Cultura & Società
Arriva in tv la «Passione di Cristo»
L’intento del regista è chiaro sin dalla didascalia iniziale: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Isaia 53 – 700 a.C.)». La frase del profeta è una sorta di tema-chiave: la tremenda sofferenza della Passione, non umanamente sostenibile, come prezzo da pagare per i nostri peccati. L’intento di Gibson (sua nel film la mano che mette il chiodo, foto grande) è dunque dare la sensazione, il più possibile realistica, di quelle ore patite da Cristo per la salvezza dell’umanità. «Desideravo che la mia opera dichiarò a suo tempo il regista fosse una testimonianza dell’amore infinito di Gesù, che molti ha salvato e continua a salvare nel mondo».
Il film «non è puramente documentaristico, né puramente artistico. Io lo considero precisò ancora Gibson un’opera contemplativa, nel senso che si è costretti a ricordare (non dimenticare) con una spiritualità che non può essere descritta, ma solo vissuta». E il film, in questo senso, riesce davvero a «far vivere», o almeno a «far sentire», la sofferenza di Cristo. Certi momenti della flagellazione o della crocefissione riescono difficili da guardare anche a successive e ripetute visioni. In ogni caso, ogni volta, si avverte un colpo allo stomaco. Quando il film uscì, in molti invocarono il divieto almeno ai minori di 14 anni (in America era ai 17, in Inghilterra ai 18 e così via). Ma così non è stato e questo spiega la possibilità della Rai di poterlo dare in prima serata senza bisogno di essere «derubricato», cioè tagliato in alcune scene, che peraltro non servirebbero ad attenuare una brutalità diffusa.
Per rendere l’idea della durezza e della crudezza delle immagini, basti pensare che l’attore protagonista, Jim Cavieziel, si sottoponeva fino a sette ore di trucco e che in alcune inquadrature era sostituito da un robot. Ma ciò non toglie che sia ammirabile e condivisibile la voglia del regista di «far sentire», quasi sensitivamente, la sofferenza del Cristo, a parte alcuni eccessi nella flagellazione (i brandelli di carne arpionati) e nella crocifissione (la croce che cade a faccia in giù con il Cristo già inchiodato) o in alcuni «colpi di scena» da film horror: lo schiacciamento della testa del serpente, il licantropo, il bambino vecchio in collo al diavolo, il corvo che cava l’occhio a uno dei due ladroni.
Nonostante questo, il film resta un film sull’amore (quello più grande, quello di Colui che dà la propria vita per gli altri), con momenti di vera poesia legati ancora all’amore: quello materno di Maria (l’attrice Maia Morgenstern), presente in ogni momento della Passione, mentre i Vangeli la ricordano solo ai piedi della croce. Bellissima la scena di lei che avverte la presenza del figlio nel carcere sotterraneo mettendo semplicemente l’orecchio per terra, oppure quando accorre dal figlio caduto sotto il peso della croce e ricorda quando lo rialzava bambino e lo rincuorava dicendogli «sono qua io con te». Vera poesia la lacrima di Dio che cade dal cielo alla morte del Figlio sconvolgendo la terra e precipitando Satana nel suo inferno. Dio non può provare sofferenza, ma certo ha compassione (in senso letterale) di quel Figlio così duramente maltrattato.