Cultura & Società

1° novembre, l’enigma della santità

DI FRANCO CARDINIIl Sinodo si è concluso, e la prima Enciclica pontificia s’incentrerà, sul carattere centrale e fondante del modello cristico per il cristiano e della presenza viva del Cristo nel mondo e nella storia, garantita dal Mistero eucaristico.Qualcuno ne è pienamente soddisfatto, salutando in questa scelta del Santo Padre e dei vertici della Chiesa cattolica un «ritorno» alla centralità dei temi dello spirito, con la relativa messa in sottordine di quelli a carattere politico, sociale, insomma «transeunte» che sono parsi prevalere in alcuni momenti della vita ecclesiale e dello stesso magistero dal Concilio Vaticano ad oggi. Va da sé che, esattamente per lo stesso motivo, non è mancato chi si è dichiarato deluso o insoddisfatto, chi ha parlato di «astrattezza» o di «riduzionismo», chi ha addirittura insinuato che così facendo la Chiesa fa «un passo indietro», e magari lo fa per compiacere a questo o a quello dei «poteri forti» mondiali.

Entusiasti e immusoniti paiono entrambi esser caduti nel medesimo equivoco: se riusciranno a liberarsene, potranno rendersi conto che non c’è alcun motivo ch’essi siano né l’una, né l’altra cosa. La Chiesa resta quella ch’è stata e che per sua natura è, non abbandona alcuno spalto per rifugiarsi in alcuna torre né d’avorio né di altro materiale; non si «libera» da alcun problema di quelli che oggi angustiano il mondo, dal momento che ciascuno di essi la tocca da vicino e al tempo stesso ne condiziona l’esistenza.

È evidente che nessuna scelta storica, culturale o politica (nel senso migliore e più alto di quest’ultimo aggettivo) può esser condotta se non tenendo presente che tutto dev’essere radicato nel cristo, nella Sua presenza, nel Suo magistero; ma neppure si può dimenticare che, se la politica nella sua sostanza contingente non è materia d’interesse per la Chiesa, essa non può esimersi di occuparsene quando – come diceva Pio XII – «la politica tocca l’altare».

E il punto è che, appunto, la politica tocca continuamente l’altare. «La Chiesa trionfa nei suoi tesori e nella sua gloria, ma è nuda nei suoi poveri», diceva quasi novecento anni fa Bernardo di Clairvaux: e lo diceva in un tempo nel quale la Chiesa come comunità dei credenti e la società cristiana del mondo latino, quindi euro-occidentale, coincidevano. Ormai però Chiesa e società non coincidono più: questa è la sostanza del processo di laicizzazione. La Chiesa resta la società dei credenti: ma la società civile non è più fatta di cristiani coscienti di esser comunità, non è più una «Cristianità».

In un mondo così, la Chiesa sa di essere parte della società, e magari di esserne parte minoritaria e destinata a divenir sempre più tale: ma, proprio per questa, essa è chiamata ancor più, nel suo complesso e nei suoi singoli membri, ad essere «il sale della terra». D’una terra dove i poveri sono ancor più nudi di quanto non fossero nel XII secolo; di una terra nella quale si muore di fame, si rischia letteralmente di morir di sete perché c’è chi vorrebbe addirittura privatizzare l’acqua, e soprattutto si muore d’ingiustizia, sia di quella che si subisce sia di quella che siamo noi a fare.

Ed allora, davvero, e oggi non diversamente dal passato, la chiave di tutto resta la santità.

Niente aureole, niente ali fruscianti e altari addobbati. Santità è sempre stato, fin dalle origini del cristianesimo, una cosa sola: esercizio eroico delle virtù cristiane, quindi conformazione al modello cristico.

Sappiamo bene che non è facile e non intendiamo far retorica devozionale. È evidente che l’adeguamento a un modello come quello del Cristo non può per sua natura che essere molto imperfetto e lacunoso. Ma sappiamo altresì che il Cristo è misura universale e in quanto tale metastorica. Ma Egli è al tempo stesso, come vero Uomo nato sotto Augusto e morto sotto Tiberio, un modello che vive in quella realtà per sua natura cangiante e mutevole ch’è la storia.

È stato il grande Bultmann a insegnarci che la Fede è un assoluto, ma che la religione altro non è se non la sequenza dei modi nei quali essa viene vissuta nella storia. Non si è vissuto sempre il modello cristico e il suo adeguamento nello stesso modo.

La Cristianità prima di Francesco d’Assisi è vissuta fondamentalmente in un ambito veterotestamentario e apocalittico. Il Cristo era anzitutto il Re, Colui nel Quale si adempivano le Scritture, il Giudice dei Tempi Ultimi; è stato Francesco d’Assisi a insegnarci a legger più intimamente e direttamente nel Grande Libro della Croce, ad adorare e ad assumersi come modello il Cristo povero e nudo; ed è stato il profondo impegno esegetico ma anche spirituale e umano dei secoli che sono seguiti, culminati nel secolo della Riforma (che fu sì protestante, ma anche cattolica), ad insegnarci la progressiva appropriazione della parola e dell’esempio evangelici, la progressiva scoperta non solo del Cristo Sole di giustizia, ma anche del Cristo-Amore.Tornare integralmente al Cristo, secondo il messaggio del Sinodo, significa compiere uno sforzo ulteriore per adeguarsi al Suo modello eterno attraverso gli strumenti che oggi la storia ci fornisce. Senza dubbio l’ascesi e la mistica restano valide e sono, entrambi, Viae Regiae: non tutti però sono chiamati a percorrerle. Il Cristo di oggi è di nuovo Christus patiens, crocifisso alla realtà del genere umano che geme sotto un peso d’ingiustizia quale forse non ha mai conosciuto prima d’ora. Che la Chiesa trionfi e che i massmedia di tutto il mondo le rendano omaggio è un miserabile nulla di fronte allo spettacolo d’un solo bambino africano che muore di fame. Per questo oggi c’è bisogno come non mai di santi. E anche di mistici, perché sono solo i mistici – e non i furbi e saggio-realisti – che davvero muovono la terra. Pensate a Teresa di Calcutta. Questo è il nostro còmpito odierno. È immenso e vi adempiremo imperfettamente. Ma dobbiamo avere l’umile, cristiano coraggio di specchiarci in esso e di assumerlo sulle nostre spalle.

Pace, giovani, ecumenismo tutto intorno all’Eucaristia