Cultura & Società
Pio II, il papa che anticipò l’Europa
Avendo manifestato fin da fanciullo doti straordinarie di intelligenza, di memoria e di umana sensibilità, nel 1423, Enea Silvio emigrò da Corsignano a Siena, dove divenne studente di Diritto nello Studio Generale Senese, emergendo immediatamente per la forte passione dei classici latini: Cicerone, Virgilio, Tito Livio. Fu ben presto riconosciuto come valente umanista, poeta e diplomatico accorto.
A Siena, ascoltò ammirato, le prediche di San Bernardino in Piazza del Campo, ma dopo un breve pensiero al francescanesimo, incominciò a comporre poesie frutto delle prime avventure amorose. Tuttavia, anche la bella Siena, si rivelò presto incapace di trattenere lo spirito straordinario di Enea, tanto che alla fine del 1431, egli seguì a Basilea il cardinale Capranica, il quale colpito dal giovane acclamato oratore e dottore in Diritto, lo volle al suo seguito come avvocato e segretario nelle controverse dispute del Concilio (iniziato nel 1431 e terminato nel 1439).
Enea accettò con entusiasmo l’offerta del Cardinale e corse a Corsignano a salutare il babbo e la mamma che consegnarono al figlio la somma ricavata dalla vendita di un mulo. I Piccolomini, infatti, di nobili origini, a lungo protagonisti della vita di Siena, furono esiliati a Corsignano, a seguito della rivolta popolare che rovesciò il governo aristocratico detto «dei Nove», perdendo così ricchezze e privilegi. Partì dunque Enea lasciando Corsignano, Siena e l’Italia, ricco solo del suo genio, del suo entusiasmo.
Anche a Basilea, nonostante il Concilio, si viveva un tempo di accentuata rilassatezza di costumi, ed infatti i primi anni di Enea in quella città, sono da considerare tra i più profani della sua esistenza. La fede che in lui non era morta, riemergeva soltanto nei momenti di vario pericolo, come quando durante un viaggio in Scozia, sembrò inevitabile il naufragio o quando verso la fine degli anni trenta a Basilea, due epidemie lo privarono di due dei suoi migliori amici.
Cercò anche di elevare il suo basso tenore di vita perché, diceva: «L’eccessiva povertà non consente un libero dedicarsi allo studio della sapienza». Ebbe anche esperienze amorose. Seguì le vicende del Concilio indetto da Martino V e continuato da Gregorio IV, che segnò il massimo della conflittualità tra il papa e i Padri del Concilio, i quali rivendicavano la supremazia del Concilio sul papa stesso. In questa disputa Enea, si schierò apertamente a favore dei conciliaristi e la sua permanenza a Basilea fu l’occasione di una lusinghiera affermazione personale. Fu infatti segretario e abbreviatore del Concilio e nel 1439 divenne primo segretario dell’antipapa Felice V, che si era fatto eleggere in luogo del deposto Eugenio.
Durante quegli anni Enea intervenne più volte in quello che divenne presto il suo pensiero fisso: promuovere l’unione dei Greci con la Chiesa cattolica allo scopo di arrestare la minacciosa avanzata dei Turchi. Nel 1442 Enea si recò come ambasciatore alla dieta di Francoforte, dove Federico di Asburgo fu incoronato re dei Romani e designato come imperatore del sacro Romano impero. In quella occasione Enea, fu incoronato poeta e passò quindi al servizio dell’imperatore lasciando l’antipapa Felice V. Nel frattempo stava maturando in lui una più profonda coscienza ecclesiale, anche se qualcuno criticò questo suo cambiamento attribuendolo a mero calcolo politico. Alle critiche Enea rispose: «Non sono stato io ad allontanarmi dai Padri di Basilea e a cambiare orientamento. Sono stati loro ad allontanarmi e a cambiare parere».
Nel decennio 1445-1455, Enea, come ambasciatore dell’imperatore Federico II, percorse più volte avanti e indietro l’intera penisola italiana quale depositario di missioni di somma importanza per la Chiesa e per l’Impero. Tornato a Roma crebbe in Enea, la sua stima per la persona di Eugenio IV, che l’8 febbraio del 1446, dopo averlo perdonato per il suo precedente schieramento a favore dell’antipapa Felice, lo nominò segretario pontificio. Ritrattate le sue precedenti opere letterarie licenziose, si aprì per lui la strada per l’assunzione di sempre maggiori responsabilità nell’ambito della Chiesa. Il 6 marzo del 1446 fu nominato suddiacono, il 13 marzo sempre del 1446 diacono, ed il 13 marzo del 1447, sacerdote e nello stesso anno, il 15 agosto, vescovo di Trieste. Sarà poi vescovo di Siena e cardinale. Alla morte di Callisto III, fu eletto papa assumendo il nome di Pio II. Era il 15 agosto 1458.
Pio II, capo supremo della cristianità vide nel sultano turco, Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli, (la città che rappresentava l’ultimo baluardo dell’impero bizantino), un pericolo per l’intera cristianità. Pio e Maometto furono quindi grandi avversari politici ma anche esponenti di due ideologie impegnate in una lotta a oltranza. Numerosi esuli dalla Turchia erano venuti a Roma in cerca di protezione e Pio mise tutto il suo studio nell’organizzazione di una crociata.
Ma ad Ancona finì quello che è stato definito il suo «sogno»: la liberazione di Costantinopoli, che era stato il punto ideale del suo pontificato. Il 12 agosto quando finalmente le navi veneziane entrarono nel porto di Ancona, il papa le guardò sconsolato dal suo letto e con gli occhi spenti esclamò: «Fino ad oggi mi mancava la flotta, ora mancherò io alla flotta». Due giorni dopo spirò. L’Italia con lui perse un umanista, la cristianità un grande Pontefice, sanamente riformatore e condottiero.
Occorre infine ricordare che Pio concluse il suo pellegrinaggio terreno proprio nella notte fra il 14 ed il 15 di agosto del 1464. Era la festa di Maria Assunta in cielo. Il 15 agosto del 1447 Enea era stato nominato vescovo e il 15 agosto 1458 era stato eletto Papa.
Enea Silvio Piccolomini nel 1458, divenuto papa col nome di Pio II, decise di trasformare il povero borgo natio di Corsignano in una «moderna» cittadina. Pio, infatti, tornò a Corsignano dove era nato nel 1405 e che aveva lasciato a diciotto anni, (vedi la sua vita) solo dopo 27 anni, e cioè il 21 febbraio del 1459. Vi tornò dopo aver percorso tutte le strade di Italia e di Europa, non umile e povero come quando vi era partito, ma ricolmo di gloria e soprattutto come papa. Pio arrivò nel borgo natio accolto tra gli applausi dei suoi abitanti e delle numerose persone accorse dalle zone circostanti.
Lo stesso Pio, nei suoi «Commentari», ne racconta magistralmente, in terza persona, la storia, partendo dalla prima idea che gli venne passando, dal natio borgo di Corsignano diretto a Mantova dove il primo giugno aprì un importante Congresso per indurre i capi della cristianità a vendicare lo smacco della conquista turca di Costantinopoli: «Qui nacque Pio, e qui ricevette i primi ammaestramenti. Qua ritornando . Sperò di averne piacere: si figurava di parlare con i compagni degli anni giovanili, e di rivisitare con gioia il suolo natio. Ma avvenne tutto il contrario; la maggior parte dei coetanei era uscita da questa vita e quelli che ancora respiravano, gravati dalla vecchiaia e dalle malattie, erano immobilizzati nelle case; se alcuno si mostrava a stento si poteva riconoscere nel volto mutato, esausti di forze, esseri deformi e quasi nunzi di morte. Il Pontefice, dovunque s’imbatteva nelle prove della proprio vecchiaia…. Pio rimase qui nel giorno della festa chiamata della Cattedra di S. Pietro e vi celebrò la S. Messa. Stabilì inoltre di edificare in questo luogo una nuova chiesa e il palazzo per lasciare un ricordo più duraturo possibile della sua origine; per questi lavori pagò generosamente architetti e operai».
Fu quindi grande la gioia del ritorno che, il giorno seguente, il 22 di febbraio, Pio decise la costruzione di Pienza. Quasi subito fu aperto il cantiere di lavoro ed in soli tre anni, abbattuta la vecchia chiesa romanica di S. Maria, si costruì la nuova luminosa cattedrale, e la mirabile città nella quale aleggia il genio ispiratore dello stesso Pio e dell’Alberti, anche se fu il Rossellino a seguirne le opere di costruzione. L’impresa non fu semplice. I problemi da risolvere erano tanti, si trattava, infatti, della ricostruzione radicale di un borgo medioevale. Oltre al Palazzo ed alla Chiesa (che Pio ricoprì subito di importanti doni, di opere d’arte, di reliquie, di immagini sacre, di gioielli e di preziosi arredi, tra i quali il famoso Piviale ricamato in seta e oro), prese così vita una vera città in cui l’equilibrio delle forme e l’armonia delle proporzioni fungono da elementi fondamentali per affinare lo spirito e l’anima degli uomini. Nel progetto di Pienza c’è il sogno di una trasformazione e di una rifondazione del mondo su basi nuove, frutto di un pensiero moderno e tollerante.
Lo stesso Pio ammirandone la realizzazione, volle addirittura elogiare il Rossellino che gli aveva mentito nella spesa :«Bene hai fatto, o Bernardo, dicendoci il falso sulla spesa dell’opera. Se, infatti, ci avessi detto la verità, non ci avresti mai convinto ad affrontare una simile spesa e ora non esisterebbero questo nobile palazzo e questa cattedrale splendida fra quante sono in Italia. Per il tuo inganno sono stati innalzati questi illustri edifici, che tutti ammirano, con l’eccezione di pochi, morsi da livore dell’invidia. Noi ti ringraziamo e ti consideriamo meritevole di grande onore fra tutti gli architetti del nostro secolo». A quelle parole il cronista racconta, che Bernardo pianse di gioia.
Pio II dotato di particolare sensibilità artistica non solo si compiacque con il Rossellino (e con se stesso), ma consapevole di cosa siano capaci gli uomini anche contro le cose più belle, prima di lasciare Corsignano (che fin dal Concistoro del 15 febbraio 1462 aveva voluto fosse chiamato dal suo nome pontificale: Pienza, elevandola nello stesso tempo a dignità di città e di diocesi), il 16 settembre 1462, con tanta audacia, lanciò una scomunica, da assolversi solo dal sommo pontefice, contro chi nel corso del tempo avesse osato alterare e deturpare, anche minimamente, lo splendore della luminosa splendida cattedrale. Era il 1462, trent’anni dopo Colombo avrebbe scoperto l’America. Anche il cardinale Ammannati, che come gli altri cardinali su invito di Pio aveva costruito un Palazzo a Pienza, anticipando il suo arrivo nella nuova città, in una lettera sintetizzò il suo pensiero, la sua soddisfazione, scrivendo: «Domani arriverò in paradiso».
Dal quattrocento ad oggi a Pienza sono venuti, papi, imperatori, re, cardinali, granduchi, uomini di lettere di scienza e di guerra e tutti hanno avuto espressioni di lode per Pienza, la piccola Roma, la prima città con piano regolatore, città ideale, città d’autore, città modello, città di armonia, città dell’utopia. Si tratta ovviamente di espressioni di lode per Pienza ma anche per il suo figlio più illustre che come scrisse il Pascoli nel 1905, in occasione cioè del V centenario della nascita di Enea, era nata «da un pensier d’ amore e da sogno di bellezza». Pienza comunque ha saputo in effetti conservare (merito grande) quasi immutata la sua bellezza originale meritando ammirazione e rispetto con l’ambito riconoscimento da parte dell’Unesco di Patrimonio dell’umanità.
Altre iniziative sono previste nel 2006 a Siena (Palazzo Squarcialupi – Santa Maria della Scala) con la mostra «L’arte al tempo di Pio II – 1450 – 1470» e a Pienza (Palazzo Piccolomini e Duomo) con la mostra «Pio II, l’architettura e il paesaggio a Pienza e Siena». E ancora: Itinerari Piccolominei – Le tappe di Pio II da Roma a Siena; pubblicazione del Cerimoniale di Pio II.