Cultura & Società
Quaresima e Pasqua, controversie da calendario
La Quaresima pare essere menzionata la prima volta nel 334 da Atanasio, il grande vescovo di Alessandria, così come i riti della Settimana Santa sembrano essere stati istituiti come riproposta di quanto si compiva in Gerusalemme sui luoghi stessi della passione, morte e resurrezione del Signore.
Non è questo il solo problema del calendario liturgico antico. Strettamente collegato è quello del computo della Pasqua, che si riflette sulla interpretazione teologica dello stesso evento pasquale.
Nel II secolo le Chiese di Roma, di Alessandria e molte comunità orientali e occidentali la celebravano la domenica immediatamente successiva al primo plenilunio di primavera. Le chiese di Asia Minore, compresa Efeso, ponevano la Pasqua il quattordicesimo giorno del mese di Nissan, ossia il quattordicesimo giorno della prima luna di primavera, secondo la tradizione giovannea, che voleva Gesù, agnello pasquale, immolato nello stesso giorno della Pasqua ebraica. Sorsero i Quartodecimani, cristiani che leggevano la festa della resurrezione in stretta continuità con la festa ebraica, interpretavano il nome pascha dal greco paschein «soffrire e facevano di Esodo 12 il punto di riferimento per interpretazioni tipologiche ed escatologiche. Lo storico Eusebio di Cesarea testimonia che numerosi sinodi del II secolo avevano stabilito che «il mistero della resurrezione del Signore dai morti non deve essere celebrato se non la domenica» (Historia Ecclesiastica IV,14,1). Si arrivò ad una vera e propria controversia, che coinvolgeva anche la scansione data dai Sinottici, per cui Gesù consumò la Pasqua legale il 14 di Nissan e fu crocifisso il 15. Praticamente con uno scarto rispetto a Giovanni. Prevalse naturalmente l’idea della celebrazione la prima domenica dopo la prima luna piena che segue l’equinozio di primavera, secondo quanto stabilito dal primo Concilio ecumenico di Nicea nel 325. Ciò in accordo con la chiesa romana e alessandrina; i vescovi di Alessandria inviavano ogni anno una lettera enciclica alle altre Chiese per annunciare la data della Pasqua, che però rimase e resta pur sempre un problema.
Predicatori ed esercizi spirituali, occasioni di conversioni e riconciliazioni: un periodo austero, non c’è che dire. Perché non fosse troppo duro, tuttavia, complice l’inizio della primavera proprio in questo arco di tempo si svolgevano le prime fiere della stagione, quelle con le collane di nocciole da mettersi intorno al collo, dei duri di menta, dei lupini, dei brigidini. Era anche il momento in cui si progettavano nozze, si stringevano fidanzamenti, si pensava a sistemare le zitelle: affari d’oro per i cozzoni, i sensali di matrimoni. A Firenze, la quinta domenica di Quaresima, a Porta Romana e dintorni si svolgeva la «fiera dei pateracchi», dove si poteva trovare moglie o marito, grazie alla abilità di questi personaggi, a prezzo di una camicia e di tanta mortificazione.
Sempre in Quaresima, in tutta la Toscana si poteva giocare alla «Pentolaccia»; inoltre nelle campagne era d’uso «fare il verde». Una o più persone prendevano un ramoscello di bossolo e si impegnavano a portarlo addosso fino a Pasqua, pronti a mostrarlo in qualunque occasione alla richiesta «Fuori il verde». E se non lo avevano erano dolori: si doveva pagare pegno. Attesa della primavera? Speranza della resurrezione? Chi lo sa. Certo era un modo di vivere completamente diverso dal nostro. E per ulteriori informazioni non resta che rivolgersi ad Artusi, Gabbrielli e Lapucci, gli studiosi del tempo che fu.