Cultura & Società

Son tornati a fiorire gli aneddoti

di Carlo LapucciL’aneddoto è sempre stato nel mondo della cultura letteraria un genere marginale, ma molto curato, che presenta una continuità nel tempo assai esile, anche saltuaria, ma persistente, senza conoscere abbandoni secolari.

Nella sua propria natura l’aneddoto indica qualcosa di «inedito», segreto, intorno a una figura o un fatto di qualche rilievo, che si racconta con un fine d’insegnamento, ovvero per ricreare o divertire, rimasto in margine alla storia ufficiale perché ritenuto pettegolezzo, diceria di dubbia autenticità o di secondaria importanza. Così il termine Anecdota fu dato nel VI secolo da Procopio di Cesarea alla sua opera che fu detta Storia segreta, una composizione di tipo storiografico, che raccoglieva fatti minuti, falsi e in gran parte veri, scritta per vendicarsi della corte di Bisanzio e in particolare di Teodora, Giustiniano, Bellisario e sua moglie Antonina.

Se l’aneddoto spesso ha da dire poco sulle linee portanti della storia, ha molto da dire invece sulle ramificazioni: il carattere d’un personaggio, lo spirito di un popolo, il clima di un’epoca, i fatti nascosti, le motivazioni psicologiche di un gesto, le cause segrete di un avvenimento, gli aspetti celati di proposito dietro verità ufficiali, gli umori di un’assemblea e tanti altri elementi che le narrazioni storiche non prendono o non vogliono prendere in considerazione.

Nasce così una storia parallela o segreta come diceva Procopio, che è quella che non si racconta, ma della quale gli storici di valore tengono sempre il debito conto, in quanto spesso contiene i germi di una nuova interpretazione dei fatti.

L’aneddoto poi, comunemente, è quel fatterello curioso, divertente, contenente arguzia, astuzia, soluzioni ed espedienti ingegnosi, col quale si ravviva la conversazione, si rallegra un tavola, si alleggerisce una conferenza.

Questo è un periodo di crisi anche per tale forma di narrazione, che ha la singolare caratteristica di avere una larga diffusione orale, oltre che scritta, per cui la sua configurazione non è univoca: cambiano i particolari, cambiano le epoche, le persone, le circostanze nelle quali un curioso fatto viene collocato. Per questo è materia scivolosa, pericolosa, una sabbia mobile che gli accorti accademici scansano come la peste, per non incorrere in abbagli ed errori, pressoché inevitabili in questa materia, dove un fatto aneddotico può essere attribuito anche a una ventina di personaggi, sempre con attestazioni, circostanze, particolari, sostenuti da testimoni spesso attendibili. Invece di illustrare la cosa teoricamente, ne mostreremo il comportamento con una analogia, ovvero con una specie di aneddoto.

Una materia piacevole e difficileSi sa che un motto di spirito viene attribuito con facilità a diverse persone, tanto che in questo campo molti si appropriano della roba degli altri con grande facilità. Un detto celebre si cita spesso senza paternità: La parola è stata data all’uomo per nascondere il suo pensiero. Se non è un’osservazione morale, è volpina e anche profonda per cui i repertori riferiscono che il primo a pronunciare questa frase fu una volpe: Talleyrand. Si riportano i Memoires di Barère (1842, IV, pag. 447) che riferisce che la frase fu detta all’ambasciatore spagnolo Izquierdo che ricordava al celebre ministro di Napoleone certe sue affermazioni poi smentite. Ma già nello stesso periodo la frase era attribuita a un’altra volpe, forse più perfida: Fouché, capo della polizia di Napoleone, e ad altre volpi minori.Nel 1846 morì a Parigi M. Harel, direttore del teatro Porte Sain-Martin e si venne a sapere che l’attribuzione del detto a Talleyrand l’aveva fatta lui. Anzi, per testimonianza unanime una straordinaria quantità di detti spiritosi era stata coniata da lui e messa in bocca a persone acute, maligne o argute, secondo le diverse psicologie. Prima di morire però Harel volle riprendersi quelle che aveva troppo generosamente donato, e rimise le cose in chiaro.

Purtroppo venne fuori il nome di Voltaire, altro bello spirito, che aveva scritto qualcosa di simile nei Dialogues (1763, XIV, Le chapon et la poularde), e l’avrebbe fatto per parodiare una frase di Molière (Il matrimonio per forza, VI): «La parola è stata data all’uomo per esplicare il suo pensiero».

Troppo bello per essere vero. Prima di lui l’aveva scritto Goldsmith (L’ape, 1759) e ancora prima Young (L’amour et la Remmomée, 1742), se non vogliamo andare a i Distici (IV, 20) di Catone, del periodo classico dove si legge: Sermo hominum mores et celat et indicat idem.

L’enciclopedia di Ferdinando PalazziChi si avventura in questa foresta di specchi?Pure, anche in un tempo come questo, dove la storia si fa a suon di cifre, di diagrammi, di statistiche, esce l’edizione anastatica di una monumentale raccolta di aneddoti. La Casa Editrice Zanichelli di Bologna ripubblica i tre volumi della ultima edizione (VIII, Casa Editrice Cascina, Milano 1966) di questa opera che costituisce il lavoro più consistente del genere nella lingua italiana: Ferdinando Palazzi, Enciclopedia degli aneddoti – 15.653 aneddoti storici di tutti i tempi e paesi. Rilegata in veste elegante l’opera (euro 98,00), che era divenuta ormai introvabile sul mercato, viene a soccorrere chi aveva bisogno di uno strumento del genere, che in una buona biblioteca non può mancare.

Dobbiamo dire, e non certo a critica dell’Editore che a questi lumi di luna ha fatto già tanto, che oggi si cercherebbe qualcosa di più, soprattutto da parte degli studiosi. Ferdinando Palazzi (1884-1962) fu un infaticabile uomo di cultura, al quale si devono anche altre opere, quali L’Enciclopedia della Fiaba, il Dizionario della lingua italiana, tra i migliori per sensibilità linguistica. Giornalista, saggista, linguista dette vita all’Enciclopedia del Tesoro, la celebre enciclopedia per i bambini, e la collana di narrativa per i ragazzi La scala d’oro.

Compilò questo lavoro con grandissimo impegno, continuamente aggiornato e aumentato, dalla prima edizione che contava 7.254 aneddoti. Usò naturalmente i criteri del suo tempo senza darsi troppo da fare con la filologia. Nell’aneddoto che più sotto abbiamo riportato su Galileo, dove si dice si dice che l’acqua sale nel vuoto soltanto sino a trentatré metri, abbiamo un esempio dei problemi che spesso pone questa materia. Ai tempi di Galileo non c’era il metro (che arrivò con la Rivoluzione Francese) e l’acqua nel vuoto sale a circa dieci metri. Verificando sulle fonti si arriverebbe forse a scoprire che originariamente si parlava di braccia, o di qualche altra misura. Forse la tradizione orale ha creato l’equivoco.

Rispetto ai suoi predecessori comunque Palazzi fece molto meglio, segnalando spesso sommariamente le fonti da cui le narrazioni derivano, ma quando un testo perviene di terza o di quarta mano, la citazione serve a poco. Oppure sapere che il testo si trova da qualche parte in un’opera d’un migliaio di pagine, più che aiutare sgomenta.

Inoltre, per la successione inesorabile delle figure sul palcoscenico della storia, molte figure che un tempo erano di grande fama, conosciute e apprezzate, oggi non sono quasi più nulla e, dalle scene del mondo sono scese nei sotterranei del teatro, diventando materiale per studiosi, dotti, eruditi, curiosi. Attori teatrali dell’Ottocento, uomini politici di seconda fila, nobili di corte, medici, militari oggi siedono su uno strapuntino, nell’angolo più oscuro della storia e non c’è pericolo che un giovane ne abbia sentito parlare.

Palazzi ha cercato di dare di ogni protagonista un anno di nascita e uno di morte, ovvero il periodo nel quale è vissuto, una succinta nota biografica, ordinando la sterminata materia per ordine alfabetico secondo i protagonisti, con un dettagliato indice analitico. Non è poco se si pensa che in passato il materiale in genere era letteralmente ammassato alla rinfusa, ovvero disposto secondo argomenti, teorizzazioni, temi generici o vaghi, per cui ricercarvi un nome, non si dica un fatto, era follia sperar.

Storia dell’aneddotoL’antichità amava questo genere di narrazione, la quale ha un’identità indefinibile: può essere vera o fantastica, corta e anche lunga, contenere una battuta di spirito, moralistica, di carattere ricreativo, allusiva, anche poco educata. Molte opere storiche ne contengono moltissime, a cominciare dalle Vite di Plutarco. Il volume più considerevole dell’antichità è l’opera di Valerio Massimo Detti e fatti memorabili, un repertorio di «aneddoti» tratti dagli autori precedenti e da altri compendi. Ha il difetto di tutte queste raccolte: l’assenza quasi completa di un ordine e, peggio ancora, criteri di raccolta enunciati e non seguiti. In realtà in questo caso a risponder la materia è sorda: trattandosi di valori il più delle volte metaforici, che coinvolgono personaggi diversi, concetti diversi, è assai difficile imporre un ordine logico e di questo problema risentiranno più o meno i repertori.

Compilato probabilmente per uso delle scuole di retorica, e quindi per avvocati, giudici, oratori, risente di una forte nota moraleggiante, corrispondente al periodo di Augusto e Tiberio, in cui visse Valerio Massimo, quando si tentava di riportare l’impero ai severi costumi del passato. Infatti, quando si spiega una situazione, un problema, nulla di meglio che avere da proporre un esempio, magari divertente, per un uditorio sonnecchiante in modo da chiarire la materia e ravvivare l’attenzione. Così questo espediente retorico fece fortuna anche nella predicazione cristiana, tanto che fino alla metà del secolo scorso si trovavano raccolte di exempla, esempi morali, divisi per argomento, alle quali il predicatore poteva attingere per preparare il proprio sermone. Molti fatti memorabili di natura giocosa sono raccolti nella tradizione orale dalla quale attinse anche il nostro medievale Novellino, insieme alla letteratura sapienziale dei romanzi simbolici contemporanei, o morali come Il romanzo della volpe della letteratura francese.

Nella letteratura popolare, intorno a figure esemplari, in positivo o in negativo, si addensano saghe: nel mondo classico abbiamo serie di storie, come la Vita di Esopo, nel Medio Evo la saga di Marcolfo, nella nostra tradizione quella del Piovano Arlotto, di Bertoldo, del Gonnella, di Papa Galeazzo, di Giufà, e quasi ogni paese in Italia ha il suo eroe con la sua saga di racconti. La tradizione dotta ha forse il suo prototipo nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, una fortunata raccolta di fatti e detti sugli antichi filosofi, e via via nei vari libretti riguardanti le singole figure di pensatori, come Pitagora, Platone, Diogene.

Molta fortuna ebbe il libro di Aulo Gellio (II secolo d. C.) immenso archivio in venti libri di memorie antiche diffuso e conosciuto nel Medio Evo. Fu quello il tempo in cui il breve racconto edificante, detto anche miracolo, prese corpo intorno alle figure dei santi, soprattutto dei martiri con le passiones, oppure in vaste raccolte della letteratura agiografica in cui il più splendido esempio è la Leggenda aurea di Iacopo da Varazze. Questa materia sterminata si è trasferita nel corso dei secoli negli affreschi, nei dipinti, nelle sacre rappresentazioni ed è necessario averne conoscenza per interpretare l’arte figurativa del passato.

Il mondo modernoNel Rinascimento e nei secoli successivi fu frequente l’uso di raccogliere i fatti memorabili o curiosi avvenuti nelle corti o intorno alla figura di un papa o di un principe. Il libro più celebre furono le Facezie di Poggio Bracciolini, detto Fiorentino. A questo libro si possono unire una miriade di fortunate raccolte, delle quali citeremo le più celebri: I detti piacevoli di Angelo Poliziano, le Facezie di Lodovico Domenichi, le Ore di ricreazione di Ludovico Guicciardini.

Il Settecento vide il fiorire di opere galanti costituite di questa materia, la quale in generale cominciò a cadere nelle mani di raccoglitori più sistematici. Già nel XVI secolo era apparsa un’immensa opera di Tomaso Garzoni (1549-1589): La piazza universale di tutte le professioni del mondo, arricchita da materiale aneddotico disposto secondo la sistematica dell’opera.

Lungo sarebbe seguire le innumerevoli pubblicazioni del nostro tempo. Citeremo solo l’opera ottocentesca più vasta, conosciuta e saccheggiata: Encyclopédiana – Recueil d’anecdotes anciennes, modernes et contemporaines, J. Laisne Libraire-Èditeur, Paris s.i.d. Si tratta di un vero mare magnum senza sponde, senza fonti, senza indici, nel quale tutti coloro che hanno affrontato la materia, bene o male hanno dovuto navigare, a cominciare dal nostro Ferdinando Palazzi.

AntologiaPitagora • Domandarono a Pitagora cosa pensasse della vita umana.– La vita umana – rispose – è come i giuochi olimpici: alcuni vi mettono su le loro botteghe e non pensano che guadagnare; altri pensano ad acquistarvi la gloria combattendo; altri infine sono semplicemente degli spettatori. • Un discepolo domandò a Pitagora qual era il tempo migliore per prendere moglie.– Quando sarai stanco del tuo riposo – rispose Pitagora. Esopo • Chiamato da Creso alla sua corte, Esopo vi trovò Solone, il quale molto si lamentò con lui di non essere trattato bene dal re, per il fatto che egli gli diceva su ogni cosa la verità. Esopo allora gli disse:Caro mio, o bisogna tenersi lontano dai re, o bisogna dire loro cose gradite. • Mentre Esopo stava studiando entrò in casa sua un contadino che, trovatolo solo sui libri, gli domandò:– Come fai a vivere così solo solo?Rispose Esopo:– Ho cominciato a sentirmi solo dal momento che sei entrato. Diogene • Domandarono a Diogene l’ora più propizia per mangiare.– Se sei ricco – rispose – quando vuoi; se sei povero, quando puoi. • Quando Diogene fu esiliato dai suoi concittadini, scrisse loro:«Voi mi avete esiliato dalla vostra città, e io vi relego nelle vostre case. Io sono ad Atene e voi a Sinope. Io frequento i più grandi filosofi della Grecia, e voi avete la peggior compagnia che si possa avere». • Un tale domandò a Diogene se ai giochi olimpici c’erano molte persone.– Ci sono – rispose – molti spettatori, ma poche persone. • Domandarono un giorno a Diogene:– Sapresti spiegare come mai gli uomini, che fanno volentieri l’elemosina ai ciechi e agli storpi, non spendono invece volentieri i loro denari per ascoltare la parola dei filosofi?E Diogene rispose:– Perché gli uomini temono di diventare ciechi e storpi anche loro, mentre non temono affatto di diventar filosofi. Galileo • I fontanieri di Firenze andarono un giorno da lui per un consiglio, perché, avendo voluto innalzare l’acqua al di sopra di ciò che permette la pressione atmosferica [sic], non c’erano riusciti.– Eppure – dicevano i fontanieri – la natura ha orrore del vuoto. – Sì – rispose Galileo – ne ha orrore soltanto sino a trentatré metri [sic]!E diede a studiare il problema al suo allievo Torricelli, che dallo studio derivò l’invenzione del barometro. • Un giorno nello studiare anatomia, Galileo, aprendo un cadavere, mostrò che solo un sottile nervo arrivava al cuore, mentre fino allora si era creduto che il cuore fosse il centro del sistema nervoso. Tra coloro che assistevano all’esperienza c’era uno dei fedelissimi della vecchia teoria.Voi – disse costui a Galileo – mi avete fatto vedere la cosa così chiaramente, che, se Aristotile non dicesse che il cuore è il centro del sistema nervoso, quasi quasi direi che avete ragione voi.