Cultura & Società

Figli di Dio o eredi delle scimmie? Dibattito sull’evoluzionismo

di Andrea BernardiniDio o Darwin? Scienza o fede? Eredi di scimmie o figli di Dio? Qual è l’origine dell’uomo e dell’universo? Processi fisici casuali o progetto divino? Creazionismo o evoluzionismo? O magari un «disegno intelligente» combinato con le leggi della fisica?

Quesiti fondamentali, interrogativi complessi sull’origine e l’evoluzione della vita che tenterà di affrontare l’Istituto Stensen di Firenze (in viale Don Minzoni 25): da giovedì 6 ottobre a mercoledì 14 dicembre scienziati e filosofi, biologi e antropologi, credenti e non credenti si confronteranno nel corso di un ciclo di nove incontri dal titolo «Evoluzionismo e anti-evoluzionismo, un contenzioso non ancora chiuso», quarta edizione del «Novembre Stenseniano».

L’iniziativa è organizzata in collaborazione con l’Università di Firenze e l’Istituto regionale di ricerca educativa della Toscana (ulteriori informazioni al sito www.stensen.org).

Il professor Lodovico Galleni, 57 anni, docente di zoologia generale all’Università degli studi a Pisa e membro del Forum culturale della Chiesa italiana, è uno dei relatori del seminario di studi.

Professor Galleni, lei è favorevole o contrario alla teoria dell’evoluzione?

«L’evoluzione come fatto storico è ormai acquisita dalla cultura contemporanea quanto lo è l’esistenza dell’Impero romano. Si discute, invece, su come è avvenuta l’evoluzione, anche se la maggior parte degli studiosi concorda per la teoria della selezione naturale proposta da Darwin».

Molti libri di testo danno per scontata la teoria dell’evoluzione per spiegare la natura che ci circonda e l’origine dell’uomo. Fanno bene o male?

«Gli autori fanno un’operazione corretta. Attenzione, però: la teoria dell’evoluzione non deve essere usata come antitesi alla proposta di un progetto di Dio sulla natura e sull’uomo».

Evoluzione e teologia allora possono andare d’accordo?

«Teoria dell’evoluzione e teologia ormai possono integrarsi: lo ha spiegato molto bene Pierre Teilhard de Chardin, gesuita e paleontologo attivo nella prima metà dello scorso secolo. Più difficile si fa la questione parlando di darwinismo e teologia».

Si spieghi meglio…

«Per Charles Darwin all’evoluzione concorrono molti eventi casuali: infatti, per lui la mutazione, ovvero il cambiamento del materiale ereditario di un individuo, avviene a caso. E l’adattamento della specie passa anche attraverso malattie genetiche e sofferenza. Questo è una teoria che Darwin giudica fondamentale per tutta l’evoluzione: salta, dunque, la distinzione tra un universo incorrotto prima del peccato e un universo in cui la sofferenza e il dolore entrano a causa del peccato dell’uomo. Insomma, per Darwin non è colpa di Adamo se il bambino muore di anemia falciforme nei primi mesi di vita. Ma quell’anemia è, al contrario, utile per l’adattamento di un popolo ad un ambiente estremo come quello delle paludi malariche costiere».

Teilhard de Chardin come si pone di fronte a questa teoria?

«Teilhard de Chardin non nega l’importanza della casualità di alcuni meccanismi evolutivi. Ma grazie al suo lavoro di paleontologo mette in evidenza che il fine dell’evoluzione è un muoversi verso strutture cerebrali sempre più complesse e quindi verso la coscienza. Al contrario di quello che affermano i darwinisti più radicali, l’essere pensante è necessario all’economia dell’universo. Più grave è il problema della presenza della sofferenza fin dall’inizio della vita. Questione che si affronta, a mio parere, chiedendo ai teologi una seria riflessione sulla teologia della croce. Non sembri un paradosso che ciò che per decenni è sembrato un attacco del materialismo ateo alla teologia, oggi si ricompone ai piedi della croce. Ecco alcuni buoni esempi di come di fronte a posizioni apparentemente opposte, sia importante cercare percorsi di sintesi piuttosto che lo scontro».

Alcuni scienziati cattolici individuano dei buchi neri nella teoria dell’evoluzionismo: ad esempio manca una precisa sequenza di fossili capace di dimostrare gli antenati comuni tra scimmie antropomorfe (gorilla, scimpanzé e orango) e uomo…

«È vero, ma non sono solo gli scienziati cattolici a porre dei dubbi: le lacune sono riconosciute da tutti. Ma tutti sono convinti che debbano essere attribuite alla difficoltà di reperire i resti fossili e che d’altra parte le prove di una discendenza comune tra uomo e scimmie antropomorfe vanno al di là di ogni ragionevole dubbio. Gli interessati potranno andarsi a rileggere il documento sottoscritto dai dodici scienziati convocati dalla Pontificia Accademia delle scienze in Vaticano per discutere il problema nel 1982, cento anni dopo la morte di Darwin».

Ma allora ha ancora senso considerare il brano biblico della Genesi come il racconto della storia delle origini?

«Il problema delle origini della vita, della specie e dell’uomo è, ormai, di competenza della scienza. La teologia recupera dalla scienza le informazioni storiche sulle origini e deve indagare sul senso della presenza dell’uomo nell’economia dell’universo e sulle ragioni, la necessità e le prospettive che gli derivano dall’alleanza che il Creatore gli propone».

Il programma dettagliato degli incontri allo Stensen