Cultura & Società

Fascino e mistero dell’Apocalisse

di Andrea FagioliL’Apocalisse è scarsamente, e frammentariamente, presente nella liturgia. E si può dire completamente assente dalla catechesi. Eppure, la lettura dell’Apocalisse offre speranza e lucidità, non angoscia. Parola di teologo: don Bruno Maggioni. La lettura dell’Apocalisse richiede qualche fatica. Ma è un libro affascinante e la fatica è compensata. Un libro incomprensibile? No, molte sono – al contrario – le cose che si comprendono anche a una prima lettura. Resta vero però che nel suo insieme è un libro inafferrabile.

«Quando si apre questo libro, si prova – a giudizio di monsignor Gianfranco Ravasi – un’attrazione e una vertigine. È un testo striato dal sangue della storia ma è anche un’opera di contemplazione, immersa in un alone di luce dal quale alla fine emerge una città perfetta e ideale in cui non si piange più, in cui la morte non ha più residenza e su cui si accende una luminosità trascendente». L’Apocalisse è un testo proteso al futuro della speranza, ma più che un oroscopo sul destino della storia umana, si presenta come una lettura, direbbe Karl Rahner, «del presente in funzione del futuro».

«Bene e male – dice Ravasi – ormai si fronteggiano per l’estremo duello, sostenuto da schiere avverse di angeli e demoni. Alla Babilonia trionfante del mondo attuale si attende che subentri la Gerusalemme nuova e santa».Resta semmai quello che il poeta Mario Luzi definisce «il mistero della indegnità e colpevolezza pregiudiziale dell’uomo». Perché l’umanità deve subire tante prove? Qual è il debito che deve essere espiato? «Questo – a giudizio di Luzi – è il grumo oscuro difficile da sciogliere». Nel linguaggio comune la parola «apocalisse» indica «cataclisma, distruzione, evento disastroso, fine del mondo», mentre il suo significato biblico è quello di «rivelazione» (il verbo greco da cui deriva vuol dire, infatti, «togliere il velo»: scoprire, svelare).«Ben poco di “apocalittico” – nota a questo proposito il poeta fiorentino – rimane nella nostra corrente accezione di apocalisse. Tuttavia un senso profondo rimane a legittimare questa correlazione. I termini di una tragedia generale dell’uomo possono essere variati, ma permangono gli effetti di una incalcolabile causalità. L’apocalisse che abbiamo vissuto nel secolo scorso, nelle sue varie fasi, non ci dice gran che in quanto a svelamento ed è anche troppo banale come prefigurazione del futuro. Abbiamo visto soprattutto la distruzione dell’uomo come creatura; la sua cancellazione come entità distinta, la sua nullificazione come individuo in sé compiuto, e dunque la sua riduzione a numero, la sua svalutazione totale come essere vivente. Abbiamo visto questa prima nel processo aggregativo del capitalismo trionfante, sotto l’aspetto di massificazione; l’abbiamo visto sotto l’aspetto di genocidio nazista, nell’universo concentrazionario sovietico; nell’immane scempio perpetrato dai Khmer Rossi». Ma ad «un tempo attuale di iniquità, miseria e ingiustizia inflitto per qualsiasi empietà commessa, succederà l’ora del trionfo della giustizia. Differenti metodologie, varie scuole d’interpretazione ha fatto nascere l’Apocalisse. Ma un punto in cui tutte convergono c’è: è la contrapposizione tra i tempi catastrofici della storia umana e lo splendore dell’eternità in cui matura la vittoria di Cristo, il Regno, la salvazione».

L’invito di Luzi a tenere stretto il «nesso tra il pericolo imminente e le offerte di scampo», che ci apre al tesoro dell’Apocalisse, è affidato alle pagine di un saggio che compare nell’ultimo volume di una traduzione laica del Nuovo Testamento ideata e finanziata da un moderno mecenate, il finanziere Paolo Andrea Mettel (a lato nella foto), che attualmente vive a Lugano. Il progetto, avviato all’inizio degli anni Novanta, è giunto ora al termine con un volume di quasi 600 pagine (Stamperia Valdonega di Verona) che si avvale delle illustrazioni di un altro grande artista toscano: Venturino Venturi.

«Vi sono stati e vi sono molti modi diversi di vivere l’esperienza, indubbiamente rara e non del tutto fittizia o fatua, del giro di boa del millennio. Noi – spiega Mettel – abbiamo scelto di ritornare alle origini. Ci siamo riportati e rapportati a quella Parola che ha sconvolto il corso della storia e ha dato inizio, per usare un linguaggio caro all’Apocalisse, a tempi e cieli nuovi».

Tecniche ed effetti speciali nel film della Lux Videdi Mauro BanchiniAlzi la mano chi è capace di muoversi sul serio nel libro dell’Apocalisse. I sette sigilli e le sette trombe, i sette angeli e le due bestie, la Prostituta imperiale e la Sposa ecclesiale, Babilonia e i sette flagelli. Anche per un cristiano che aspira al nocciolo, difficile analizzare i simboli, capire il senso delle visioni che Giovanni, imprigionato nell’isola di Patmos, testimonia di avere avuto. Difficile, siamo sinceri, la dimestichezza con questi capitoli di straordinaria e misteriosa potenza anche narrativa. Difficile per il nocciolo e, forse (ma non è poi detto …) difficile anche per la soglia. Ecco allora la curiosità di capire come diavolo avranno fatto Ettore Bernabei e quelli della Lux Vide a comunicare, con tecnica televisiva, proprio le suggestioni dell’Apocalisse.Al convegno nazionale Cei che, in una Roma di qualche settimana fa, ha incrociato progetto culturale e comunicazioni sociali, nel programma era prevista l’anteprima di questa Apocalisse televisiva. Fra l’altro c’è l’occasione di entrare nel nuovo auditorium della musica: giornali e tg, pungolati dall’ottimismo stile ufficio stampa, l’hanno dato per «inaugurato» mesi fa, ma in realtà ci si accorge subito che è ancora un cantiere aperto. Aperto e anche un po’ polveroso. Quando l’opera di Renzo Piano sarà finita sul serio, c’è da immaginare che sarà una cosa notevole. Chiusa la parentesi. Ad avere la stessa curiosità siamo almeno 3/400 persone. Bernabei introduce insieme al direttore Rai che segue le fiction religiose prodotte da Lux Vide in genere con tanto successo di pubblico. Il prodotto – dice – deve andar bene non solo per noi italiani ma anche per un pubblico globale, sparso nel mondo. Aumenta la curiosità di capire come abbiano fatto a rendere per lo schermo tv l’oscurità, il mistero, la complessità, il fascino, i simboli di quel libro.Finalmente buio in sala. Dopo due ore circa, luci di nuovo accese. Applauso non travolgente ma tutto sommato convinto. Bernabei è abbracciato dai vescovi che gli stanno accanto. La scommessa sembra vinta, anche se poi nella proiezione tv sarà duro sopportare le interruzioni pubblicitarie che qui non ci sono. La tecnica è tutta televisiva dunque impostata sulla semplificazione (c’è anche una love story fra un lui e una lei entrambi belli come da copione, con tanto di lieto fine e di bacio conclusivo). Grande l’uso di tecnologie, con i computer e gli effetti speciali. I primissimi piani di Giovanni il vecchio ce la mettono tutta per dare il senso, ripetuto, dello stupore davanti al mistero. Qualche passaggio è forse reso con banalità, altri sono convincenti (il cavallo verdastro cavalcato dalla morte, con il nero dell’inferno che gli viene dietro. Immagine terribile, ma resa molto bene).

La vicenda cattura. Catturano le profezie. Cattura l’immagine del vecchio Giovanni imprigionato in una cava di pietre solo per aver annunciato il Vangelo. Resti affascinato – lo aveva anticipato Bernabei all’inizio – nel pensare che per il grande attore inglese che interpreta Giovanni nelle visioni e nel giaciglio di morte, questa è stata proprio l’ultima volta: subito dopo è veramente morto.

In definitiva: convince questa operazione? Tutto sommato direi sì. Certe cose o non si fanno per principio, oppure non possono che essere fatte in questo modo: pensandole per il grande pubblico della domenica sera e della prima serata; quello che l’auditel conterà, magari, in milionate di contatti. E spiegare la Rivelazione per il grande pubblico lasciando gli spazi per gli inevitabili spot è impresa ardua.

Rientrando in albergo, siamo in diversi a concordare su una speranza. Se fra quei milioni di spettatori ne saltassero fuori anche qualche centinaio di migliaia che, incuriositi, volessero riprendere in mano quel libro; se venisse loro in mente di rileggerlo (o di leggerlo per la prima volta) e magari di proseguire con qualche commento, non sarebbe questa la prova provata di una scommessa vinta?