Cultura & Società
1° novembre, l’enigma della santità
Entusiasti e immusoniti paiono entrambi esser caduti nel medesimo equivoco: se riusciranno a liberarsene, potranno rendersi conto che non c’è alcun motivo ch’essi siano né l’una, né l’altra cosa. La Chiesa resta quella ch’è stata e che per sua natura è, non abbandona alcuno spalto per rifugiarsi in alcuna torre né d’avorio né di altro materiale; non si «libera» da alcun problema di quelli che oggi angustiano il mondo, dal momento che ciascuno di essi la tocca da vicino e al tempo stesso ne condiziona l’esistenza.
È evidente che nessuna scelta storica, culturale o politica (nel senso migliore e più alto di quest’ultimo aggettivo) può esser condotta se non tenendo presente che tutto dev’essere radicato nel cristo, nella Sua presenza, nel Suo magistero; ma neppure si può dimenticare che, se la politica nella sua sostanza contingente non è materia d’interesse per la Chiesa, essa non può esimersi di occuparsene quando come diceva Pio XII «la politica tocca l’altare».
E il punto è che, appunto, la politica tocca continuamente l’altare. «La Chiesa trionfa nei suoi tesori e nella sua gloria, ma è nuda nei suoi poveri», diceva quasi novecento anni fa Bernardo di Clairvaux: e lo diceva in un tempo nel quale la Chiesa come comunità dei credenti e la società cristiana del mondo latino, quindi euro-occidentale, coincidevano. Ormai però Chiesa e società non coincidono più: questa è la sostanza del processo di laicizzazione. La Chiesa resta la società dei credenti: ma la società civile non è più fatta di cristiani coscienti di esser comunità, non è più una «Cristianità».
In un mondo così, la Chiesa sa di essere parte della società, e magari di esserne parte minoritaria e destinata a divenir sempre più tale: ma, proprio per questa, essa è chiamata ancor più, nel suo complesso e nei suoi singoli membri, ad essere «il sale della terra». D’una terra dove i poveri sono ancor più nudi di quanto non fossero nel XII secolo; di una terra nella quale si muore di fame, si rischia letteralmente di morir di sete perché c’è chi vorrebbe addirittura privatizzare l’acqua, e soprattutto si muore d’ingiustizia, sia di quella che si subisce sia di quella che siamo noi a fare.
Ed allora, davvero, e oggi non diversamente dal passato, la chiave di tutto resta la santità.
Niente aureole, niente ali fruscianti e altari addobbati. Santità è sempre stato, fin dalle origini del cristianesimo, una cosa sola: esercizio eroico delle virtù cristiane, quindi conformazione al modello cristico.
Sappiamo bene che non è facile e non intendiamo far retorica devozionale. È evidente che l’adeguamento a un modello come quello del Cristo non può per sua natura che essere molto imperfetto e lacunoso. Ma sappiamo altresì che il Cristo è misura universale e in quanto tale metastorica. Ma Egli è al tempo stesso, come vero Uomo nato sotto Augusto e morto sotto Tiberio, un modello che vive in quella realtà per sua natura cangiante e mutevole ch’è la storia.
È stato il grande Bultmann a insegnarci che la Fede è un assoluto, ma che la religione altro non è se non la sequenza dei modi nei quali essa viene vissuta nella storia. Non si è vissuto sempre il modello cristico e il suo adeguamento nello stesso modo.