Cultura & Società

Eurotoscani per l’Eurogiro

DI EMILIO PALMERDopo la prima settimana di corsa, il Giro arriva in Toscana. È partito dall’Olanda per fare tappa in Germania, Belgio, Lussemburgo e Francia, non per caso l’hanno chiamato Eurogiro. Poi l’Italia con le prima asperità sulle Alpi piemontesi, la calata sulla riviera ligure e finalmente la Toscana col circuito della Versilia, dove si corre domenica 19 maggio. Un percorso nervoso, che prevede tre passaggi dalla ripida erta di Pedona, sulla collina tra Camaiore e il litorale. È da scommettere che ci sarà un mare di gente, per il ciclismo sarà come ritrovare un habitat naturale.

Toscana e bicicletta, quest’anno come non mai in simbiosi per un binomio vincente. I più prestigiosi traguardi di stagione (le gare di Coppa del mondo), eccettuata la Parigi-Roubaix dominata da Museeuw, sono state vinte da campioni nostrani. Il lucchese Mario Cipollini, detto Supermario o anche Re Leone, ha conquistato con la più travolgente delle sue volate la Milano-San Remo. Andrea Tafi da Fucecchio, tempra da antico gladiatore, ha vinto per distacco un combattutissimo Giro delle Fiandre. Paolo Bettini da Cecina (per la precisione della borgata La California), detto anche «il Grillo» perché capace di saltare sulla ruota di ogni avversario, ha bissato il successi di due anni nella Liegi-Bastogne-Liegi, la più antica delle classiche belghe. E infine Michele Bartoli, atleta del lungomonte pisano, ha ritrovato lo smalto dei tempi migliori conquistando in Olanda l’Amstel Gold Race con le gambe e col cuore: tra le lacrime ha dichiarato che questa è una vittoria soprattutto di Alessandra, la moglie che l’ha sostenuto nei lunghi momenti bui delle ultime stagioni.

A eccezione di Tafi, gli altri tre si sono allineati alla partenza del Giro per inseguire nuovi traguardi. Purtroppo una caduta con frattura al bacino ha subito tolto di gara Bartoli: auguri di pronta guarigione e pieno recupero. Speranze di vittorie parziali restano per Bettini e soprattutto per un Cipollini più che mai Super-Mario, fin dalla prima tappa vincente e in maglia rosa. Ma il toscano più accreditato per la classifica finale è senz’altro il fiorentino Francesco Casagrande, che nel 2000 per molti giorni vestì la maglia rosa e finì ottimo secondo; l’anno scorso una caduta lo tolse di gara alla prima tappa. Per il credito che vanta con la fortuna, l’eccellente stato di forma e il coraggio del combattente nato è da lui che si attende l’impresa capace di rinverdire la gloria dei campioni del passato.

Ma si può chiudere un articolo sul Giro d’Italia senza dire niente della grave questione del doping, che l’hanno scorso fermò per un giorno la corsa, mandò a casa il leader Dario Frigo e tuttora si dipana in processi della giustizia penale e di quella sportiva? La risposta è no. Chiunque si metterà davanti alla tv o assisterà dal bordo della strada a questa meravigliosa «festa di maggio», deve sapere che il corpo di molti atleti può diventare, se non è già diventato, un laboratorio per mestieranti senza scrupoli. Chi sale in bicicletta (o scende in campo, in pista, in piscina…) ha chiare e precise responsabilità, non è ammissibile che un «professionista» dello sport ignori i propri diritti e doveri, etici e giuridici. Ma le responsabilità stanno anche o soprattutto altrove. Il rischio più grosso è che l’intera macchina organizzativa (dirigenti federali, direttori sportivi, sponsor, mass-media… senza che la politica possa chiamarsi fuori) sia comandata dalla logica omertosa del business, e che l’unica alternativa sia tra miopia e connivenza. Speriamo di no.

Da Bartali a Chioccioli:successi e… tiri manciniIl più recente vincitore toscano del Giro è Franco Chioccioli, da Pian di Scò, ribattezzato «Coppino», primo nel ’91 dominando in salita come il campionissimo. E proprio Coppi conquistò il suo primo giro nel ’40 staccando tutti sull’Abetone. Un mito che dura ancora.

Altro vincitore toscano fu Gastone Nencini, il non dimenticato «leone del Mugello». Ancora più indietro troviamo Fiorenzo Magni, maglia rosa nel ’48, ’51 e ’55: arrancava in salita dietro Coppi e Bartali e recuperava grazie alle doti di discesista, al mestiere e alla tenacia. Finì il Giro del ’56 con una clavicola fratturata, piazzandosi secondo.

E arriviamo a Gino Bartali: signori, giù il cappello! L’atleta di Ponte a Ema, da solo, è un pezzo di storia del ciclismo. O forse di storia dell’Italia. Con la vittoria nel Tour de France del ’48 contribuì ad alleggerire la tensione creatasi dopo l’attentato a Palmiro Togliatti; si parla di una telefonata fatta a Bartali direttamente dal capo del governo Alcide De Gasperi alla vigilia della decisiva tappa di Aix-le-Bains; secondo altre fonti si sarebbe trattato solo di un telegramma, giunto peraltro a tappa conclusa. Bartali, capofila della toscana ciclistica, eroe cattolico di una terra molto laica, additato come esempio ai giovani di Azione Cattolica da Pio XII, da buon cristiano recitava devotamente ogni sera il Rosario (era anche terziario carmelitano) e da buon toscano non rinunciava a una polemica, all’insegna del motto «tutto sbagliato, tutto da rifare!». Il Giro d’Italia lo vinse nel ’36, nel ’37 e nel ’46. Senza la guerra in mezzo, quanti altri ne avrebbe vinti?

Nessun altro toscano oltre ai già citati ha vinto il Giro, ma molti primeggiarono nei traguardi di giornata. Ai tempi eroici, prima di Bartali, furono Pietro Linari di Borgo a Buggiano e due pisani: Ettore Meini di Cascina e Raffaele Di Paco di Fauglia, celebre quest’ultimo per il motto: «Chi vuol arriva’ secondo si metta alla mi’ rota!». Ai tempi di Bartali e Magni, atleti eccellenti furono pure Bini, Bizzi, Cinelli, Del Cancia, Maggini, Petrucci e quell’Alfredo Martini che, sceso dalla bicicletta, divenne grande stratega della nazionale in bici. Negli anni ’60 e ’70 entusiasmò i tifosi toscani Franco Bitossi, detto «cuore matto» perché ogni tanto veniva fermato da una tachicardia. Vanta 144 vittorie in carriera, con 20 tappe al Giro e sei giorni in maglia rosa.

Poiché domenica 19 maggio si corre in Versilia, conviene chiudere la carrellata con un curioso e toscanissimo episodio del giro del ’58. Nella tappa che arrivava a Forte dei Marmi erano in fuga per la vittoria due toscani di nome Guido: Boni e Carlesi. Al secondo, pisano di San Sisto al Pino, tipico corridore genio e sregolatezza, era stato affibbiato – ancor prima che a Chioccioli -– il soprannome «Coppino» per una qualche somiglianza col grande Fausto. Quel giorno poteva staccare Boni, che si raccomandò e promise di non fare la volata. È successo altre volte, nelle fughe a due, che l’atleta più forte abbia atteso il compagno per ritrovarsi beffato. Andò proprio così: Boni, che come si dice in gergo «aveva fatto il morto», in vista del traguardo scattò sorprendendo il più fresco avversario. Dopo l’arrivo volarono epiteti irripetibili e non solo: allora le bici da corsa erano fornite di pompa, lo sconfitto la brandì contro il «traditore», che qualcuno riuscì a sottrarre a un’ira funesta. Il tutto procurò a Carlesi l’allontanamento dalle interviste radiotelevisive per qualche tempo. Oggi, lo premierebbero per aver alzato l’audience.

Lo speciale sul Giro della Gazzetta dello Sport