Cultura & Società
La storia della Toscana attraverso i suoi toponimi
Le denominazioni dei vari posti riflettono la storia del territorio e la successione dei popoli che vi si sono stabiliti. Un nome antico è quello dell’Arno, da collegarsi alla radice indoeuropea er/or «mettere in movimento, agitare», con riferimento al moto delle acque; si potrebbero evocare i suoi omonimi Arn nella Francia Meridionale, Arna/Arne, affluente della Suippe nel Dipartimento della Marna, Arno, torrente dei pressi di Varese e Lago d’Arno in Val Camonica. C’è addirittura chi opta per una base di origine prelatina, «arna», «alveo, letto incavato del fiume». Spesso il nome di un corso d’acqua ne descrive le caratteristiche fisiche e gli effetti: è il caso della Lima, detta così dalla sua azione di «limare» o «erodere» le rive e la vallata, parente stretta del fiume Martello in Sicilia. Un torrente può prendere la sua denominazione dal proprietario del territorio che attraversa. All’antica fase della presenza etrusca si legano i nomi Era (Eira, da ricondurre ad un antroponimo Herial, affine al latino Herius) e Elsa (Helza, da confrontare col personale Helzni- Helzunia). Lo stesso avviene per un territorio: Chianti deriverebbe dal nome Clante, Clanti, che però un esperto come il prof. Mastrelli fa risalire ad un idronimo. E dopo che i Romani conquistarono la regione, le antiche memorie non scomparirono, ma si sommarono alla lingua dei vincitori.
Non sembri irriverente accostare a questo tipo di nomi i vari paesi, città, borgate, colline, monti dedicati a Santi: i tanti San Giovanni di Toscana, San Pietro o San Piero, Santa Maria (in Italia sono 618 i paesi che nel nome omaggiano la Vergine). Spesso l’identità del patrono diventa irriconoscibile: Sant’Ellero è in realtà Sant’Ilario e San Gusmè (Castelnuovo Berardegna) è San Cosma, il gemello di Damiano, ossia Cosimo. Sotto San Gersolè si nasconde san Pietro in Jerusalem.
Si tratta di un fitotoponimo, dunque, un nome legato alle piante che crescevano e in molto casi crescono ancora nei pressi. Così si spiegano Scopa, Scopaio, Scopeti, Sagginale, Pian degli Ontani, Arnetola (che forse deriva da alnus, «ontano»), Vellano (abellana significa «nocciolo»), Prunetta, Prunaia, Prunello (da pruno), Querceta, Querceto, Querciola (da quercus, «quercia»). Si discute sull’Impruneta, che sorge su un colle coperto di pini, ma anche ricco di rovi: in pineta, ossia fra i pini, o in prunetis, ossia fra i rovi?
Ad epoca antica risalgono anche gli zootoponimi o zoonimi, i nomi di luogo legati alle bestie che vivevano o venivano allevate in un determinato comprensorio. La celebre accoppiata Montelupo/Capraia (Iddio fa gli animali e poi li appaia), Lupaia, Lupinaia, Lupeta, Volpaia, Golpaia, Caprile, Capriglia. Alla stessa famiglia appartiene Porcari, i cui abitanti erano dediti alla cura degli animali più utili e gastronomicamente più apprezzati.
È ancora la lingua dei Romani ad apparire in formazioni che sottolineano ad esempio la «grandezza» di un luogo: Pratomagno, Montemagno, Villamagna, Riomagno. L’aggettivo magnus la fa da padrone. Anche Viareggio, che prende il nome dalla strada tracciata lungo il litorale, ha ascendenze latine: via regia o forse via regis, «via del re». E da maceries, «mucchio di pietra, rovina», derivano Macìa o Macìe (la famosa Rocca delle Macìe legata ad un superbo vino), Macioli (sede del pievano Arlotto), Macerata (a Luco di Borgo San Lorenzo), Macereto (presso Bucine, Tavernelle, Sovicille).
Anche i Germani hanno lasciato traccia, ad esempio in Montespertoli, nell’anno 1.000 chiamato monte Sighipertuli o Monte Sipertuli, che vuol dire «monte di Sighipert», un nome di persona germanico appunto, con il suffisso ulus frequente in queste formazioni.
Anche la storia dei singoli paesi si riflette nella loro denominazione. In Versilia un tempo, un borgo sorgeva sul crinale della Valle del Giardino, vicino a Monte Cavallo (detto così per la sua lunga groppa).
L’Elba per i Latini era Ilva, da ricollegarsi al popolo ligure degli Ilvates. Per i Greci invece era Aithalía, Aitháleia, Aithále, con chiaro riferimento a áithalos, aithále («fiamma», «fuliggine»). Ciò indica che già in epoca molto antica sull’isola esistevano forni che fondavano i materiali estratti dalle miniere di ferro. L’Elba appariva agli antichi naviganti greci come l’isola avvolta nella fuliggine e caratterizzata dal fuoco e dal fumo.
Pianosa, Planasia in latino, è completamente pianeggiante come indica il suo nome (planus vale «piano») e quindi facilmente sorvegliabile, priva di anfratti in cui ci fossero possibilità di rimanere nascosti. Fu sede di esilio e di relegazione a partire dai tempi di Augusto, come testimonia la vicenda di Marco Giulio Agrippa Postumo. Purtroppo celebre è il suo penitenziario.
Giglio: Igilium nelle fonti classiche, vanta nobili proprietari. Fu possesso dei Domizi Enobarbi, la famiglia di Nerone.
Giannutri: il geografo antico Pomponio Mela la chiama Dianium, «tempio di Diana». Il nome attuale probabilmente deriva da Diana (Iana) nutrix, «Diana nutrice», ma la mitologia non dà certezze su questo punto.
Montecristo. L’etimologia è semplice. Monte di Cristo ed il pensiero corre a memorie letterarie: il celebre conte e l’abate Faria. Per l’isola però conta altro: la presenza in quel luogo di una sacra effige che le dette il nome o di un anacoreta. Già, perché l’arcipelago toscano non fu abitato solo dalle capre, ma dai monaci. Una testimonianza preziosa la fornisce uno degli ultimi pagani, il poeta Rutilio Namaziano, che tornando via mare da Roma in Gallia nell’autunno del 415-517 d.C., costeggia appunto quelle solitarie terre isolate fra le onde. E la vista di Capraia gli ispira una invettiva feroce contro i monaci, uomini che fuggono la luce e vivono da infelici per timore dell’infelicità. E narra in versi anche la storia di un giovane aristocratico di belle speranze che è andato a rendersi «cadavere vivente» sulla Gorgona. Sono parole sue, di un pagano che considera il monachesimo peggio della maga Circe, perché trasforma le anime e non il corpo degli uomini. Insomma, gli eremiti delle isole davano un esempio importante, se si parlava di loro anche in poesia.
Carrara: via carraria, strada per carri, sarebbe all’origine del nome della città, secondo un’ etimologia che la accomuna al fiorentino «Ponte alla Carraia», destinato al passaggio dei veicoli. Una ipotesi colta, ma scientificamente meno plausibile la vuole legata invece alle sue montagne e alle cave di marmo. La base prelatina car(r)a indicherebbe «pietra» e Carrara sarebbe «luogo delle pietre», con evidente allusione ai bacini marmiferi, in francese carrières, che però si ricollegano al latino quadrus.
Firenze. È Florentia, luoghi fiorenti, dal participio presente neutro plurale dal verbo latino florere. Nome di buon augurio, come Placentia, luoghi che piacciono (da placere), oggi Piacenza, o Faventia, luoghi favorevoli (da favere), oggi Faenza. L’antica via Faventina, oggi Faentina, fu percorsa da Ambrogio quando arrivò a Firenze nel 393 d.C. Firenze deriva dal genitivo locativo Florentiae, poi Fiorenza.
Livorno. Dovrebbe derivare dal nome personale etrusco Liburna, da confrontare col latino Liburnius e con Leburna, Leburnius. A queste antiche denominazioni forse si è sovrapposto il contatto col termine latino liburna, «brigantino», «feluca»; c’è anche chi pensa al popolo dei Liburni.
Lucca. Lo storico latino Livio la chiama Luca e gli abitanti sono indicati nell’antichità come Lucenses. In greco è Louka, secondo il geografo Strabone. Origine e significato del nome sono sconosciuti; è stata avanzata l’ipotesi di un collegamento con la radice celto ligure luk, nel senso di «luogo paludoso».
Grosseto. Appartiene alla categoria dei fitonimi. Il significato di «bosco di grosse piante» rimanda a formazioni analoghe come «forteto» o «pineto». In latino però grossus indica una specie di grosso fico che non giunge a maturazione; grossa invece in italiano è una sorta di uva. Comunque sia, la caratterizzazione del luogo è legata alla presenza di fitta vegetazione. Sembra poco probabile che la città derivi il suo nome da un Crussinnanus, antico proprietario di quei luoghi.
Massa. Ancora una volta si deve scomodare il latino. Massa significa «ammasso, massa, tenuta»: nell’Alto Medioevo il sostantivo indica i grandi possedimenti, un insieme di poderi coltivati. C’è anche chi, per la città apuana, pensa ad un plurale di «masso».
Pisa. Pisae-Pisarum, pluralia tantum, come si imparava una volta alle Medie. Ne parlano Livio e Plinio il Vecchio; l’origine pare oscura, quasi certamente legata alla sua posizione sull’Arno. Potrebbe significare «estuario», oppure «luogo irriguo», se ricollegata al greco písos.
Pistoia. Pistorium o Pistoria, evoca il latino pistor, «mugnaio», «fornaio». L’antico Dizionario del Repetti evoca un fiorire della panificazione per la fertilità del luogo; altrimenti chiama in causa la parola greca pístis, per sottolineare la fede degli abitanti. Alle malelingue si deve la paraetimologia che la collega con «peste».
Prato. È il nome più semplice da interpretare, dato che la città fu fondata su terreno prativo. A questa origine si rifece il Granduca Leopoldo II quando, sollecitato dal poeta Fagiuoli, al ritorno da una visita nella zona, disse: «Bei paesi Prato e Campi. Però io di Campi farei prato e di Prato campi». Etimologicamente il tutto non faceva una piega.