Cultura & Società
Piccola storia del Carnevale
Il mondo cristiano ha inglobato in qualche modo quello che aveva ereditato dal mondo pagano, comprendendo che non era possibile spiritualizzare a pieno, e tanto meno cancellare, questo prorompere di vitalità, questa necessità insita nella natura stessa, di infrangere per una volta nell’anno le regole, i confini imposti, le convenzioni, le norme d’educazione e di rispetto. La forte compressione dei comportamenti, che la società impone con progressiva forza, aveva trovato questa valvola di scarico, che un tempo assumeva le dimensioni della vera licenza e perfino della violenza.
Nella società agricola il periodo invernale, nella fase di freddo acuto e delle intemperie, era tempo di relativo riposo e di stasi: le ridotte ore d’insolazione e di luce restringevano considerevolmente il tempo di lavoro nei campi. C’era tempo per lavori al coperto, per la festa, per il gioco e per la celebrazione d’un mistero che, per essere collegato al mondo naturale, non ha avuto calorosa accoglienza nel Cristianesimo.
La natura stessa, chiusa nel suo sonno, stimolava il bisogno di chiasso e d’allegria: spogliata della vita apparente, dei colori, della luce, della vitalità, dell’attività, appariva agli occhi dei primitivi in un sonno dal quale era difficile dire se si sarebbe mai risvegliata, in bilico tra la morte e la resurrezione, col sole nascosto nelle nebbie, i pochi animali visibili nei campi e nei boschi, la terra e le acque serrate nel gelo o chiuse nella neve. Da qui il senso della precarietà, della fine e della morte che il Carnevale paradossalmente eccita forse più della Quaresima. Per burle che siano, il Carnevale vive in agonia, fa il suo testamento, riceve un vero e proprio funerale e muore in un rogo la notte della sua festa.
Il Carnevale non è stato una festa sempre uguale nel tempo e d’altra parte la sua origine si perde in tracce sempre più evanescenti per sfociare in riti primitivi di fecondità e di celebrazione dei cicli naturali.
Anche qui, come per l’etimologia, dovremo attenerci a un criterio minimale, essendo la materia incerta e contestata. Il primo elemento di riflessione ce lo fornisce Ovidio nei Fasti dove ci dice che il 15 di febbraio si celebrava la festa dei Lupercali, festa della fecondità, per la sua origine e per i suoi riti. Narra il mito che ai tempi di Romolo le donne romane divennero sterili e andarono nel sacro bosco a invocare l’aiuto di Giunone Lucina. L’Augure subito sacrificò alla dea un caprone e le donne tornarono a dare alla luce bambini.
Il 16 e 17 febbraio si celebrava a Roma la Festa degli Stolti. Ovidio non ci dà notizie delle forme dei festeggiamenti, ma questo uso si ritroverà poi nel Medio Evo in questo periodo, con la Festa dell’Asino e con riti di capovolgimento del tipo «il mondo alla rovescia».
Le feste che più somigliano al Carnevale sono però i Saturnali, che si facevano in Roma in onore del dio Saturno. Il dio, cacciato da Giove dall’Olimpo e dal trono degli dei, si rifugiò nel Lazio e dette inizio all’età dell’oro. Le onoranze a questa divinità venivano fatte in marzo e il 17 di dicembre. Di queste abbiamo ampie descrizioni, ma non nei Fasti di Ovidio, che sono un’opera incompiuta. Probabilmente nei Saturnali si intendeva celebrare la mitica età dell’oro in cui, sotto il regno di Saturno, non c’erano differenze sociali, si disprezzavano le ricchezze, non era conosciuto l’egoismo e gli uomini vivevano in pace cibandosi di semplici frutti della terra. Molti elementi di questi riti compaiono nel Carnevale del Medio Evo e sono rimasti anche nel nostro.
Gli aspetti più salienti erano questi: cessazione di attività di lavoro. Licenza per chiunque di fare scherzi anche a persone ragguardevoli. Rilassamento delle regole morali. Libertà di comportamento, di parola, di manifestare desideri sessuali. Banchetti. Inversione dei ruoli schiavo padrone; servo padrone. Possibilità di indossare abiti di altre categorie sociali: i servi si vestivano da padroni e viceversa. I padroni servivano gli schiavi o i servi a tavola. Elezione del re della festa.
La Chiesa dovette venire a patti e accolse non nel rito, ma nel cerimoniale, forme un po’ rivedute e poco corrette delle vecchie feste. Prese campo la vecchia festa pagana dei pazzi, che prevedeva l’elezione di un papa per burla che veniva portato in trionfo come un santo, celebrava una messa parodistica e faceva altre cerimonie religiose buffonesche tra lazzi e risate della folla. La Festa dell’Asino parodiava una processione rappresentando una burlesca Fuga in Egitto: una bella figliola, con un bambino in braccio, andava su un asino seguita da un vecchio e dalla folla in festa, la quale, entrata in una chiesa, assisteva a una messa ridicola e faceva festini.