Cultura & Società
Parronchi, l’ultimo grande della poesia del Novecento
Il mio ricordo di Parronchi è perciò di carattere letterario e personale, per quel che egli ha scritto lungo tutto il secolo ventesimo e per quel che egli è stato come persona, come cristiano, come amico (si licet parva ).
Sul suo valore letterario e poetico è stato detto tutto, in una consacrazione letteraria che parte ormai da anni lontani, dagli anni Quaranta e si scioglie e irrobustisce nei decenni successivi, anche con la critica d’arte e l’insegnamento universitario.
Sembrerebbe quasi una frase fatta l’affermazione che la poesia italiana è più povera con la morte di Parronchi, ma è vera; e specialmente per chi non solo ha letto i suoi versi ma ha potuto constatare la bontà di un uomo e la fede di un cristiano. Ogni volta che andavo a fargli visita, la moglie Nara diceva: preghi per noi, preghi per noi
La sua vasta produzione poetica in versi è stata raccolta in due volumi, Le poesie, editi nel 2000 da Polistampa Firenze. Parronchi lascia la moglie Nara e due figlie, Rosa e Agnese.
I funerali si sono svolti lunedì 8 gennaio nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze. Poesia «malinconica e triste» quella di Alessandro Parronchi, come lo stesso autore fiorentino la definiva aggiungendo, con una punta di amarezza, che «oggi la tristezza non è ammessa». Eppure, nella storia letteraria italiana, Parronchi, che era anche critico d’arte e docente universitario, ha mantenuto un ruolo di primo piano. Protagonista di quel gruppo di «ermetici» che tra il 1930 e il 1945 si riunirono in una vera scuola con l’intento di fare poesia lontano dal contingente e in una ricerca continua nel profondo dell’inconscio, l’autore fiorentino si allontanò in seguito da quell’origine cercando strade nuove e personali.
Nato a Firenze nel 1914, Parronchi apparteneva ad una famiglia di notai, lo erano sia il padre, sia il nonno. Ma il giovane Alessandro, dopo il liceo classico, si indirizzò verso gli studi letterari laureandosi in storia dell’arte nel 1938. Cominciò quasi subito la sua attività collaborando con giornali e riviste d’avanguardia e avvicinandosi, in una Firenze all’epoca protagonista del dibattito e della produzione culturale italiana ed europea, al «club» di poeti che furono annoverati nella corrente dell’ermetismo fiorentino o secondo ermetismo: Mario Luzi, in primo luogo, e poi Piero Bigongiari, Alfonso Gatto, Carlo Betocchi, Luigi Fallacara, Carlo Bo, Franco Fortini, Oreste Macrì.
In quel clima culturale, nasce la prima raccolta di poesie di Parronchi I giorni sensibili, pubblicata nel 1941. In seguito, la sua scrittura abbandona i criteri dell’ermetismo per percorrere strade del tutto personali le cui radici affondano nella letteratura dell’esistenzialismo cristiano e nei classici della poesia italiana. Tra i titoli più famosi, Per strade di bosco e città (1954), Coraggio di vivere (1961) e Quel che resta del giorno del 2001, anno in cui Parronchi ricevette il premio di poesia «Dino Campana».
Non meno intense e appassionate sono state la sua attività come storico dell’arte e il suo rapporto con poeti, artisti e scrittori del ‘900 italiano, tra i quali spiccano Vasco Pratolini (da ricordare il carteggio dei due intellettuali in cui viene raccontata la vita, le gioie e i dolori d’una generazione passata attraverso il fascismo e la Resistenza).
Per anni ordinario di Storia dell’arte medioevale e moderna, Parronchi ha scritto molte monografie scientifiche era considerato uno dei massimi esperti di Michelangelo e Donatello e intrecciò solidi rapporti con i maggiori artisti del ‘900, da Ottone Rosai a Guido Borgianni, Sergio Scatizzi, Venturino Venturi e Mario Marcucci.