij, che nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 1986 morì di cancro nella clinica Hartman di Neuilly. La moglie Larisa rifiutò l’offerta da parte delle autorità sovietiche di far rimpatriare il corpo del marito perché fosse sepolto a Mosca.

«Il suo testamento spirituale – conferma il figlio Andrej – è il film Sacrificio. Lì c’è il suo modo di intendere la vita, ma c’è anche la consapevolezza della malattia. Fra l’altro, nella prima stesura della sceneggiatura, il protagonista moriva di cancro. Spesso mio padre mi ripeteva che l’uomo non è stato creato per essere felice, vi sono cose ben più importanti della felicità. La ricerca della Verità è quasi sempre un percorso doloroso, e imparare ad accettare la sofferenza, trasformandola dentro la nostra anima in conoscenza, è l’unico mezzo necessario al raggiungimento della Verità stessa. Così erano la sua vita, i suoi film, i suoi diari, così sono i miei ricordi di lui. Ricordi che, nonostante la sua scomparsa sedici anni fa, sono vivissimi e confortanti perché la morte è impensabile per un’anima dove alberga l’amore. La sua vita, comunque, non è mai stata semplice. Nel fondo era una persona sola, tormentata tra la carne e lo spirito, la vita e la morte. Una persona tormentata nel vedere il mondo destinato alla catastrofe. Da qui l’impostazione apocalittica di Sacrificio».

Ma che rapporto aveva Tarkovskij con la religione? «Era ortodosso, ma non praticante – risponde Andrej A. –. Aveva però una grande fede, era a suo modo molto religioso. Si può dire che fosse un mistico, sempre aperto al mistero di Dio». E tra i film rimasti nel cassetto, oltre all’Amleto e all’Idiota, anche un Vangelo incentrato sullo studio della figura di Giuda. «Ma perché esiste Giuda Iscariota – si chiedeva Tarkovskij a due mesi dalla morte, ospite in Toscana a Porto Santo Stefano –? A che è servito il suo bacio? Si poteva farne a meno con i Sadducei, gli scribi e i Farisei. Perché Giuda? Evidentemente per spiegare con chi Lui aveva a che fare: cioè con gli uomini. L’unico personaggio che porta un inimmaginabile peso psicologico. Giuda è il motivo per cui Gesù deve compiere la sua missione. Un esempio concreto per capire fin dove può arrivare l’uomo nella sua caduta».

Ma questo, stando a quanto si legge ancora nei diari, restava un punto da «scavare più in profondità».«I diari – spiega il figlio Andrej – sono l’unica testimonianza della vita quotidiana di mio padre che ci viene riproposta dalla sua stessa mano, in tutta la sua asprezza e onestà, come una schietta deposizione del tormentoso percorso di un artista in cerca della propria Libertà. Ovvero, di un sogno di libertà, dove, coscientemente accettata la responsabilità del proprio destino, mio padre si sottomette interamente al servizio della sua arte. Una decisione risoluta, che segna tutta la sua vita e che inevitabilmente si riflette sul rapporto con la famiglia, gli amici, il potere. Sulle pagine dei diari la personalità di un artista, ma innanzitutto di un uomo, si schiude in tutta la sua drammaticità. Tuttavia non si tratta di un inconsolabile e disperato “grido nel deserto”, al contrario, è un commovente elogio alla vita, pieno di speranza e di fede, perfino di fronte alla morte imminente, perché la sua arte, il suo ideale e il suo sacrificio non sono altro che un estremo gesto di amore verso l’uomo».

«Ma più che un libro – aggiunge Andrea Ulivi –, questo Martirologio è un ricreare l’uomo. Per me è stato come rivivere un’amicizia profonda. Per me Trakovskij è stato e sarà sempre un punto di riferimento. Faccio l’editore da quindici anni, ma per la prima volta mi sono commosso nel vedere la prima copia stampata. Abbiamo fatto un lavoro incredibile, che ci ha impegnato giorno e notte per mesi. Ne è venuta fuori, però, l’unica edizione integrale al mondo dei diari di Tarkovskij. Tutte le precedenti edizioni, uscite in Francia o in Inghilterra, sono parziali o antologiche. Ora speriamo di fare l’edizione in russo».

L’ultimo messaggio: «Se l’umanità non riscopre i valori si condanna alla fine»Per Tarkovskij non c’è alternativa: l’umanità, se non riscopre i valori spirituali, si condanna alla fine. È l’estremo messaggio di chi ha sempre combattuto contro l’abbandono della fede. Fede nel trascendente, nell’uomo, nell’arte, nel pensiero, nella creatività spirituale. Per queste idee, Tarkovskij, dopo un permesso di tre anni per lavorare in Occidente, decise di non tornare in patria. Fu una decisione sofferta che gli impedì per molto tempo di ricongiungersi con i tre figli.

Nel film Nostalghia, girato in Italia (gran parte in Toscana), Tarkovskij dimostrò cosa significa per i russi vivere all’estero. Quel film spiega che la «nostalghia» è qualcosa più del ricordo nostalgico di un mondo semplice e familiare, della primordialità perduta che ogni tanto torna alla mente. «Nostalghia» è essenzialmente perdita di identità. Solo in questo senso si comprende il film come viaggio del protagonista alla ricerca di se stesso e del senso dell’esistenza. Un viaggio emblematico attraverso una serie illimitata di situazioni, incontri, elementi e gesti simbolici: i passerotti che escono dal grembo della «Madonna del Parto» di Piero della Francesca, l’incontro con la bambina nella cripta allagata, il libro di poesie bruciato, il recupero di un’infinità di oggetti nella piscina termale, l’acqua e il fuoco che accompagnano e ritualizzano l’intero viaggio del protagonista. Proprio dall’unione di acqua e fuoco (elementi purificatori) nasce la sintesi e il compimento del viaggio attraverso il «sacrificio redentivo».

Tarkovskij sembra dire che l’uomo è spesso nell’impossibilità di conoscersi realmente, ma non per questo deve rinunciare alla continua ricerca della verità alla luce e nella costanza di una fede e anche attraverso sacrifici per la salute dell’anima: la ricerca dell’Assoluto non può avvenire per quelle vie ritenute razionali dall’uomo. La strada che Tarkovskij indica all’umanità è quella stretta di cui parla il Vangelo.

La schedaAndrej Tarkovskij nasce il 4 aprile 1932 a Zavraz’e, un piccolo villaggio sulle rive del Volga. Figlio del poeta Arsenij Tarkovskij, frequenta la scuola di cinema di Mosca e si diploma nel 1960 con il cortometraggio Il rullo compressore e il violino.Debutta nella regia con il lungometraggio L’INFANZIA DI IVAN, del 1962, a cui viene assegnato il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia. Seguono: ANDREJ RUBLEV (1966), SOLARIS (1972), LO SPECCHIO (1974), STALKER (1979), NOSTALGHIA (1983), SACRIFICIO (1986).Solo sette film, dunque, in oltre venticinque anni di carriera: una manciata di pellicole che comunque rimarrà come un’eredità enorme, soprattutto per i toscani ai quali Tarkovskij ha di fatto dedicato un film come Nostalghia girato in gran parte nel senese, tra Bagno Vignoni e San Galgano, con dentro opere d’arte come la «Madonna del Parto», capolavoro di Piero della Francesca ospitata a Monterchi in provincia di Arezzo. Anche Nostalghia fu premiato a Cannes, come Sacrificio, girato in Svezia ma aperto dalla leonardiana «Adorazione dei Magi».Tarkovskij, dopo aver vissuto per qualche tempo nel capoluogo toscano, muore esule a Parigi il 29 dicembre 1986, poco dopo essere riuscito a ricongiungersi con la famiglia; la moglie Larisa e i tre figli.Nel gennaio scorso la casa editrice fiorentina Edizioni della Meridiana ha pubblicato i Diari-Martirologio di Andreij Tarkovskij (pp. 720, euro 32,00), a cura del figlio Andrej A. Trakovskij, con la traduzione di Norman Mozzato, nella collana «Stalker» diretta da Andrea Ulivi insieme allo stesso figlio del grande regista russo.