Cultura & Società
Attenti ai… liguri apuani
Per noi toscani riveste un particolare interesse il ramo dei Liguri che ha abitato nella parte superiore della Val di Magra, nella Garfagnana, in Versilia, fino alla foce dell’Arno. Gli addetti ai lavori li chiamano Apuo-liguri; comunemente sono detti Liguri-Apuani. Sono oggetto di leggenda, in particolare per quanto riguarda la città di Apua, che si favoleggia fosse alle sorgenti della Magra stessa; sono invece oggetto di storia e molti autori greci e latini ce ne parlano con toni oscillanti fra ammirazione e costernazione. Vedremo il perché.
Partiamo dai dati di fatto: originari forse del delta del Rodano, furono spinti a sud dal sopraggiungere di altre popolazioni e si stanziarono fra Arno e Magra, ma soprattutto sulla fascia collinare e montana dell’entroterra. Rocca di Corvaia, Valdicastello, Minazzana e Levigliani sono alcuni dei loro insediamenti. È proprio in quest’ultimo paese, arroccato sotto la Pania della Croce, che a partire dal 1847 fu trovata e scavata una piccola necropoli, con tombe contenenti ceramiche databili alla seconda metà del III sec. a.C. Se la sepoltura di un’antichissima signora ha restituito fibule, anelli di bronzo, una collana d’ambra ed un attrezzo per tessere, ad indicare il suo lavoro e la cura della propria eleganza, le armi e l’ascia trovate nella tomba dell’uomo hanno raccontato una vita di caccia, di lotte e di fatiche, a conferma di ciò che nel I sec. a.C. scriverà lo storico Diodoro Siculo. Questi, dopo aver descritto il paese fitto di boschi che i Liguri abitavano, narra che alcuni di essi passavano l’intera giornata a tagliare alberi con le asce che portavano sempre con sé. L’apuano di Levigliani se l’è portata anche nel mondo dei morti. Ancora più indietro pare risalire la loro presenza nella Valle del Serchio, forse al sec.IV. Abitavano in piccoli villaggi visibili l’uno dall’altro a scopo di difesa. Nel Sarzanese la loro civiltà ha lasciato statue-stele di grande fascino, poi raccolte al Museo di Pontremoli.
Li ha resi famosi la loro accanita resistenza ai Romani che, durante l’avanzata nella piana di Lucca e in Versilia, entrarono in contatto con un «durum in armis genus», un popolo forte, alla lettera «tosto», nell’uso delle armi, come scrive Livio. Gli Apuani non volevano cedere la loro terra e cominciarono ad attuare una lunga serie di episodi di guerriglia, poiché non avevano un esercito che potesse reggere il confronto con le legioni. Sempre Livio li definisce «un nemico che pareva fatto apposta per mantenere nei Romani l’allenamento militare durante i periodi di intervallo fra le grandi guerre». Si erano specializzati in scorrerie contro le colonie del litorale ed avevano attaccato perfino Pisa. Operavano in un territorio montuoso e difficile, con sentieri stretti e dirupati, che essi conoscevano benissimo; piombavano all’improvviso addosso ai Romani e nel 187 inflissero al console Q. Marcio la perdita di quattromila uomini e di tre insegne. La risposta fu terribile: nel 180 quarantatremila Apuani vennero deportati nel Sannio; i superstiti, non domi, già nell’anno successivo insorsero e di nuovo altre settemila persone furono costrette al sud. Soltanto nel 155 la loro sconfitta fu definitiva e al console Claudio Marcello fu decretato il trionfo per avere definitivamente risolto il problema dei Liguri Apuani.
Le popolazioni che abitano quelle terre amano rievocare queste antiche storie: nonostante la deportazione, i minazzanesi, quelli di Levigliani, i versiliesi della montagna, gli abitanti di Filattiera e molti altri riconoscono negli antichi guerrieri (o guerriglieri) che tennero in scacco i Romani gli antenati di cui vantarsi.