Cultura & Società

Sterco di capra e pelle di velluto. La cosmesi nell’antichità

di Elena GiannarelliÈ di questi giorni la notizia che a Londra un ricercatore ha trovato un vasetto tra i resti di un tempio romano. In quel contenitore del II secolo è stata rinvenuta una crema di bellezza che le antiche nostre antenate usavano come fondotinta. Molti si sono meravigliati, in realtà si tratta di qualcosa di assolutamente normale, perché fin dalla notte dei tempi trucco e belletto sono stati sempre presenti.

Nell’immaginazione popolare Cleopatra appare perennemente di profilo e con il fascinoso occhio bistrato; Poppea Sabina è immersa in un bagno di latte d’asina; Messalina e Agrippina sono intente a trafficare con vasetti di unguenti e profumi costosissimi, tutti di provenienza orientale. L’Oriente era infatti patria di tutte le più «sciagurate» novità, soprattutto di quanto portava alla corruzione dei costumi: gioielli, aromi, maquillage compresi. Secondo i benpensanti antichi, il sobrio vivere di chi era saggio e onesto non poteva contemplare mollezze e men che meno adulterazioni del proprio aspetto. Ce lo hanno lasciato scritto i greci, ce lo hanno insegnato a chiare note i romani.

Tuttavia le donne hanno sempre cercato di migliorare la loro figura o addirittura hanno chiesto a misture più o meno «magiche» quella bellezza che madre natura non aveva loro dato; c’è sempre stato chi ha tuonato contro questo costume.

Già nel VI secolo Solone con una legge vietò agli Ateniesi l’uso di profumi e Senofonte, in un suo scritto dedicato al buon governo della casa (Economico) mette in bocca ad un marito, Isomaco, parole interessanti nei confronti di sua moglie: «Un giorno la vidi tutta impiastrata di biacca, per sembrare più bianca di quanto fosse realmente, e di ocra, per acquistare un colorito più roseo di quello naturale e con dei sandali alti per sembrare di statura superiore alla sua. Ed io le dissi “Preferisco il tuo colorito alla biacca e all’ocra. Questi inganni potrebbero forse illudere gli estranei, che non ne hanno prova, ma quando delle persone vivono sempre insieme, si lasciano necessariamente cogliere in fallo se cercano di ingannarsi l’un l’altra. O si viene sorpresi nell’atto di alzarsi dal letto, prima di essere preparati, oppure si è smascherati dal sudore, o messi alla prova dalle lacrime, o si appare di colpo quali si è davvero all’uscita del bagno”». Il coniuge poi insegna alla consorte che la vera bellezza è quella che viene dalla attività fisica domestica (fare la pasta, sbattere le coperte) e da una pulizia accurata e sobria. Così ragionava un marito nell’antichità; però gli uomini preferivano le bionde, soprattutto artificiali, ed ecco allora che i testi antichi diventano una miniera di ricette di bellezza. Eccone alcune. In primo luogo si raccomanda la pulizia.

Scrive Ovidio rivolto alle dame di Roma: «Vi stavo quasi ammonendo che il puzzo acre di capro non si insinui sotto le ascelle e che le gambe non siano ispide di densi peli…. Dovrei forse insegnarvi che per incuria non anneriscano i denti, o di lavare al mattino il viso con l’acqua? Sapete anche procurarvi una carnagione candida con impacchi di argilla; quella che non ha dal suo sangue un colorito roseo del volto lo ottiene con l’arte. Con l’arte colmate i confini nudi delle sopracciglia e un piccolo neo veli la tinta naturale delle gote. Non c’è da vergognarsi a tracciare il contorno degli occhi con un tocco di carbone o col croco».

Plinio nella Naturalis Historia suggerisce: «Si ritiene che il latte d’asina elimini le rughe dalla pelle del viso e la renda morbida e bianca e si sa che certe donne vi si curano le gote sette volte ogni giorno, facendo attenzione a questo numero…. Gli sfoghi d’acne si eliminano spalmandovi burro, meglio ancora se vi si mescola biacca; con semplice burro, invece, se vi si applica farina d’orzo, quelle afflizioni che si propagano; le ulcerazioni del viso si curano con placenta di mucca ancora umida…. L’astragalo di un giovenco bianco, fatto bollire per quaranta giorni e quaranta notti, fino a che si sia ridotto in gelatina e poi spalmato con un panno, assicura candore alla pelle, eliminandone le rughe. Lo sterco di toro si dice che colori di rosso le guance, tanto che non si ottiene un effetto migliore se vi si spalma sopra quello di coccodrillo; si prescrive di lavarsi energicamente con acqua fresca prima e dopo. Le chiazze di rosso sulla pelle e tutto ciò che ne altera il colore si curano con sterco di vitello da impastare a mano con olio e gomma; le ulcerazioni della bocca e le screpolature delle labbra con sego di vitello o di bue insieme a grasso d’oca e succo di basilico…. Con sego d’asino si ridà colore alle cicatrici, soprattutto a quelle causate da fungosi o dermatosi scagliose. Il fiele di capro elimina le lentiggini se vi si mescola formaggio di capra con zolfo, vino e cenere di spugna, fino ad ottenere la densità del miele». E così via. C’è da ringraziare il cielo ad essere nate adesso, anche se spesso, a leggere il contenuto dei prodotti di bellezza, la presenza di elementi chimici rischia di trasformare una donna in una sorta di bomba alla nitroglicerina.

Comunque sia, una regola deve esserci: il giusto mezzo è sempre da praticare. Un aspetto curato, pulito, una sobria eleganza sono un dovere: una maschera è tutt’altro.