Cultura & Società

Dalle ossa i segreti di Guglielmo

DI LORELLA PELLISD’ora in poi Guglielmo di Malavalle non avrà più segreti, soprattutto in terra di Maremma. Le ricognizioni in corso sulle ossa contenute in alcuni reliquiari della zona e attribuite secondo la tradizione proprio al santo maremmano faranno nuova luce su questa figura tanto venerata ma i cui connotati si perdono tra storia e leggenda. Su Guglielmo si è costruita una vivace tradizione popolare. Convertitosi alla sequela di Cristo, abbandonò il mondo per rifugiarsi nella solitudine delle Maremme. Qui visse una vita di penitenza e mortificazione e, secondo i suoi agiografi, compì numerosi miracoli tra i quali alcuni che ebbero gli animali come protagonisti (come il terribile drago da lui ucciso). Tutte le reliquie esistenti del santo sono sparse fra Castiglione della Pescaia, Vetulonia, Caldana, Montepescali Scalo, Tirli e Buriano. Ed è proprio partecipando alla processione al Romitorio di San Guglielmo dove viene esposta una reliquia del braccio del santo, che al massetano Giacomo Michelini viene la voglia di saperne di più. Ventotto anni, laureato in antropologia fisica a Pisa col professor Francesco Mallegni (l’antropologo che recentemente ha ricostruito i volti di Giotto e del conte Ugolino) e attualmente suo collaboratore all’Università, Michelini è così riuscito ad avviare un lavoro storico-scientifico sulle reliquie del santo.

Così il 20 di agosto, alla presenza del vicario generale di Grosseto e dei parroci, sono stati aperti i due reliquari più grandi: il primo a Tirli, nella chiesa di sant’Andrea apostolo, e il secondo nella chiesa di San Giovanni Battista a Castiglion della Pescaia. «Abbiamo rotto i sigilli – dice Michelini – e trasportato il materiale presso la curia vescovile di Grosseto, dove è stato allestito un laboratorio provvisorio che accoglierà i reperti nel periodo che servirà a studiarli. A una prima ricognizione i due reperti, se pur di colore differente a causa di una diversa conservazione, sembrano appartenere ad un unico individuo. Questo perché quasi per miracolo si è conservata, pur in due luoghi diversi, una articolazione sacro-iliaca della solita persona (il sacro a Tirli, l’ala iliaca a Castiglione)».

Ma lo scopo degli studiosi, in questa fase, non è tanto dire se quelle ossa sono o no di Guglielmo da Malavalle, bensì studiare questi reliquiari. «All’interno di uno abbiamo trovato un elmetto probabilmente appartenuto al santo – spiega Michelini – e sono in corso le analisi sulle parti ferrose. Nel caso che il ferro corrisponda al periodo di Guglielmo avremo una prova in più. Saranno poi le analisi scientifiche a dire se è lui o no. Ma prima ci sono altre cose da fare».

Il lavoro durerà diversi mesi, difficile far previsioni sulla durata. Alla fine, però, gli esperti saranno davvero in grado di dire se quelle ossa sono del santo.«Intanto – precisa Francesco Mallegni, antropologo e paleontologo al Dipartimento di scienze archeologiche dell’Università di Pisa – possiamo essere soddisfatti. Corrisponde il sesso, l’età alla morte – intorno al 58° anno di vita – e questo non è poco. Nei reliquiari abbiamo trovato anche scritti arrotolati di cui uno molto antico. Dovrà essere letto dagli esperti. Poi dovremo rivedere il tutto per capire di quante parti è formato lo scheletro. Azzarderemo forse una ricostruzione fisiognomica per vedere il volto com’era. Vedremo anche se ha avuto delle malattie, di cosa si è nutrito negli ultimi cinque anni e se è dimostrabile che provenga dall’Aquitania». Poi arriverà il «verdetto».

Intanto domenica scorsa Giacomo Michelini ha effettuato un’altra ricognizione a Montepescali Scalo, nel comune di Gavorrano. Ha prelevato da un reliquiario una tibia sinistra che era stata donata dalla comunità parrocchiale di Castiglione della Pescaia nel ’50 quando fu consacrata la chiesa di Montepescali, dedicata a San Guglielmo. Adesso rimane da fare la ricognizione sul braccio conservato a Buriano.

La scheda: L’eremita con il «giaco»

Nel territorio di Castiglione della Pescaia, precisamente nel Santuario di Malavalle, fondato nel XII sec. sulla tomba del santo e oggi ridotto ad un rudere invaso dalla vegetazione, San Guglielmo trovò il luogo ideale per trascorrere in solitudine, nella preghiera e nella penitenza gli ultimi anni della sua vita. A confortarlo nell’ultima ora fu il suo fedele seguace o «suo servo» come egli stesso si definiva, Alberto. Questi, raccogliendone l’eredità spirituale, fondò la prima congregazione eremitica e compose quelle che si intitolarono «Consuetudines» e «Regula Sancti Guillelmi». Il Monastero divenne luogo di culto e di pellegrinaggio da parte dei devoti grazie anche alle guarigioni miracolose che vi avvenivano. Il culto per San Guglielmo crebbe fino ad essere approvato da Innocenzo III nel 1202 e con la dedizione al Santo aumentarono le fondazioni dei suoi fedeli che si spinsero fino in Germania, nel Nord della Francia e nell’attuale Belgio con il nome di «Gugliemiti». Contrapposti a loro furono gli agostiniani che, frutto della politica pontificia volta al controllo di tutte le comunità, aumentarono la loro supremazia fino a raggiungere il culmine nel Seicento quando si insediarono a Malavalle e considerarono il Monastero e il Santo come appartenenti da sempre al loro Ordine.

Della vita di San Guglielmo non si conosce molto e tanto si deve alla tradizione orale, anche se non mancano dichiarazioni autentiche. Ad Alberto si deve la stesura della prima biografia del Santo, che sarà rielaborata da un altro discepolo, Teobaldo, e successivamente tradotta in volgare. La sua vicenda sembra essere il frutto della contaminazione di più personaggi storici collegati tra loro da caratteristiche quali la provenienza, il nome, il titolo nobiliare e in alcuni casi la conversione religiosa. Secondo la tradizione San Guglielmo, chiamato anche «Il grande», era un militare che dopo una vita avventurosa e licenziosa venne colto dai rimorsi e si impose le prime penitenze corporali indossando, come si vede sempre nelle iconografie, il caratteristico copricapo in ferro. In seguito all’incontro con san Bernardo, che segna la conversione vera e propria, San Gugliemo diede inizio alla vita eremitica e per ulteriore penitenza si mise addosso il «giaco», una pesante corazza di ferro che portò come un cilicio sulla pelle nuda fino alla morte.

Prima di ritirarsi in solitudine, san Guglielmo compì i pellegrinaggi verso quelle che per un cristiano medievale erano considerate le tre mete più importanti: da San Giacomo di Compostella, dove finse di morire per annullare ogni legame mondano, si recò a Roma per visitare le tombe degli Apostoli e in ultimo a Gerusalemme dove si fermò per nove anni. Nel 1154 tornò in Italia nelle vicinanze di Pisa dove fondò una comunità che poi abbandonò per spostarsi in località Monte Pruno, vicino Buriano, dove ebbe la visione della Vergine e dove in seguito i fedeli edificarono un romitorio, ed infine si trasferì a Malavalle dove la leggenda racconta che uccise il Drago che infieriva nel bosco circostante. Qui morirà il 10 febbraio 1157.Elisa Masetti