Cultura & Società
La Terra Santa in scena a San Miniato
Se il percorso che padre Matteo (il protagonista del «Custode dell’acqua») compie sulla scena è un percorso di iniziazione, con la costante preoccupazione dell’uomo di fede di trovare la strada perché mondi che non comunicano più fra loro tornino a parlarsi e magari a vivere insieme pacificamente, allo stesso modo si comporta ogni giorno padre Michele Piccirillo nella reale e spesso disarmante situazione della quale si trova ad essere testimone.
«Come Francescani ci dice custodi dei Luoghi santi a nome della Chiesa cattolica dal lontano 1342 abbiamo sempre presente il gesto profetico e fondante dell’incontro di Francesco con il sultano Malik al-Kamil nipote di Salah ed-Din al-Ayyubi (il Saladino della nostra memoria storica vincitore della battaglia di Qarn al-Hattin nel luglio del 1187) che si inserisce in un percorso di pacificazione che era presente nei consigli che il Sultano morente dette a suo figlio governatore di Aleppo. Incontrarsi nel nome di Dio che è pace per conoscersi e diventare amici».
Frate francescano e archeologo in una terra sempre meno santa, teatro di un conflitto di cui non si vede la fine, «anche l’impegno sul piano professionale afferma ancora lo stesso padre Michele diventa un impegno per la pace e una ricerca intesa a precisare e spesso almeno a sfatare preconcetti e luoghi comuni nelle relazioni tra le comunità che vivono in questa terra, raccogliendo testimonianze di un passato meno teso per un ideale messaggio di pacificazione». Sul Monte Nebo, in Giordania, dove gli archeologi dello «Studium biblicum franciscanum» di Gerusalemme lavorano sotto la direzione di padre Michele all’ombra del Memoriale di Mosè costruito nel IV secolo dai cristiani di Madaba per ricordare il Profeta e Legislatore biblico «siamo particolarmente sensibili aggiunge l’archeologo a questa forma di dialogo attento a rintracciare i piccoli segni di un incontro iniziale tra la comunità cristiana e quella musulmana che eventi futuri interruppero e alterarono».
A proposito dell’impegno professionale, non potendo far fronte a tutti i problemi emersi durante la lunga preparazione di un volume sui mosaici della Giordania, padre Michele e i suoi hanno deciso di limitare il loro lavoro ad alcuni monumenti della regione di Madaba. In questo senso sono nati cinque progetti di Parchi archeologici in via di realizzazione: a Madaba, dove insieme al parco è stata creata anche una scuola; quello di Macheronte, quello di Umm al-Rasas; il parco archeologico del Monte Nebo e il Parco del battesimo nel wadi Kharrar lungo il fiume Giordano.
Per quanto riguarda la montagna, si è detto disposto a dare istruzioni ai ministeri competenti perché sia realizzato il Mount Nebo Archaeological Park deciso da Re Hussein prima della sua morte immatura. Ha chiesto poi informazioni sul progetto della copertura della Basilica, di cui aveva già ricevuto la recente pubblicazione («Un progetto di copertura per il Memoriale di Mosè a 70 anni dall’inizio dell’indagine archeologica sul Monte Nebo in Giordania», 1933-2003), dicendosi particolarmente interessato e pronto ad aiutare finanziariamente il progetto.
Ha letto la riduzione teatrale?
«Sulla riduzione teatrale non posso dire quasi nulla. Ho letto solo l’inizio. In un primo tempo il regista, mio carissimo amico, pensava la facessi io ma non era possibile, tengo molto al distacco fra romanzo e riduzione teatrale, mi interessa che ci sia un occhio diverso. Ho scritto testi teatrali e commedie ma quando ho deciso che volevo fare il romanziere ho staccato con il resto e quindi non potevo dopo 20 anni tornare a scrivere un testo teatrale. Per questo ho tenuto apposta un distacco che però è affettuoso e anche di rispetto nei confronti di chi ha fatto la riduzione».
Il suo libro «Il custode dell’acqua» è stato definito un romanzo d’azione, un thriller di grande tensione e una storia originale piena di significati che superano il tema proprio del giallo per invadere altri campi di interesse. Vogliamo ricordarne la trama?
«Siamo in Israele, a Gerusalemme. A padre Matteo, un francescano archeologo, viene affidato il compito di scoprire l’assassino di un suo confratello, Luca, e di capire che cosa potesse mai contenere il collare del suo cagnolino, misteriosamente scomparso. Tra le azioni dei servizi segreti israeliani e i posti di blocco si muove l’indagine di padre Matteo, permettendo ai lettori di conoscere i luoghi meno noti della Città Santa e nello stesso tempo di trovare con lui la soluzione del mistero».
Per il personaggio di Matteo lei si è ispirato alla figura reale del noto archeologo francescano padre Michele Piccirillo. Perché?
«Padre Piccirillo da grande amico e compagno di fede è diventato un eroe letterario. Non c’è mai un perché sugli eroi letterari, per me Michele, anche per il luogo nel quale vive, per le atmosfere di Gerusalemme, per come lui me l’ha fatta conoscere, era potenzialmente un eroe da romanzo in un luogo dove una spy story ha un’ambientazione quasi naturale. E poi la mia voglia di raccontare Gerusalemme. Io racconto una città e un mondo e il mondo dei francescani è un grande romanzo di genere».
Sulla scena il ruolo di Matteo alias padre Piccirillo sarà interpretato da Maurizio Donadoni. Che ne pensa?
«Sono molto contento della scelta di Maurizio Donadoni che considero uno degli attori migliori del teatro e anche del cinema italiano. Li ho fatti anche incontrare Donadoni e Piccirillo: Michele se l’è guardato e gli ha detto pressapoco così: Mi raccomando interpretami bene. Era molto incuriosito da questo attore anche perché capita raramente che ci sia un personaggio vivente e di fronte a lui l’attore che lo deve interpretare».
«Il custode dell’acqua» è il primo volume di una trilogia. A che punto è?