Cultura & Società

E i toscani si scoprirono più ignoranti del previsto

Quasi 30 mila toscani non sanno né leggere né scrivere. Altri 300 mila non hanno titolo di studio e devono essere considerati alla stregua dei primi: «analfabeti sostanziali». Lo rivela una ricerca su Analfabetismo e domanda culturale presentata nei giorni scorsi presso l’Accademia della Crusca.

Tra i numeri si scopre anche che in età adulta si regredisce di 5 anni rispetto ai livelli scolastici massimi raggiunti. Ciò vuol dire che chi possiede soltanto la licenza elementare ha un forte rischio di arretrare verso la condizione di non scolarizzato e, dunque, anche lui di analfabeta. È il rischio che gli esperti chiamano «analfabetismo di ritorno».

C’è poi il capitolo della «alfabetizzazione debole»: fenomeno complesso che indaga il mancato adeguamento delle capacità individuali alle trasformazioni economiche e sociali di un determinato Paese con il rischio di diventare più sudditi che cittadini. La ricerca ha potuto contare anche su altre indagini dalle quali si scopre che il 47% degli adulti toscani ha una scarsa comprensione dei testi scritti: riesce a malapena a leggere un’etichetta di medicinale ma solo se è limitata ad esempio a spiegare per quanti giorni al massimo è possibile assumere quel medicinale. Si scopre ancora che il 22% dei quindicenni toscani ha diversi problemi con la matematica, cioè competenze decisamente inadeguate. Il che significa che è appena in grado di affrontare problemi matematici in cui viene chiesta una semplice moltiplicazione per risolvere un quesito. Scarse anche le competenze scientifiche: sono il 61% gli studenti toscani carenti in questo settore, che non è oggi certo secondario. Venti studenti universitari su cento non sanno cosa significa la parola acquaio. Speriamo almeno che ogni tanto lo usino.

Insomma, spesso ci vantiamo, facciamo i sapientini e poi scopriamo di essere ignoranti e i ragazzi, i giovani, ancora più degli adulti. C’è di che riflettere perché il pericolo di credersi liberi, ma di essere, in realtà, sudditi è davvero preoccupante.

Vecchi e nuovi analfabetidi Mauro Banchini«Analfabetismo e domanda culturale» è il titolo della ricerca Irpet presentata il 1° dicembre scorso dalla Regione Toscana in collaborazione con l’Accademia della Crusca nell’ambito del convegno su «Lingua, cultura e democrazia. I nuovi analfabetismi nella società della conoscenza». Cinque i capitoli della ricerca sul fenomeno dell’analfabetismo secondo diverse accezioni e dimensioni. In primo luogo sono emersi proprio i dati sugli analfabeti: i toscani che non sanno né leggere né scrivere sono 26.700 a cui vanno aggiunti altri 294 mila alfabeti senza titolo di studio e che devono essere considerati, alla stregua dei primi, analfabeti «sostanziali». In termini percentuali siamo allo 0,8 e all’8,8% della popolazione complessiva con più di 6 anni (le percentuali nazionali sono – se può consolarci – superiori: l’1,5% di analfabeti e il 9,7% di alfabeti senza titolo di studio. In termini numerici rispettivamente 782 mila persone che diventano 5 milioni e 200 mila contando gli alfabeti senza titolo di studio).

C’è da aggiungere che il fenomeno, in ambito nazionale e regionale, è in costante riduzione e riguarda soprattutto le fasce più anziane della popolazione. Se si escludono i minori di 10 anni – per i quali la mancanza del titolo di studio è ovviamente funzionale al dato anagrafico, cioè dipende proprio dall’età – gli alfabeti sostanziali scendono, in Toscana, a circa 194 mila: il 6% della popolazione (il dato nazionale è del 6,7%). Nell’ottanta per cento dei casi hanno più di 65 anni: i territori con presenze più elevate di questo tipo sono Siena, Grosseto, Arezzo. Per il 71% si tratta di donne e per tre quarti gli analfabeti sono lontani dalla cosiddetta vita attiva o perché ritirati dal mercato del lavoro o perché casalinghe.

Su 100 toscani con più di 15 anni, a non aver conseguito il titolo dell’obbligo scolastico sono ben 35: una percentuale decisamente preoccupante così com’è preoccupante un altro dato emerso nelle pieghe della ricerca. In età adulta sembra che si regredisca di 5 anni rispetto ai livelli scolastici massimi raggiunti: ciò vuol dire che chi possiede soltanto la licenza elementare ha un forte rischio di arretrare verso la condizione di non scolarizzato e, dunque, di analfabeta. È il rischio che gli esperti definiscono come «analfabetismo di ritorno».

C’è poi, e anche qui c’è poco da ridere, il capitolo della «alfabetizzazione debole»: fenomeno complesso che indaga il mancato adeguamento delle capacità individuali alle trasformazioni economiche e sociali di un determinato Paese.

Si parte da un presupposto: oggi, nella società cosiddetta «della conoscenza», non è più sufficiente che una persona sappia leggere o scrivere frasi brevi ma è necessario «padroneggiare il processo», cioè possedere strumenti culturali capaci di identificare patrimoni di abilità. Se con questi strumenti non si ha abitudine, il rischio concreto è di vedersi molto attenuati nella dimensione principale della democrazia: la cittadinanza. In altri termini: più sudditi che cittadini. Ed è su questo capitolo che la ricerca Irpet ha potuto contare su altre due indagini, stavolta internazionali, targate Ocse: una sui quindicenni e una sugli adulti fra i 16 e i 65 anni.

Si tratta di esaminare la situazione, nel nostro caso toscana, con riferimento alla carenza di competenze giudicate essenziali per svolgere e un ruolo consapevole e attivo nella società. L’indagine internazionale sui quindicenni ha una curiosa sigla che comunque rimanda alla Toscana: il PISA (Programme for International Student Assessment). Estrapolando i dati della nostra regione si scopre che il 22% dei quindicenni toscani ha diversi problemi con la matematica, cioè competenze decisamente inadeguate (a livello nazionale va davvero peggio perché la percentuale degli ignoranti in matematica schizza al 42% mentre la media dei paesi Ocse si ferma al 21%).

Interessante capire ciò che questi dati portano dietro: chi si colloca in queste posizioni è appena in grado di affrontare problemi matematici in cui viene chiesta una semplice moltiplicazione per risolvere un quesito.Non va poi molto meglio nella lettura: gli studenti che si attestano al livello più basso nella scala seguita dall’indagine Ocse sono soltanto in grado di rispondere a domande banalissime (il 19% degli studenti toscani non supera il primo livello. Per l’Italia il dato è comunque peggiore – si arriva al 24% – mentre la media Ocse è in linea con il valore toscano).

Alla fine della scuola dell’obbligo quasi uno studente su cinque non raggiunge il secondo livello della scala Ocse: la padronanza della lettura come mezzo per acquisire informazioni e conoscenze è davvero molto scarsa. Colpisce, diciamolo francamente, il fatto che siamo in terra toscana. E la ricerca gira il coltello nella piaga: negli istituti professionali della nostra regione più di uno studente su tre sta per uscire dalla scuola senza, nella sostanza, saper leggere (con eleganza la ricerca evidenzia che questi ragazzi, nella lettura, mancano di abilità giudicate essenziali dai governi dei paesi Ocse per svolgere un ruolo attivo nella società civile). Problemi anche nelle competenze scientifiche: il dato è comunque migliore dell’Italia – per la serie mal comune mezzo gaudio – ma gli studenti toscani che hanno competenze scientifiche basse sono il 61%.

Non sono mancati, a commento di questi dati e in generale dei dati riferiti al blocco di ricerca Irpet, i timori: è vero che il dato toscano è, in generale, migliore rispetto al dato medio nazionale, ma siamo comunque sempre al di sotto della media Ocse e, purtroppo, anche al di sotto delle percentuali registrate nell’Italia del nord.

Sembra poi banale, ma ha il suo preciso significato, anche il riferimento al fatto che gli studenti migliori sono quelli che vivono in famiglie più acculturate, i cui genitori hanno un titolo di studio maggiore, con maggiore familiarità sia con i libri che con il web.

Anche l’altra indagine Ocse, quella riferita alle competenze degli adulti (si chiama ALL, Adult Literacy and Life Skills) porta conseguenze preoccupanti. Fa un po’ effetto, ad esempio, leggere che il 47% della popolazione toscana adulta raggiunge un punteggio davvero minimo nel livello di comprensione dei testi scritti: in altri termini queste persone sono appena in grado di leggere un’etichetta di medicinale – avente un solo riferimento al numero di giorni – per stabilire per quanti giorni al massimo è possibile assumere quel medicinale.

Gravi le carenze anche in termini di problem solving: il 74% della popolazione adulta toscana e il 70% di quella italiana si colloca ai livelli più bassi della scala essendo appena in grado di eseguire compiti molto semplici riferiti a dati molto concreti. Una curiosità lascia interdetti: nella quota di incompetenti per la lettura di testi (chi, cioè, ha difficoltà a capire formulari semplici tipo buste paga, orari di treni e bus) c’è anche un consistente numero di laureati.

C’è infine una sezione, nella ricerca coordinata dall’Irpet, che si occupa di consumi culturali. In Toscana si sta un po’ meglio rispetto ai dati nazionali (il 38% dei toscani ha, in casa, più di 100 libri contro una media nazionale del 29%), ma è in generale l’Italia a essere messa molto male rispetto agli altri Paesi di riferimento. Siamo più simili all’Estonia che non a paesi come il Regno Unito, la Svezia o la Repubblica Ceca «in cui le famiglie destinano una percentuale piuttosto elevata di spesa per fini ricreative e culturali». L’Italia, e la Toscana, degli ipermercati, dei centri commerciali e del consumismo acritico è servita.Più di una persona su cinque, in Toscana, non ha alcun tipo di abitudine alla lettura avendo dichiarato di non leggere né libri né quotidiani. C’è pure un incredibile 5% dei laureati che, in Toscana, dichiara di non leggere. Più della metà dei toscani dichiara di non aver letto alcun libro durante l’ultimo anno mentre un toscano su tre dichiara di non leggere quotidiani durante la settimana.

E nella Toscana dalla fortissima offerta culturale, colpisce – francamente – un’ultima serie di dati: quelli che indagano la partecipazione a eventi culturali. Teatro, musei, concerti, cinema, visite a monumenti – è scritto in ricerca – «costituiscono per una larghissima maggioranza della popolazione toscana qualcosa di eccezionale, di nemmeno semel in anno».

È il caso degli spettacoli teatrali (nell’ultimo anno non vi ha assistito l’80% della popolazione toscana), dei concerti classico-operistici (la percentuale sale a quota 90) o delle visite ai musei (non vanno ai musei quasi 70 toscani su 100). Soltanto il cinema costituisce l’evento culturale a cui partecipa un toscano su due. Ma anche qui: una volta l’anno.

Da «reazionario» ad «acquaio» le parole che gli universitari non sannoCurata direttamente dalla Crusca – e presentata al convegno della Regione Toscana con belle relazioni di Raffaella Setti, Mara Marzullo, Neri Binazzi – anche una ricerca sulle competenze lessicali degli studenti toscani. Va detto subito che il campione intervistato – 342 universitari e 171 studenti delle superiori toscane – non è statisticamente rappresentativo dell’universo di riferimento.

Ad aver stupito è, ad esempio, il fatto che solo il 33,2% degli studenti universitari intervistati conosca la corretta definizione del termine reazionario (ancora peggio è andata fra i diciannovenni): per la maggior parte, quella parola significa addirittura il contrario della realtà cioè identifica una predisposizione alle innovazioni e alle trasformazioni.

Un’altra parola conosciuta solo dalla metà degli intervistati – ripetiamo: studenti – è antimeridiano. Esistono parole che i ragazzi dichiarano di non aver mai sentito (una è pioppeto) mentre al top fra le parole più conosciute si trovano idromassaggio, deodorante, merendina, scetticismo, modulo. Solo il 47% degli universitari ha azzeccato la definizione giusta di un termine assai citato dai politici (cartolarizzazione) e solo il 28% conosce il significato di congiuntura.

Divertente anche la sezione dedicata ai toscanismi, cioè ai termini appartenenti al più tipico linguaggio della nostra regione. Se per i termini cencio e gruccia le risposte errate sono irrilevanti, qualche problema viene manifestato dai giovani studenti toscani per rigovernare e desinare.

Gli universitari hanno invece problemi con la parola acquaio: quasi il 20% non ne indovina il significato giusto.

Illetterati, l’Italia all’ultimo postoC’è da essere preoccupati. Se ha ragione il presidente emerito della Corte Costituzionale nella forte sottolineatura donmilaniana con cui ha riempito il suo intervento al convegno della Regione Toscana sui nuovi analfabetismi («… Comanda chi conosce le parole … Se uno solo sa parlare, la vittoria andrà alla persona più abile nelle parole … È solo la lingua che rende uguali»), se ha ragione Gustavo Zagrebelsky (e come dargli torto?), allora c’è davvero da essere preoccupati per il quadro emerso da questa – imbarazzante – ricerca Irpet.

La cifra della preoccupazione, in questo bel convegno ospitato nella sede della Crusca ai confini tra Firenze e Sesto Fiorentino, l’ha fornita Vittoria Gallina presentando una sezione della ricerca: quella intitolata «Letteratismo e abilità per la vita in Toscana». Sono i risultati applicati alla Toscana e ad altre quattro regioni italiane di una più vasta inchiesta internazionale sulle competenze culturali degli adulti. Il risultato, diciamolo con onestà e senza infingimenti, è un dramma. Non tanto e non solo per la nostra regione (che sta sulla media italiana e, per certi aspetti, sta meno peggio di altri) ma più in generale per l’Italia. Brutalmente: siamo ultimi. Si allarga la forbice fra una maggioranza di illetterati («il popolo degli ignoranti», direbbe forse Adriano Celentano) e una minoranza di preparati. Evidenti le conseguenze anche in termini di democrazia reale rispetto a una società così ingiusta e così capace di viaggiare a velocità separate. Se gli analfabeti si riducono, sono gli illetterati ad aumentare: cioè quelli le cui competente nell’uso della lingua, e in tutto ciò che si molto pratico ciò significa (compresa la capacità di leggere gli orari dei treni), risultano molto ma molto limitate.

La CruscaSorta a Firenze tra il 1582 e l’anno successivo, per iniziativa di un gruppo di letterati fiorentini che si incontravano in animate riunioni chiamate scherzosamente «cruscate», l’Accademia della Crusca è coerente con il lavoro inizialmente intrapreso: la ripulitura della lingua.

L’istituzione assunse a motto un verso del Petrarca – il più bel fior ne coglie – e adottò una ricca simbologia tutta riferita al grano e al pane. Fra gli studiosi accolti Leopardi e Manzoni, Carducci e Galilei, Voltaire e Rosmini. È ancora oggi il principale punto di riferimento per le ricerche sulla lingua italiana (da qualche anno, come strumento di appoggio, è stata costituita l’associazione «amici della Crusca»).

Tre gli obiettivi fondamentali: sostenere l’attività scientifica e la formazione di nuovi ricercatori nel campo della linguistica e della filologia italiana; acquisire e diffondere, nella società italiana e in particolare nella scuola, la conoscenza storica della nostra lingua e la coscienza critica della sua evoluzione attuale; collaborare con le principali istituzioni affini di Paesi esteri e con i governi per una politica a favore del plurilinguismo nel nostro continente. Ha sede a Firenze nella Villa Medicea di Castello ed è oggi presieduta da Francesco Sabatini. www.accademiadellacrusca.it