Cultura & Società

Da destra e da sinistra l’assalto del laicismo

di Giuseppe SavagnoneE’ proprio vero che, in Italia, sia in corso un’offensiva dei cattolici per conquistare gli spazi della vita pubblica? Voci allarmate di «laici» lo affermano con insistenza ormai da un certo tempo. L’ultima è quella del noto regista Marco Bellocchio che, in un’intervista sul «Corriere della Sera» di qualche giorno fa, manifestava senza mezzi termini il proprio profondo malessere per il «ritorno del cattolicesimo, con il suo carico di conformismo, di oppressione, di condizionamento, di educazione alla mediocrità». Un ritorno che Bellocchio esemplifica con l’onnipresenza di preti e cardinali in tv, nonché con la recente approvazione della legge sulla fecondazione assistita e che maschera, secondo il regista, la crisi fin troppo reale dell’istituzione ecclesiastica, in una società dove ci sono sempre meno vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata e dove diminuisce ogni anno il numero delle persone che si sposano in chiesa. Ma a questo sostanziale indebolimento farebbe da contrappeso, paradossalmente, quello che Bellocchio presenta come un tentativo di egemonia culturale, favorito, secondo lui, dalla crisi del freudismo e del marxismo.

In questo quadro vi è indubbiamente qualcosa di vero. A dispetto delle previsioni di quanti profetizzavano un inarrestabile declino del sacro nell’età della secolarizzazione, si assiste ormai da qualche decennio a una ripresa della religiosità sotto le forme più svariate. Ben lungi dal liquidare l’esigenza del mistero e della trascendenza, il trionfo del computer e della globalizzazione sembra renderla ancora più forte, probabilmente anche come antidoto all’aridità di una razionalizzazione tecnologica che ignora le sfere più profonde dell’anima.

Inoltre, la crisi del marxismo, in particolare dopo il sessantotto, e l’ambiguità del progresso scientifico-tecnologico, rendono oggi in Occidente il messaggio cristiano la sola alternativa credibile al malessere prodotto dalle contraddizioni del neocapitalismo, sia al livello sociale che a quello politico-internazionale in questioni capitali, come quella della pace e della solidarietà.

Innegabile è, infine, nel nostro paese, un certo presenzialismo di religiosi e sacerdoti nel campo dei mezzi di comunicazione, probabilmente per la convinzione che una certa visibilità costituisca comunque un guadagno per la «causa» del Vangelo.

Tutto ciò non giustifica, però, l’ondata di diffidenza, se non addirittura di rabbiosa ostilità, che da qualche tempo si è sviluppata, in Europa e in Italia, nei confronti dei cattolici. Per spiegare questi atteggiamenti bisogna forse parlare non tanto di un ritorno del cattolicesimo, quanto di quello delle ideologie. Una in particolare, che si potrebbe definire «individualismo laicista», serpeggia sia nella destra che nella sinistra dello schieramento politico, si affaccia sulle pagine dei grandi quotidiani, è fortemente diffusa nell’opinione pubblica, senza risparmiare neppure tanti che si ritengono credenti. Questa ideologia pone come un dogma indiscutibile la libertà di scelta dell’individuo (senza chiedersi, peraltro, quali segreti condizionamenti determinino, a monte, tale scelta) e, in suo nome, rifiuta ogni caratterizzazione morale o religiosa della sfera pubblica. La fede religiosa viene ritenuta ammissibile, purché rimanga un fatto puramente interiore, e non pretenda di influire sulle vita politica e istituzionale. Non è questa la sede per discutere tale posizione. Ci basta notare, qui, che essa è in diretto contrasto con l’essenza del cristianesimo, fondata sull’incarnazione nella storia e irriducibile a un vacuo intimismo spiritualistico.

C’è, tuttavia, in queste critiche dei «laici», un’anima di verità che dovrebbe inquietarci. C’è veramente il rischio che la Chiesa, invece di prendere sul serio il problema di trovare nuovi linguaggi e nuovi stili, adeguati al mondo d’oggi e capaci di coinvolgere la nostra società post-cristiana, scuotendone la «noia», cerchi di compensare le innegabili difficoltà della sua evangelizzazione con operazioni di facciata che possono colpire la massa della gente, ma non costituiscono autentico rinnovamento pastorale. Come c’è il rischio che la presenza nel pubblico, invece di assumere i toni coraggiosi della profezia, si riduca davvero all’occupazione di spazi e alla negoziazione di privilegi. Se intese come un’occasione per riflettere su questi problemi, perfino le esagerate e ideologiche accuse di Bellocchio e di tanti che la pensano come lui possono essere salutari.