Cultura & Società
I Bagatti, frati e fratelli geniali
«Abbiamo intrapreso questo cammino per riportare un po’ di ottimismo e un messaggio di pace in una terra martoriata dalla guerra sottolinea Conti . Siamo orgogliosi di averlo fatto nel nome di un grande uomo e di un grande cristiano». In effetti è stato proprio «Un uomo di pace. Bellarmino Bagatti», il libro appena pubblicato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, a spingere una delegazione toscana in Terra Santa.
Dal 5 all’11 novembre settanta pellegrini delle diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza e di San Miniato guidate dai vescovi. Rodolfo Cetoloni, Edoardo Ricci e Vasco Bertelli hanno portato il loro messaggio di pace. Una presenza che ha immediatamente assunto i connotati dell’evento, ripreso dalle televisioni locali, rilanciato dalle radio e commentato dai quotidiani.
«La nostra scuola di Betlemme ha spiegato monsignor Cetoloni ospita quasi duemila bambini e presto, accanto all’istituto, sarà operativa la nuova grande struttura sede di un centro sportivo, un teatro, un anfiteatro, un punto informazione turistica e un museo della cultura palestinese». Felice padre Ibrahim Faltas, direttore della scuola e rappresentante dello status quo della basilica della Natività. «Si tratta di un’opera molto importante per la città ha detto in particolare per i ragazzi che non hanno punti di ritrovo. Una risorsa fondamentale anche per l’economia di Betlemme dove il turismo dava lavoro all’85% della popolazione. Per questo chiediamo a tutti uno sforzo per incoraggiare i pellegrini a tornare in Terra Santa. Prego anche voi, al rientro in Italia, di farvi portatori di questo importante messaggio».
È stata fortunata ad avere degli zii così particolari.
«In realtà da piccola pensavo di essere nata in una famiglia un po’ strana, tutti e tre i miei zii religiosi (anche Niccolo era un sacerdote), uno archeologo in Palestina. La cosa che ho sempre apprezzato è stata quella di non avere, per questo, mai dovuto subire condizionamenti di nessun tipo nella mia vita. Ho imparato ad apprezzare e capire la vocazione dei miei zii, la loro profonda fede con il tempo, con i miei tempi».
Che persone erano, cosa ricorda di loro?
«Giosuè era un allegrone, sempre pronto alla battuta; a Viareggio, dove viveva, era sempre circondato da ragazzi, dagli scout. Era un artista, un bravo pittore, ha dipinto tutti i ritratti di famiglia, ha fatto dei bellissimi quadri ad olio e alcuni affreschi come quello di Galceti. Ci teneva molto a raccontare il Vangelo, a fare catechesi attraverso l’arte, i suoi lavori erano condensati teologici. Sapeva anche scolpire, nella chiesetta del vecchio ospedale di Viareggio ci sono sue opere in ferro battuto molto belle».
Anche suo zio Bellarmino disegnava…
«Sì, ma non penso abbia mai realizzato dei quadri, i suoi erano piuttosto studi, disegni fatti a matita, sul cartoncino. Bellarmino apprezzava molto l’arte di suo fratello, ha scritto un libro in cui ha raccolto tutti i lavori di Giosuè e una volta ha anche organizzato una mostra dedicata a lui nel convento di Viareggio. Era una persona molto amata Giosuè, a dieci anni dalla sua scomparsa lo hanno ricordato a Viareggio con una bellissima cerimonia».
Che ricordo ha invece di suo zio Bellarmino e del suo lavoro in Palestina?
«Anche lui era molto solare, appassionatissimo del suo lavoro. Ricordo che ci raccontava delle sue scoperte, dei suoi scavi anche più difficili, con una leggerezza e una semplicità impressionanti. Quando tornava in Italia e veniva a trovarci raccontava se glielo chiedevi, rispondeva alle domande che gli venivano rivolte, non si vantava, ma era entusiasta quando illustrava le prove della veridicità delle sue scoperte».
Che effetto le ha fatto partecipare a questo pellegrinaggio?
«Questo viaggio è stato per me ricco di emozioni, era la prima volta che andavo in Terra Santa. Una volta arrivata mi sono accorta di conoscerla attraverso gli occhi dello zio, visitando i suoi scavi a volte mi sembrava di vederlo lavorare nel suo saio. È stato importante e commovente per me sentirlo raccontare dalle persone che lo avevano incontrato: i confratelli, le suore dell’ospedale di Betlemme, padre Rodolfo Cetoloni e tutti gli altri. Il libro a lui dedicato mette in evidenza non solo il valore scientifico delle sue scoperte archeologiche, ma anche la sua ricerca sulle origini comuni dei cristiani da cui forse si potrebbe partire per ricostruire la pace in questa terra martoriata».
Era quello il periodo in cui dopo il Concordato, affioravano motivi di contrasto fra la Chiesa e Mussolini a causa dello scioglimento da parte del Governo delle Associazioni Cattoliche Giovanili. Nella visione di Padre Giosuè le due autorità civile e religiosa dovevano collaborare per il bene sociale nella strada intrapresa dal Concordato e i due documenti su S. Francesco, quello religioso e quello civile, gliene davano la speranza. Di questa grandiosa scena rimane soltanto una foto in bianco e nero, che è già significativa del valore pittorico e della forza narrativa dell’autore. Di particolare bellezza è la scena delle Stimmate, dove S. Francesco in piedi sul sasso della Verna, sembra volare sul mondo, che aveva esaltato ringraziando il Creatore nel suo Cantico delle Creature. Tutte le scene comunque sono un’esaltazione del francescanesimo, che egli visse in modo pieno e convinto.
Le pitture nella chiesa di Galceti terminarono nel 1934. Passò poi a dipingere l’ampia cappella interna del Collegio, rappresentando il presepio e molte figure di Santi francescani. Nel refettorio conventuale dipinse il miracolo dei pani e dei pesci.