Cultura & Società
Rosano, il «Cristo» ritrovato
La Croce, appartenuta costantemente al monastero, sembra precedere di una ventina di anni quella di Sarzana datata 1138 e finora considerata il più antico esempio di dipinto su tavola della pittura toscana. Il Crocifisso raffigura il Cristo nell’iconografia del Christus Triumphans, ovvero trionfante sulla morte, frontale con uno sguardo pieno di tenerezza che arriva dritto al cuore di chi lo guarda. Un soggetto questo molto diffuso nel XII secolo, ma successivamente abbandonato per la raffigurazione del Christus Patiens, cioè di un Cristo sofferente, morente. Oltre alla figura del Cristo, nel tabellone principale sono dipinte le Storie della Passione, mentre nei tabelloni a sinistra e a destra vi sono quattro Santi.
La croce ritorna a Rosano dopo dieci anni, tanto sono durati infatti i restauri eseguiti da Roberto Bellucci presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze sotto la direzione di Marco Ciatti e Cecilia Frosini e agevolati dal contributo determinante del Banco Desio.
L’intervento di restauro è stato contrassegnato da una serie di scoperte. Una particolarità interessante è rappresentata dal fatto che l’opera non ha mai subito un restauro moderno e questo ha permesso di riportare alla luce sia i colori originari, di una brillantezza straordinaria, sia quelli delle antiche trasformazioni subite nel XVII secolo. Nel Seicento infatti furono tagliate la parte inferiore e quella in alto, privando la croce dell’iscrizione INRI e forse di una Ascensione, come ci testimoniano le altre Croci dipinte dell’epoca. Inoltre fu aggiunta una cornice a listello bicolore (nero e oro) inchiodata e incollata alla superficie pittorica e probabilmente fu in questa stessa occasione che subì una nuova verniciatura che andò ad assommarsi a quella antica.
Le sorprese della croce di Rosano però non finiscono qui. È emerso che il supporto, in legno di castagno, è costituito da tavole verticali per il corpo di Gesù Cristo e per le Storie della Passione e da una tavola orizzontale per le braccia passante e continua con assi assottigliate tali da permettere un sistema di incastro che non determina tagli troppo evidenti nel corpo o nelle braccia della figura di Cristo, una tecnica di costruzione delle croci che troviamo fino a Cimabue che la adotta nel Crocifisso di Arezzo.
Anche la tecnica pittorica ha riservato delle novità. Al supporto ligneo sono stati fissati un doppio strato di tela molto sottile e la stesura della tempera e del fondo oro è stata fatta direttamente sul supporto senza il consueto strato a base di bolo. Queste scoperte sono state rese possibili grazie ad una campagna diagnostica condotta sia dal laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure sia da una serie di Istituti di ricerca fiorentini: l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente, l’Istituto nazionale di fisica nucleare e gli Istituti di ottica e di fisica applicata.
Un’ultima sopresa è stata quella di aver scoperto nella zona alta del Crocifisso un incavo con dentro una reliquia (un frammento di osso) e una piccola croce di pietra, del tipo degli enclopia riportati dai cavalieri crociati dalla Terra Santa. Una scoperta che ha fatto supporre una committenza da parte dei conti Guidi dato che nel 1124 vi fu, oltre alla consacrazione della chiesa di Rosano, la monacazione di Sofia, figlia di Guido Guerra Guidi. La croce poteva essere sia il risultato di una commissione dotale per la monacazione di Sofia, sia la memoria della vicenda di crociato del conte Guido Guerra.
Da un punto di vista storico artistico la pulitura del Crocifisso ha fatto scaturire alcune riflessioni: prima di tutto la totale assenza di influssi bizantini e la presenza di un linguaggio propriamente occidentale, la realizzazione fortemente «realistica» di alcuni dettagli e la resa, seppure in maniera schematica, di luce e ombre di alcune parti del carnato come, per esempio, delle gambe, nonché il tentativo di rendere la volumetria del corpo e le espressioni di dolore nei volti. Il Crocifisso inoltre mostra di dialogare sia con gli affreschi realizzati in Sant’Angelo in Formis che con quelli delle chiese catalane di Santa Maria e di San Clemente a Tahull realizzati rispettivamente nel 1123 e nel 1125. Certamente il restauro di un’opera di straordinaria importanza quale è la Croce di Rosano, testimonianza artistica e materica di un così lontano periodo storico, è destinato ad aprire nuove prospettive nello studio dell’arte del XII secolo a Firenze.
I grandi occhi aperti del Cristo, raffigurato secondo la lettura teologica dell’epoca come trionfante, interpellano con una forza esigente ma dolcissima chi, entrando nella penombra della chiesa, viene irresistibilmente attratto da uno sguardo che è personale ed universale insieme. Davanti al Dio crocifisso, trionfante della morte nella gloriosa risurrezione, l’uomo di oggi, e di tutti i tempi, è chiamato a dare la sua risposta, a scegliere la vita per il tempo e per l’eternità, accogliendo il dono di salvezza che gratuitamente gli viene donato dal suo Creatore che per salvare la sua creatura non ha esitato, in un impeto d’amore infinito di cui Egli solo è capace, a farsi piccolo bambino, uomo dei dolori che ben conosce il patire e Salvatore potente che prima di passare dalla morte alla vita è disceso agli inferi e afferrando saldamente l’uomo per un polso come raffigurato in una delle scene che circondano la figura del Cristo crocifisso lo ha sollevato in alto oltre la terra, oltre il cielo, fin nel cuore della Trinità per poter godere pienamente ed eternamente insieme a lui secondo il disegno d’amore che gli aveva fatto scegliere di chiamare all’esistenza degli essere capaci di conoscere e di volere per renderli partecipi della sua vita beata.