Cultura & Società

Quel santuario nel cielo che riflette l’azzurro sulla terra

di Silvano PiovanellicardinaleQuando ero bambino la festa di Tutti i Santi mi metteva nel cuore una grande tristezza. Il mio vecchio priore, dopo i Vespri della festa dei Santi, si toglieva il piviale bianco dorato e indossava quello nero per cantare i Vespri dei defunti e poi andare nel cimitero per la benedizione delle tombe: il silenzio della gente, la tristezza che mi pareva di scorgere sul viso dei miei cari e di tutte le persone, gli stessi canti che accompagnavano la piccola processione dalla chiesa al cimitero – spesso avvolto dalla nebbia del mese di novembre – mi davano un senso di vuoto e di irreparabile perdita, che non sapevo definire, ma che mi metteva dentro una specie di sofferenza fisica, come un freddo nelle ossa.

Dopo, col crescere della formazione cristiana e sacerdotale, la festa di Tutti i Santi ha fatto come il sole, è cresciuta nel cielo della mia vita ed ha abbracciato non solo il 1° di novembre, ma anche il giorno dei morti e un po’ tutti i giorni del vivere terreno, illuminandolo come un viaggio: un viaggio che ha come punto di arrivo proprio quella moltitudine immensa che fa festa dinanzi a Dio seduto sul trono e all’Agnello.

Tra loro che nella patria contemplano il Volto di Dio e noi ancora pellegrini sulla terra non c’è distanza. Anzi, la comunione è così profonda che da loro e da noi sale a Dio uno e trino un solo canto di lode. Certo – come dice S. Agostino – qui cantiamo da morituri, lassù si canta da immortali; qui nella speranza, lassù nella realtà; qui da pellegrini in esilio, lassù da beati nella patria. Ma l’Alleluja dei pellegrini e l’Alleluja dei santi in paradiso formano un unico canto di adorazione e di ringraziamento alla gloria di Dio. Loro, i santi, gridano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello». Gridano a gran voce, cioè con l’offerta della loro vita intera, con l’esperienza piena della misericordia, ormai totalmente e definitivamente consegnati all’Amore. Invece, la voce della nostra vita è ancora debole e incerta, non pienamente accordata con le altre voci: c’è bisogno che si rafforzi nella fede, diventi sicura nella speranza, acquisti il timbro e la profondità della comunione per gridare a gran voce la nostra crescente risposta all’amore di Dio.

Col passare degli anni gli occhi del corpo si sono indeboliti, ma quelli dell’anima sono cresciuti nella capacità di contemplare e in quella «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua» pensano di riconoscere molti volti. Oh, quanti ormai ne conosco, che sono sicuramente in Paradiso! Quelli per i quali la Chiesa fiorentina domanda un riconoscimento ufficiale di santità e tanti altri che hanno illuminato questo periodo storico di mutamenti sociali, culturali, economici, religiosi, persone che hanno dato il loro vigoroso «colpo di remo» alla barca della società e della Chiesa per affrontare il mare del terzo millennio. Quelli che il Signore mi ha dato la grazia di incontrare nella mia ormai lunga vita, godendo della loro fede e della forza del loro amore: vescovi, preti, persone consacrate, donne ed uomini del popolo santo di Dio. Persone apparentemente come tutte le altre, ma che portavano dentro il tesoro di una fede evangelica e nascondevano con un sorriso il dono della vita. Nella festa di Tutti i Santi in modo particolare, le loro voci conosciute e care risuonano nell’intimo profondo: «Ora i nostri occhi vedono la fedeltà del Signore che rimane in eterno! Ora la tenerezza dell’Amore misericordioso di Dio riempie il nostro cuore come le acque ricoprono la superficie del mare! Esci dalla barca delle tue sicurezze e nella fede cammina incontro al Cristo che ti dice: “Vieni ad attingere gratuitamente l’acqua della vita!”».

Poiché tutti i giorni proclamo di vivere «nell’attesa che si compia la beata speranza», occorre che vigili perché la lampada della speranza sia sempre rifornita di olio.Se al di sopra di noi si apre questo santuario di Dio nel cielo, un po’ di azzurro si riflette anche sulla terra. Leggo nel settimo capitolo della Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, la Lumen gentium: «Già è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è irrevocabilmente fissata e in certo modo reale è anticipata in questo mondo: difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta…Congiunti dunque con Cristo nella Chiesa e contrassegnati dallo Spirito Santo con verità siamo chiamati, e lo siamo, figli di Dio, ma non siamo ancora apparsi con Cristo nella gloria, nella quale lo vedremo qual è» (LG,48). Io non finisco mai di pregare come il cieco del Vangelo: «Signore, che io veda!». Vedere, come diceva il 23 giugno 1978 il Papa Paolo VI: «Accanto a fiorenti monasteri, sono sbocciati fervidi centri e gruppi di preghiera: sono piccole cellule di vita ecclesiale, spesso discrete e addirittura ignorate, che diffondono nel nostro mondo l’ossigeno vitalizzante delle altezze spirituali».Quando nei nostri boschi nascono i funghi, non tutti sono capaci di trovarli. Ci sono persone che ci passano accanto, rischiano di schiacciarli con i loro piedi, ma non li vedono. Così può succedere per i santi sulla terra.

Scrive Daniel Ange: «Nel silenzio in cui si compiono le cose grandi, lo Spirito sta risvegliando i testimoni. Egli ci prepara un gran numero di Benedetti, di Franceschi, di Domenichi, di Ignazi, che non saranno necessariamente benedettini, francescani, domenicani o gesuiti (che tutto costoro vogliano scusarmi!). Ci prepara nuove Chiare, Chantal, Terese – grandi e piccole – che, inebriate di Dio, veglieranno al capezzale del mondo come una madre sul suo bambino, facendogli diminuire la febbre e placandone i timori. Ci prepara Martini de Porres e Giovanni di Dio che inondino i nostri ospedali di infinita compassione; Giovanne Jugan e Terese Couderc che aprano le braccia ad ogni dolore. Bernardi e Patrizi i quali lasciano i loro “deserti” per proclamare su tutte le strade che Dio è Dio. E Franceschi Saverio sempre attesi dalla Cina; Franceschi Régis e Luigi Maria de Monfort che vadano di villaggio in villaggio a ridestare la fede e riaccendere l’amore; e i Giovanni Maria Vianney che avranno parrocchie prese d’assalto da esseri affamati di perdono. Stalislai Kostka e Domenichi Savio che preparino nelle scuole i sentieri del Signore. E poi capi di Stato della tempra di san Luigi di Francia; magistrati integerrimi come Tommaso Moro; educatori che abbiano l’entusiasmo di san Giovanni Bosco; sposi dalla santità contagiosa quali i genitori di Teresa Martin. Tutto questo ci sarà dato, ci è dato. Per il nostro mondo così gravemente smarrito, sì, il Signore sta suscitando un nugolo di testimoni» (Daniel Ange, I Santi dell’anno 2000, perché massacrarli?, Editrice Ancora Milano).

Esclamava La Pira: «Il rapporto tra il Risorto e la storia universale è un rapporto di “causalità finale”: un rapporto, cioè, che finalizza la storia umana ed irresistibilmente la avvia – nonostante anse e nonostante flussi e riflussi – verso il porto “atteso” dell’unità, del disarmo, della giustizia e della pace fra i popoli di tutta la terra! Il Risorto – centro della storia! – è insieme “causa efficiente e causa finale” di questa “tendenza” di fondo della storia universale: una storia “lanciata” – in certo modo irresistibile – verso il porto dell’unità, della giustizia, del disarmo, della pace!».

Il salmo 57 indica bene il nostro impegno di speranza. Il credente riconosce di essere «in mezzo a leoni, che divorano gli uomini», si accorge che i persecutori «hanno teso una rete ai miei piedi, mi hanno piegato, hanno scavato davanti a me una fossa», ma esclama: «Saldo è il mio cuore, o Dio, / saldo è il mio cuore. / Voglio cantare, a te voglio inneggiare: / svégliati, mio cuore, / svégliati arpa e cetra, / voglio svegliare l’aurora».

Per forzare la nascita dell’aurora occorre «sperare contro ogni speranza» (in spem contra spem!) facendo credito ad occhi chiusi alle promesse del Signore ed insieme fare scelte coerenti con la scelta che Dio ha fatto per noi: «In Cristo il Padre ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella Carità» (Ef.1,4).

La morte non fa paura. Lo dice anche l’arte

Ma esiste il limbo?