Cultura & Società
The Passion, un pugno nello stomaco
CAMPIONE DEL DOLORE. Una “violenza estrema” che non ha nulla della “grande sobrietà dei Vangeli della passione” annota MICHEL KUBLER, inviato di “La Croix” a New York, dove “la posta in gioco va ben oltre i litri di emoglobina versati sul selciato di Gerusalemme”. “Tutto sembrerebbe voler fare di Cristo una sorta di campione mondiale del dolore prosegue il giornalista con un crescendo di orrore fino alla nausea”. Per Kubler, i flashback ricorrenti nel film “non fanno che ricondurre la vita di Gesù al suo calvario, come se le diverse tappe della sua esistenza non avessero un senso proprio e cosa più grave come se la morte ne dominasse tutta la vita, mentre la prospettiva cristiana inverte questo ordine”. “Desolante”, inoltre, il racconto della Resurrezione, rappresentata come “un avvenimento fugace e senza testimoni; il che precisa Kubler va contro la più elementare logica cristiana: non vi è alcun Vangelo se non attraverso la fede nata dalle apparizioni del Risorto”. Di più: “La passione non ha alcun senso al di fuori della Resurrezione”. “La Resurrezione interviene il gesuita LLOYD BAUGH, esperto di relazioni tra teologia e cinema ancorché realtà che ci supera”, e per questo “praticamente impossibile da mettere in scena”, non “è un’esperienza ‘egoista’ o privata di Gesù: è una vittoria di tutto il popolo di Dio”. Nel film, invece, “la comunità non viene rappresentata e questo è un grosso limite dell’opera”. Il gesuita ravvisa nella pellicola anche il rischio che “il pubblico, dopo alcuni minuti di proiezione, accetti il Gesù del regista come quello del Vangelo, dimenticando che si tratta, invece, del frutto dell’esperienza cattolica molto tradizionale di Mel Gibson”.
GIUDAISMO E ANTISEMITISMO. Per Kubler “questa pellicola si rivela forse, contro ogni attesa, come il primo film in cui viene reso bene il giudaismo di Gesù: a più riprese, infatti, egli risponde con un Salmo a ciò che deve subire, e la stessa Maria, informata dell’arresto del figlio, ne cerca il senso nelle parole della Haggadah, il rituale della Pasqua ebraica”. Forte preoccupazione sul possibile riaccendersi di atteggiamenti antisemiti esprime invece ABRAHAM FOXMAN, presidente della Lega antidiffamazione impegnata contro l’antisemitismo: “Il film non è antisemita, ma le sue conseguenze, il suo impatto, il suo messaggio possono alimentare l’antisemitismo”. Di “manicheismo” che separa nettamente gli ebrei “dipinti in maniera sinistra, tutti in nero” dai buoni, parla senza mezzi termini il rabbino GARY BRETTON-GRANATOOR. “Con questo film afferma si ritorna indietro di quarant’anni circa la responsabilità della morte di Cristo. Temo che, una volta uscito in Dvd e tradotto in polacco, in arabo si assisterà a un ritorno importante dell’antisemitismo”. A gettare acqua sul fuoco il chiarimento di Kubler: “Non vi è nulla di antisemita (nel film, ndr). Mai viene suggerita la colpevolezza del popolo ebraico, come tale, verso la morte di Gesù; sono sempre i sommi sacerdoti a brigare presso i romani e a manipolare la folla dalla quale, tuttavia, emergono alcune proteste contro il trattamento riservato a Cristo”. Sulla questione interviene anche l’arcivescovo di New York, card. EDWAR EGAN, con una lettera alle sue 413 parrocchie in cui auspica “saggezza” e precisa: “Gesù ha donato la sua vita; nessuno gliel’ha tolta”. “Questo film deve costituire per gli ebrei e i cristiani un’opportunità di sempre maggiore approfondimento dei legami che li uniscono” aggiungono al Consiglio americano delle Chiese.
IL BUSINESS. “Riconoscendo di avere girato un ‘film estremo’ annota MARIE BOETON Gibson conta di sedurre anche i giovani americani abituati a un altissimo grado di violenza nel cinema”. Per lo storico DANIEL FRANKFORTER, il regista “è il primo ad aggiungere la crocifissione alla lista delle scene ultraviolente girate a Hollywood”.
La difesa di Gibson. “È la prima volta che sperimento una furia di questo genere”. Così Mel Gibson si confida a Gabrielle Donnelly sul quotidiano cattolico inglese “The Catholic Herald” in merito alle polemiche che il suo film ha suscitato subito dopo le prime proiezioni negli Stati Uniti. Le accuse più forti sono arrivate dalle comunità ebraiche che hanno parlato di un film “antisemita”. Gibson nega che il film abbia voluto “ravvivare l’antica disputa su chi doveva ricadere la vergogna della crocifissione”. “Non ho voluto dire precisa l’attore che gli ebrei hanno ucciso Gesù. Penso piuttosto che tutti noi abbiamo ucciso Gesù perché Lui è morto per i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. Metto me stesso sulle linea di questa colpa. È così che i cristiani, i veri cristiani anche se ci sono sempre dei bigotti che distorcono le cose guardano alla loro fede”. La giornalista del quotidiano britannico prende le difese di Gibson e scrive: “Questo non è un film sull’antisemitismo È piuttosto una storia tragica ed universale della morte di un uomo innocente Una storia che potrebbe essere accaduta in ogni tempo e in ogni luogo”.
Il realismo del film. Peter Malone non nasconde sul sito di Signis (Associazione cattolica mondiale di comunicazione) di aver avuto fin dall’inizio un parere “molto positivo”. Il film piace al critico per la sua scelta di essere “realista”. “Anche l’umanità di Gesù scrive Malone è spesso presentata in maniera molto forte” e la scelta dell’attore è in questo senso coerente. “Jim Caviezel commenta Malone è un uomo grande e forte” che rappresenta bene “l’esperienza del profondo dolore umano vissuto nella sua agonia, le cadute sulla via del calvario fino all’abbandono sperimentato sulla croce”. Passion ricorda il critico si inserisce in una lunga “tradizione” di film dedicati a Gesù. Malone li passa in rassegna praticamente tutti, dal popolare “Jesus Christ Superstar” al Gesù di Pasolini e Zeffirelli. Riguardo al film di Gibson, il critico scrive: “Una delle principali intenzioni del direttore e del suo sceneggiatore Ben Fitzgerald era immergere lo spettatore nel realismo della passione di Gesù”. Gibson ci è riuscito. “The passion of Christ scrive Malone offre un Gesù credibile le cui sofferenze nel corpo e nello spirito sono reali. E’ molto difficile prevedere quale impatto potrà avere il film su chi non crede. Per coloro che credono, il film dà l’opportunità di sperimentare sul vivo cosa sono il dolore e la tortura e prendere familiarità con la storia del Vangelo in un modo diverso”.
Così in Italia. Il vescovo Rino Fisichella ha detto di nutrire nei confronti di questo film “un’attesa positiva, soprattutto per cercare di cogliere il messaggio che la pellicola vuole dare”. Pur non nascondendosi il rischio di “polemiche, visioni unilaterali e fraintendimenti su un tema così importante”, mons. Fisichella ha affermato che l’interesse fino ad oggi dimostrato dal pubblico Usa esprime, quantomeno, “un profondo bisogno di spiritualità e di senso”. Il progetto di “un momento di approfondimento e dibattito interdisciplinare con le altre fedi sulla pellicola, per coglierne la dinamica e le possibili valenze, i bisogni delle persone che intende intercettare, e per chiarire gli eventuali fraintendimenti”, è stato annunciato dal teologo Piero Coda che ha precisato che “sede e data dell’incontro sono ancora in via di definizione”. Dello stesso parere è Massimo Giraldi che sul sito dell’ Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) auspica “un confronto serio e meditato sul film”.