Cultura & Società
Dibattito sulla laicità
Nella seconda parte del libro si passa al tema della laicità della Chiesa: qui, sottolinea Savagnone, passa «in primo piano la comprensione che la comunità cristiana ha di se stessa come distinta dal mondo».
La terza ed ultima parte, invece, affronta la laicità nella Chiesa: quella dei «laici senza virgolette», come spiega ancora l’autore: una questione al centro del dibattito ecclesiale ormai da decenni. Con un’analisi agile e appassionata Savagnone rivela la laicità della Genesi (già, perché la Creazione biblica implica che il mondo non è Dio, e che quindi esso ha le sue leggi). Ancora, osserva con Gian Enrico Rusconi che oggi «la distinzione fra laici e cattolici in Italia sta diventando politicamente più importante di quella fra sinistra e destra». E propone al lettore una scommessa: individuare un concetto di laicità che faccia da «filo conduttore» attraverso la laicità politico-culturale, quella della Chiesa e quella nella Chiesa. Insomma, alla fine, chi è il laico per Giuseppe Savagnone? Laico è colui che «riconosce ciò che non è, vale a dire i propri limiti».
«Siamo tutti spettatori delle contrapposizioni che oggi rinascono nella nostra società, non in rapporto a ideologie, ma all’appartenenza religiosa. Da un lato il fondamentalismo, che non è solo quello islamico, perché ce n’è anche uno cristiano; dall’altro il laicismo, che vede nelle posizioni dei cattolici una minaccia per l’autonomia della politica e dello Stato. Questo libro è nato per favorire un confronto ragionevole e cercare di fare un po’ di chiarezza, al di là della logica dello scontro, che si limita agli slogan e alle reciproche accuse».
Nel suo libro ci sono laici «con virgolette» e «senza virgolette». Ma chi è il laico per Giuseppe Savagnone?
«Laico è per me chi è capace di accettare i propri limiti, di non pretendere di essere quello che non è. Per questo il mio libro è diviso in tre parti: la laicità dello Stato, la laicità della Chiesa e la laicità nella Chiesa. Lo Stato è laico se accetta di non essere una Chiesa, neppure laica, la Chiesa è laica se accetta di non essere uno Stato e di non inglobare tutta la sfera politica e civile; il laico, nella comunità cristiana, è tale se accetta di non essere un prete mascherato».
La seconda parte del volume è dedicata alla laicità della Chiesa. Può spiegare?
«La Chiesa, in alcune fasi della sua storia, ha finito per comportarsi come uno Stato, difendendo i propri interessi, assumendo strutture molto simili a quelle della burocrazia civile, assorbendo e controllando la vita politica e sociale. Questa tentazione in parte è stata superata, in parte no. La laicità della Chiesa è il rispetto della parola di Gesù: a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».
Nella Sacra Scrittura e nella grande tradizione cristiana vi sono tanti elementi di laicità, dalla Genesi in poi. Può farci due esempi?
«Dalla Scrittura emerge che il mondo è stato creato da Dio e non va confuso con il divino, come si credeva nel mondo pagano. In questo modo, grazie alla scoperta dei suoi limiti, la natura è stata de-sacralizzata e rispettata per quello che è. Nella tradizione cristiana ci sono stati pensatori, come Tommaso d’Aquino, che hanno sottolineato questa relativa autonomia delle realtà terrene e il cui pensiero è stato ripreso in pieno dal concilio Vaticano II, che ha rivendicato, per fare solo un esempio, la libertà della ricerca scientifica e il valore della tecnica».
Quanto alla laicità nella Chiesa, terza parte del suo saggio, a che punto siamo, oggi, a 20 anni dalla «polemica» Forte-Lazzati? È vero che «il laico non esiste»?
«Sono un amico e un ammiratore di Bruno Forte e di altri teologi che, in una certa stagione, si sono pronunziati a favore del superamento del dualismo clero-laicato. Il loro intento, pienamente apprezzabile, era di evitare che in esso si nascondesse un residuo del dualismo sacro-profano, che è il contrario della laicità. Ma il pericolo di sottovalutare l’identità del laico come tale è che, di fatto, il laicato rimanga nella Chiesa in una situazione di scarsa coscienza di sé. Oggi ho l’impressione che, malgrado il Concilio, viviamo in pieno il pericolo del clericalismo, e non solo a opera dei sacerdoti, ma degli stessi laici, che abdicano spesso alle loro responsabilità sia nella comunità cristiana che nel mondo».
Nel suo prologo, lei propone al lettore «la scommessa di individuare un concetto di laicità che faccia da filo conduttore comune». Lo ha trovato? Ma oltre a un «filo conduttore», crede possibile trovare un concetto di laicità veramente condiviso, mettiamo, fra Scalfari e la Cei?
«Credo che, se si parte dall’idea che la laicità quella vera consista nel riconoscimento di ciò che non si è, vale a dire dei propri limiti, e quindi nell’apertura a chi è diverso da noi, senza la presunzione di fagocitarlo, annullandolo, sia Scalfari che la Cei possano trovarsi d’accordo. È questo il filo conduttore del mio libro. E la mia sincera speranza è che da questa proposta possano essere interessati sia i credenti che i non credenti, in vista di un dialogo che diventa sempre più necessario a entrambi, se vogliono sfuggire al rischio, rispettivamente, del fondamentalismo e del laicismo».