Cultura & Società

Educazione, i Conservatori tornano all’origine

di Damiano FedeliI conservatori toscani cambiano pelle e ritornano alle origini. Non si tratta delle scuole per l’educazione musicale, ma di quegli istituti scolastici nati sotto l’ala di monasteri o congregazioni religiose come centri «per l’educazione delle fanciulle di famiglia agiata» e trasformatisi poi in scuole generaliste, sempre di ispirazione cattolica, che ospitano oggi, in molti casi, dalle materne al liceo. Un fenomeno esclusivamente toscano: in tutta la regione sono oggi una decina quelli attivi (erano 37 nel 1931). Grazie a una legge entrata in vigore all’inizio di quest’anno, i «conservatori toscani» – questa la loro denominazione ufficiale – diventano fondazioni private. La trasformazione è pressoché completata per tutti.

In pratica non saranno più i provveditori a nominarne gli amministratori, ma questi enti hanno riacquisito una loro autonomia, anche nella gestione del patrimonio storico-architettonico, spesso assai ricco e prezioso, che li caratterizza.

Il passaggio a fondazioni private è stato fortemente voluto dalla Conferenza episcopale toscana, con il vescovo di Prato Gastone Simoni in testa.

«In origine erano soggetti ecclesiastici dediti alla vita contemplativa o attiva, all’assistenza o all’istruzione. In epoca granducale, a metà Settecento, furono soppresse le congregazioni e, con la mediazione dell’allora vescovo di Pistoia e Prato Scipione de’ Ricci, nacquero i conservatori “per l’educazione delle fanciulle di famiglia agiata”. Le suore vennero trasformate in laiche, oblate, e anche l’amministrazione divenne laica», spiega l’avvocato pratese Mauro Giovannelli che ha seguito il recente iter di trasformazione e che adesso fa parte del consiglio di amministrazione della neonata fondazione «Conservatori toscani» (insieme a Pasquale Capo del ministero della Pubblica istruzione e al professor Niccolò Persiani, dell’Università di Firenze) che avrà la funzione di raccordo e di indirizzo delle fondazioni dei vari istituti, occupandosi fra l’altro di raccogliere i patrimoni dei conservatori non più attivi per usarne le risorse a favore di quelli invece operanti. Fra quelli attualmente operativi vi sono: a Firenze il Poggio Imperiale, le Mantellate, Santa Maria degli Angeli e San Pietro a Monticelli; a Prato il San Niccolò; a Empoli la Santissima Annunziata; a Massa il San Luigi in Volpignano; a Pescia il San Michele; a San Giovanni Valdarno la Santissima Annunziata; a San Miniato il Santa Chiara.

«Con lo Stato unitario – prosegue Giovannelli – si arriva alle leggi “eversive radicali” del 1866, con l’incameramento da parte dello Stato del patrimonio e il controllo dei conservatori che passa alla Pubblica istruzione. Nel 1929 i Patti Lateranensi ricostituiscono le organizzazioni ecclesiastiche e i conservatori della Toscana vengono formalizzati come istituti di educazione femminili, disciplinati da un regio decreto del ’29 corretto poi nel ’31. Se ne sancisce in definitiva la dipendenza dal Ministero dell’educazione nazionale».

Passano gli anni e, specialmente nel dopoguerra, la trasformazione di questi istituti si accelera. Gradualmente l’originaria educazione femminile alle fanciulle di buona famiglia perde di senso. Alcuni istituti chiudono, gli altri si aprono alle classi miste, maschili e femminili, per arrivare agli attuali complessi che ospitano dalla scuola dell’infanzia alle superiori. «Oggi i conservatori toscani sono luoghi di istruzione per tutti», sostiene Giovannelli. «La storia di questi istituti vedeva però una forte presenza originaria di valori religiosi. Per questo, e la Cet se n’è fatta interprete sensibile, occorreva muoversi per superare la legge del ’31 e arrivare alla costituzione di fondazioni private».

È stato l’ex ministro Letizia Moratti a inserire la trasformazione in un decreto convertito nella legge 27 del febbraio di quest’anno. «Adesso, come fondazioni – spiega Giovannelli – i conservatori toscani hanno una personalità giuridica riconosciuta. Nei loro consigli d’indirizzo e in quelli di amministrazione siedono rappresentanti di diocesi e congregazioni religiose, ma si possono anche allargare a enti locali o fondazioni bancarie ad esempio».

Che cosa significa questo cambiamento? «Innanzitutto rappresenta una rivitalizzazione di un sistema di educazione che in gran parte si era trasformato. Poi, in questo modo, i conservatori assumono una fisionomia giuridica corrispondente all’attualità. Ma soprattutto direi che è importante il ritorno alle origini. Negli statuti vengono richiamati gli interessi e l’ispirazione religiosa originari. Un’impronta forte, testimoniata anche nei complessi monumentali dalla presenza della chiesa, del coro, del refettorio. Ora questa impronta trova spazio anche nell’amministrazione, con l’ingresso delle diocesi e delle congregazioni. Nello stesso tempo, attualizzando, ci si può però aprire agli interessi locali, enti pubblici o fondazioni private, che lo desiderino».

La curiositàIl Regolamento al S. AnnaCon il Regolamento del 1785, Pietro Leopoldo aveva laicizzato i conservatori, vietando a maestre ed educande di vestire l’abito religioso. La laicità di queste istituzioni fu ribadita nel 1867 dalla prima legge nazionale in materia, che pose i conservatori alle dipendenze del ministero della Pubblica istruzione. Per questo il Conservatorio pisano di S.Anna si dotò nel 1868 di un nuovo «Regolamento interno: L’accesso, si specificava, era riservato a ragazze «di onorata e civile famiglia». Il S. Anna era infatti un educandato d’élite, come attestano la varietà degli insegnamenti impartiti, l’importo della retta annua (lire 600, equivalenti a più di un anno di salario operaio), le comodità offerte (le «bagnature» a Viareggio e, dagli anni Settanta, la villeggiatura nella Certosa di Calci). Proprio per questo, però, le regole «claustrali» erano rigidissime: visite dei genitori una volta a settimana (una al mese i fratelli); controllo della posta; divieto di uscire dall’istituto anche durante le feste o le vacanze. Il tempo massimo di permanenza era dagli 8 ai 18 anni. Il San Niccolò a Prato: Seicento allievi dal nido al liceoIl monastero che lo ospita risale al Trecento. Oggi questa secolare istituzione pratese, il Conservatorio San Niccolò, come gli altri enti di questo tipo in Toscana, è diventato autonomo, come fondazione privata. «Abbiamo un Consiglio d’indirizzo che detta le strategie della fondazione. Dentro ci sono tre rappresentanti della diocesi, uno delle suore domenicane, e uno del ministero della Pubblica istruzione. C’è poi un Consiglio d’amministrazione, composto da tre membri, e un revisore», spiega Foresto Guarducci, presidente del Consiglio d’indirizzo e, per statuto, anche del Cda della fondazione nata a marzo. Il monastero fu fondato dopo che nel 1321 il Cardinal Niccolò da Prato lasciò 10mila fiorini per la sua costruzione. La parte più antica del monastero – che ospita suore domenicane dell’Unione San Tommaso d’Aquino – risale al 1327.

Come per altri enti di questo tipo, fu il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena a istituire – era il 1785 – il Conservatorio per l’educazione femminile, visto che già il convento provvedeva all’educazione delle figlie di nobili case fiorentine che vanno dagli Albizi ai Ridolfi, dai Rucellai agli Strozzi. La Scuola Secondaria Superiore ha formato intere generazioni di maestre elementari pratesi e fu istituita nel 1873 da Cesare Guasti, che al San Niccolò fu per vent’anni presidente del Consiglio di amministrazione. «Ma questo Conservatorio ha avuto un ruolo fondamentale anche in periodi bui per la città, come durante l’ultima guerra grazie all’opera di madre Cecilia Vannucchi», racconta ancora Guarducci. «Oggi il San Niccolò comprende dall’asilo nido al liceo scientifico, con circa 5-600 allievi, insegnanti religiose e, sempre più, laici. Siamo una scuola cattolica e chi la frequenta crede in questi valori che danno una forte impronta alla didattica».