Cultura & Società

Miti sulla bocca di tutti…

di Elena Giannarelli

Tutti i giorni, ormai quasi senza accorgercene, parlando e scrivendo facciamo ricorso alla mitologia. Quante volte, per esempio, diciamo «sei un mito!» riguardo a persone e personaggi (cantanti, calciatori, attori, ballerini…, e la lista potrebbe continuare all’infinito) che secondo noi appaiono dotati di qualità straordinarie o forniscono prestazioni eccellenti. Ma se i miti moderni tramontano, ecco invece quelli che non sono mai tramontati.

Si chiamava Narciso ed era il figlio di un fiume e di una ninfa. Bello in maniera indescrivibile, non riusciva ad amare nessuno. Un giorno vide la sua immagine riflessa in una pozza d’acqua e se ne innamorò. Quel sentimento sconosciuto cominciò a struggerlo ed in breve tempo lo consumò del tutto. Si trasformò in un fiore, quello che ancora oggi porta il suo nome. Ecco un mito celeberrimo, uno di quei racconti che stanno alla base della nostra cultura: ha ispirato in ugual misura poeti antichi e moderni, pittori e musicisti ed è stato più volte riscritto, abbellito di particolari nuovi come la fatale attrazione del fiore verso l’acqua, sulla quale si piega fino a cadervi dentro.La storia di Narciso è stata utilizzata dagli studiosi della psiche umana per definire un ben noto complesso. Il narcisismo è lo smodato amore di un individuo per se stesso, al punto da non accorgersi degli altri e da vivere una realtà del tutto distorta. L’antico mito sottolinea come certi atteggiamenti fossero considerati pericolosi fino dalla notte dei tempi: nel nostro comportamento sono ancora attive pulsioni ancestrali, che attraverso quelli vengono descritte. Il pericolo magico che minaccia chi contempla se medesimo introduce al rischio mortale cui spinge l’amore eccessivo di sé.

Altro mito. Il padre era Laio, re di Tebe; la madre si chiamava Giocasta ed è Omero in persona a raccontare per primo la storia di Edipo. Si tratta del giovane che, senza saperlo, uccise il proprio genitore, sposò la donna che lo aveva partorito e si impiccò una volta scoperto l’incesto. La leggenda ha tuttavia tinte ancora più fosche. A Laio il dio Apollo aveva predetto che sarebbe stato ucciso da suo figlio, a causa di una antica colpa commessa da quel re. Quando, esule da Tebe, era stato ospite di Pelope, gli aveva rapito il figlio Crisippo. Laio ebbe un bambino e si ricordò di quel vaticinio: espose il piccolo, ossia lo abbandonò, dopo avergli trapassato i piedi con un palo appuntito, per impedire di camminare a lui ed alla sua ombra. Il piccolo fu tuttavia trovato da un pastore del re di Corinto, Polibio, ed il sovrano, che non aveva figli, lo adottò chiamandolo Edipo, che significa «dai piedi gonfi». Una volta cresciuto, gli venne rimproverato di non essere davvero il figlio del re ed Edipo si recò a Delfi per chiedere al dio Apollo chi fossero i suoi veri genitori. Il dio gli rispose che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Disperato, non volle tornare a Corinto, ma partì per Tebe ed al suo arrivo uccise, senza sapere chi fosse, proprio Laio. La città all’epoca soffriva a causa di un mostro, la Sfinge, che ammazzava chi non risolveva l’enigma da lei proposto. Edipo fu in grado di rispondere; morta la Sfinge, ebbe in premio la mano della regina. Dalle nozze nacquero quattro figli. Ma alla fine il segreto del loro rapporto fu scoperto: Giocasta si uccide ed Edipo si acceca o viene accecato dai servi di Laio. Quindi lascia il regno, o viene bandito da Tebe dai suoi stessi figli, e va ramingo di città in città, finché muore a Colono.

Anche in questo caso versioni diverse del mito si rincorrono dall’antichità ai nostri giorni. Tre tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, Seneca e molti secoli dopo Corneille, Voltaire, Niccolini, von Hoffmansthall, Gide ne sanciscono uno straordinario successo. Esso continua in musica con Pourcell, Mussorgskij, Pizzetti, Leoncavallo, Strawinskij, Mendelssohn e nelle arti figurative. Anche in questo caso, pare quasi superfluo parlare del complesso di Edipo, che tutti conoscono e che può essere evocato per tanti sconvolgenti fatti di cronaca attuale. Delitti contemporanei chiamano in causa Medea, la giovanissima principessa di Colchide, dotata di poteri magici, che viene pregata dagli dèi di aiutare Giasone nella conquista del vello d’oro, posseduto dal padre di lei. Il doppio volto di Medea, maga potente e giovinetta pronta ad innamorarsi ed a farsi travolgere dagli affetti, è uno dei motivi di fascino del personaggio, simbolo di una femminilità in cui convivono innocenza e crudeltà, magia e candore. Da vera fanciulla Medea si innamora dell’eroe al primo incontro; in quanto maga gli dà un unguento che gli assicura l’invulnerabilità e gli consente di impadronirsi del vello d’oro, nonostante la guardia di draghi e giganti. Giasone fugge col bottino e lei lo segue. Si sposano; poi a Corinto lui si innamora di Creusa, figlia del re della città. Medea, infuriata, fa morire la rivale atrocemente e uccide i figli suoi e di Giasone. Sale poi su un cocchio trainato da draghi alati e si dirige ad Atene.

Crono, il dio del tempo, che divorava i suoi figli per paura di essere detronizzato da loro, è il rivestimento mitico dell’ancestrale paura che prende molti padri alla nascita dei loro piccoli: scherzando, veniva chiamato così nel mondo accademico italiano un grandissimo professore che sistematicamente ostacolava la carriera dei suoi alunni più bravi per timore che divenissero più famosi di lui. Mito, mistero, forze ancestrali costituiscono un filo rosso fra le epoche più antiche e la nostra tecnologica civiltà. Già che siamo entrati in ambito universitario, ecco cosa dice Laura Bocciolini Palagi, che insegna Storia della lingua latina alla Facoltà di Lettere a Firenze ed è studiosa di letteratura e mitologia antica. A proposito della dimensione del mistero che nel mondo odierno ha tanto successo, la studiosa puntualizza: «Oggi come ieri c’è il desiderio di una realtà diversa da quella di tutti i giorni, il desiderio di certezze e di speranze che non sono a portata di mano. È forte il desiderio-necessità di colmare il vuoto, di trovare risposte ad aspettative e domande che non vengono soddisfatte». E riguardo a Medea nei delitti dei nostri giorni: «Medea è una figura inquietante e di fronte a certi fatti di cronaca nera un confronto viene spontaneo. La dimensione femminile e ferina riemerge dalla preistoria: all’improvviso tutto ritorna». Ed ecco allora il significato che assume oggi lo studio dei miti. «Lo studio dei miti può aiutarci a gettare luce su aspetti inquietanti della realtà contemporanea».

A molte narrazioni mitiche risalgono espressioni e modi di dire ancora oggi utilizzati, sebbene non più comuni come nel passato. Gli esempi sono numerosi. Ne riportiamo solo alcuni a cominciare dalla definizione di vulcanico per qualcuno che si mostra particolarmente effervescente e pieno di trovate. Il dio omonimo, Vulcano appunto, ne garantisce la straordinarietà.

I Ciclopi erano mostruose creature, di statura gigantesca, con un solo occhio in mezzo alla fronte. Omero li presenta come pastori ed antropofagi, ma possono anche essere gli aiutanti di Efesto, il dio del fuoco, nella sua officina sotto l’Etna. Ecco che l’aggettivo ciclopico è usato per definire mura costruite con blocchi di grandezza straordinaria, incastrati gli uni sugli altri, secondo una tecnica primitiva che la tradizione attribuisce proprio a loro. Ciò che è enorme e richiede uno sforzo colossale per essere realizzato diventa, nella nostra lingua, ciclopico. Oppure titanico, ossia superiore alla possibilità umana. I Titani, figli di Urano e Gea, tentarono una folle impresa: la scalata all’Olimpo e al potere di Zeus. Furono però sconfitti e precipitati nel Tartaro. Da allora è un titano chi raggiunge dimensioni eroiche o leggendarie nel campo della scienza e dell’arte.

«Farsi ammaliare da una sirena», «cedere alle sirene del facile successo e dei soldi» sono espressioni che presuppongono il mito delle Sirene, appunto: fanciulle giovani e belle nella parte superiore del corpo, uccelli o pesci in quella inferiore, ma soprattutto esseri capaci di cantare in maniera incantevole e di ammaliare i naviganti per causarne il naufragio e la morte. Una donna affascinante, seducente è una sirena e da millenni il fascino femminile viene letto come motivo di perdizione. Un eroe fu in grado di resistere loro: Odisseo-Ulisse passò indenne oltre loro, dopo essersi fatto legare all’albero della nave dai compagni cui aveva prudentemente tappato le orecchie con la cera. Egli è però un caso a parte. Per antonomasia si tratta del viaggiatore avventuroso; le sue peripezie divennero presso i poeti classici simbolo della ricerca della virtù da parte dell’uomo; presso i cristiani fu letto come figura dell’anima in cerca della verità e della fede; Dante lo disegna come immagine del costante bisogno di conoscere, che stacca l’umanità dai bruti.

Dedalo, il costruttore del labirinto a Creta, ha dato il suo nome a tutto quanto è abilmente concepito ed eseguito, ingegnoso, geniale. Gli aggettivi sono due: dedaleo e dedalico. Tuttavia è sempre l’immagine del labirinto a prevalere: provate a cacciarvi in un «dedalo di viuzze» per credere alla sua maestria. Il figlio è Icaro: fuggito appunto dal labirinto con il padre e con le ali di cera che questi gli aveva applicato addosso, si accostò troppo al sole e, scioltasi la cera, precipitò nel mare che prese il suo nome. Alcuni esercizi di volo acrobatico sono detti voli icariani: ci auguriamo che non abbiano lo stesso risultato.

Anche Ercole, semi-dio greco, quello delle colonne che delimitano il Mediterraneo e le terre conosciute e delle fatiche strepitose, è l’immagine della persona di costituzione robusta e di grande forza. Da qui la definizione di Ercolino, per chi dà prova di un vigore fisico «erculeo».

Nel parlare toscano poi i paragoni mitologici si sprecano. «Pare un Adone» è il modo consueto per indicare un giovane bello e curato nell’abbigliamento. La dea della bellezza viene evocata spesso per definire una fanciulla bruttina o insignificante: «non è una Venere», potenza della litote. Soprattutto toscanissima, fiorentina e del contado fiorentino, è l’affermazione: «la pare Proserpina presa pe’ciuffi», a proposito di una donna scarmigliata. Il dio degli Inferi, Plutone, rapì Proserpina, figlia di Cerere, prendendola per i capelli e rovinandole la vita, oltre che l’acconciatura.

LA TROTTOLA DI DIONISO

Laura Bocciolini Palagi è una latinista dell’Università di Firenze che vanta una straordinaria competenza in mitologia classica e leggende cristiane. Nell’ormai lontano 1978 ha infatti pubblicato «Il carteggio apocrifo di Seneca e san Paolo», un epistolario risalente al IV secolo, nel quale si immagina uno scambio di lettere fra il filosofo vissuto alla corte di Nerone e l’apostolo delle genti. Le epistole sono centrate sull’importanza, anche per i cristiani, di un’attenta cura formale nei loro scritti. La professoressa Bocciolini Palagi si è poi cimentata con una serie di miti antichi, fra cui quello di Orfeo, il vate che col suo magico canto sovvertiva le leggi naturali, ma perse l’amata Euridice per la quale era addirittura disceso agli Inferi. La studiosa fiorentina ha poi seguito lo sviluppo di queste leggende in ambito cristiano, perché quell’antico personaggio è stato accostato a Cristo. Il suo meraviglioso cantare fu considerato prefigurazione della soavità della parola del Signore e del suo potere salvifico. Anche in ambito iconografico il mitico personaggio appare in mezzo agli animali come il Buon Pastore e come Gesù dopo le tentazioni. Un altro mito oggetto di studio da parte di Laura è stato quello di Dioniso, di cui Orfeo era il sacerdote. Il suo ultimo libro è intitolato La trottola di Dioniso. Motivi dionisiaci nel VII libro dell’Eneide (Pàtron editore, pagine 240, euro 16). La trottola è uno degli oggetti sacri del culto dionisiaco, che venivano mostrati agli adepti durante le cerimonie di iniziazione. Oltre alla trottola, altri «balocchi» di quella religione misterica erano dadi, palle, bambole snodabili e il rombo. Essi ricordavano il mito della passione di Dioniso da bambino. Secondo una versione antica, il dio era stato attratto proprio con questi dai Titani, fatto a pezzi ed i suoi uccisori se ne erano cibati. Erano finiti poi fulminati da Zeus. Notizie di tutto questo provengono da autori cristiani che, non vincolati dal segreto, polemizzano contro simili culti e ne smascherano le storture. Laura Bocciolini per prima ha riconosciuto nel VII libro dell’Eneide allusioni di Virgilio alla liturgia misterica, che presuppongono un rapporto di complicità fra l’antico poeta ed i suoi lettori. Il paragone fra il vorticare della regina Amata, in preda al furore dionisiaco indotto da un demone e l’umile giocattolo allude a queste realtà nascoste.