Cultura & Società
Extravergine d’oliva per condimenti più sani
Fin dall’antichità sono state riconosciute all’olio proprietà particolari non solo di alimento sano e nutriente, ma anche virtù terapeutiche e di tutela della salute, tanto che era usato anche come medicamento per i dolori (olio caldo), o per le ferite e altri inconvenienti. Gran parte di queste qualità sono state riscontrate valide anche al vaglio della scienza, anzi oggi l’olio si ripropone come alimento principe di una sana nutrizione e di una dieta corretta. I grassi animali, invece, non hanno ricevuto altrettanti consensi, tanto che oggi l’olio espande sempre di più la sua zona di consumo.
Per quanto riguarda le caratteristiche nutrizionali, l’olio extravergine d’oliva chimicamente è costituito per la maggior parte di grassi, dei quali il 75 – 80% è rappresentato da acido oleico, che molti studi scientifici hanno indicato essere il grasso alimentare migliore esistente in natura.
Questo infatti risulta poco sensibile ai fenomeni ossidativi, che sono i vettori più importanti di gravi malattie, per cui preserva dall’arteriosclerosi ed altri accidenti cardiovascolari; inoltre non solo ha la proprietà di ridurre il colesterolo totale, ma soprattutto provoca un aumento della frazione HDL, il «colesterolo buono», che funge da «spazzino» delle arterie.
Altra peculiarità della composizione chimica dell’olio è l’elevato contenuto di sostanze antiossidanti: polifenoli e tocoferoli (vitamina E). Esse contribuiscono a contrastare i fenomeni ossidativi nell’olio, di conseguenza si ostacola l’ossidazione dei grassi, fenomeno responsabile dell’irrancidimento. Nell’organismo umano, le stesse molecole hanno la stessa funzione di contrastare i fenomeni ossidativi e la formazione di radicali liberi e perossidi, costituendo dunque una difesa nei confronti di aterosclerosi e alcune forme di cancro. Noto per la sua digeribilità, adatto per cucinare perché stabile alle alte temperature, regola l’assorbimento dei grassi a livello intestinale e promuove la loro digestione.
Non tutti i prodotti dunque sono uguali: come riconoscere allora un olio buono?
La qualità dipende da molti fattori, di cui citiamo qui i più importanti. Per prima cosa, per avere un olio buono si devono preservare al massimo l’integrità e la freschezza delle olive, per cui esse vanno raccolte al giusto grado di maturazione. I frutti devono essere colti direttamente dall’albero e non dopo che sono caduti a terra, e franti prima possibile. L’elemento principale che per legge indica la bontà di un olio è l’acidità, un parametro chimico non percepibile con il gusto, espresso come acido oleico libero: un extravergine deve stare sotto il limite di 0,8%.
Un parametro non scientifico, e che naturalmente non fornisce certezze, per riconoscere un olio buono è il prezzo: per i costi relativi alla filiera produttiva, infatti, un chilo di olio extravergine non può costare 3 euro. Ciò non garantisce naturalmente che scegliendo sullo scaffale l’olio al costo maggiore si acquisti un olio di alta qualità.
Esistono diversi metodi escogitati al fine di mettere sul mercato come prodotto genuino un olio che non ha i necessari requisiti. Il più usato è quello di aggiungere olio di semi all’olio di oliva, vendendo il tutto al prezzo dell’olio di oliva. Con i mezzi normalmente a disposizione nei laboratori di analisi distinguere, a livello chimico, i due tipi di oli è un processo lungo e dispendioso: perciò la legge impone ai produttori di oli di semi l’aggiunta di piccole quantità di olio di sesamo, in modo tale che si possa facilmente individuare la presenza di un olio improprio, essendo quello di sesamo facilmente rilevabile. Esiste la possibilità di sintetizzare chimicamente l’olio di oliva (da glicerolo e acidi grassi) imitandone la composizione, ma anche questa alterazione può essere svelata.
La differenza tra le due indicazioni è quindi che mentre nel caso della Dop tutto il ciclo produttivo deve avvenire nell’area di denominazione, per l’Igp basta che una delle fasi del ciclo produttivo avvenga nell’area di denominazione: questo permette, ad esempio, l’utilizzo di materie prime provenienti da altre regioni.
Questo è dovuto principalmente al suo elevato punto di fumo, vale a dire la temperatura a cui un olio brucia, che si individua per il fumo bianco che si forma: a questo livello i grassi si alterano e formano composti tossici per l’organismo umano. L’olio extravergine di oliva, ha un punto di fumo elevato che consente di raggiungere le alte temperature necessarie per la frittura senza oltrepassarlo, mentre gli oli di semi hanno punti di fumo assai inferiori, salvo l’olio di arachidi che ha un valore di poco inferiore rispetto a quello d’oliva. Inoltre la presenza di sostanze antiossidanti preserva proprio l’alterazione dei grassi. Ecco perché friggere con olio di oliva contribuisce alla prevenzione del cancro.