Cultura & Società

1948, l’anno delle elezioni record

di Ennio Cicali

Una vittoria schiacciante, quella conseguita dalla Democrazia cristiana il 18 aprile 1948, che supera le più azzardate previsioni e le attese dei capi dello stesso partito. Un risultato che sconvolge tutti i precedenti equilibri politici. Le liste presentate per le elezioni alla Camera sono in totale 42, ma solo dieci partiti partecipano alla divisione dei 573 seggi a disposizione (18 in più che alla Costituente): la Democrazia cristiana ottiene 12.712.562 voti (48,5%), 306 seggi (53,1% dell’assemblea), il Fronte democratico popolare ( comunisti e socialisti uniti) 8.137.047 voti (31,0%), 183 seggi, Unità socialista 1.858.346 voti(7,1%), 33 seggi; Blocco nazionale 1.004. 389 (33%), 18; Partito nazionale monarchico 729.174 (2,8%) 14; Partito repubblicano italiano 652.477 (2,5%) 9; Movimento sociale italiano 326.670 (2,0%), 6; Partito popolare sud tirolese 124.385 (0,5%), 3; Partito sardo d’azione 61,919 (0,3%) 1; Partito contadini d’Italia 96.025 (0,4%) 1. La Democrazia cristiana aumenta di oltre 4 milioni 700 mila voti rispetto alle elezioni del ’46. Comunisti e socialisti ne perdono quasi un milione.

La percentuale dei votanti è altissima, da record: una delle più alte registrate in un regime democratico. Dall’89 per cento registrato il 2 giugno 1946, si passa al 92,3 per cento. È chiaro che l’elettorato ha compreso la decisiva importanza della consultazione.

Oltre ai comunisti e socialisti uniti nel Fronte popolare, sotto l’effigie di Garibaldi, numerose sono le novità: sono spariti il Partito d’azione e la concentrazione repubblicana di Parri e La Malfa; scomparsa anche la lista dell’Uomo qualunque; è comparso il nuovo partito socialdemocratico con la sigla di Unità socialista; debutta il Movimento sociale italiano, con un riferimento alla repubblica di Salò, ostenta la sua vera natura fascista.

«È stata vinta la paura», così Attilio Piccioni, segretario della Democrazia cristiana, commenta la vittoria della Democrazia cristiana. È stata una campagna elettorale condotta all’insegna della paura. Timore che la contesa degeneri in lotta armata. L’acuirsi della «guerra fredda», il colpo di Stato a Praga con la morte sospetta di Jan Masaryk, trovato morto sotto la finestra di casa sua alimentano la paura del fronte anticomunista che ha nella Dc la principale protagonista.

La campagna elettorale assume toni accesi: Togliatti dice di avere ordinato uno scarpone chiodato con il quale, dopo il 18 aprile, assesterà un calcione in una parte del corpo di De Gasperi che non vuole nominare. Il blocco delle sinistre teme l’intervento degli Stati Uniti per annullare la «vittoria elettorale» del Fronte popolare, nonostante le assicurazioni che gli Usa non interverranno.

Un contributo importante alla vittoria della Democrazia cristiana viene dai Comitati civici, nati all’interno delle giunte parrocchiali di Azione cattolica, che si impegnano nella propaganda e nella lotta elettorale. Su questa struttura di base sorge un’organizzazione di coordinamento a vari livelli, distinta dall’Azione cattolica. Dall’azione dei Comitati civici nasce il discorso sull’impegno politico dei cattolici, un argomento tuttora di attualità.

Non è solo la paura a cementare il ruolo dei cattolici, la Dc si presenta come un partito, forse l’unico, dotato di un programma e intenzionato a realizzarlo, un programma che trae origine dal Codice di Camaldoli. Un programma che smentisce le voci che vogliono la Dc come il partito dei padroni. La presenza della corrente progressista di Dossetti testimonia il carattere popolare del partito e lo stesso De Gasperi imposta i suoi comizi elettorali sulla necessità di riforme fondamentali.

Quattro giorni dopo le elezioni, De Gasperi dichiara al «Corriere della sera»: «Il popolo aspetta la lotta contro la disoccupazione, l’elevazione del lavoro, la riforma agraria. Tutto questo sarà fatto».

La Dc, con 304 deputati, ha la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato (falsata dai seggi assegnati di diritto), potrebbe governare da sola, pur con l’aiuto di qualche indipendente. Dando prova di chiaroveggenza politica e sensibilità democratica, De Gasperi preferisce rilanciare l’alleanza quadripartita con Pri, Pli e Psli. Il quadripartito, destinato a durare l’intera legislatura e pur tra difficoltà e contrasti assicurerà all’Italia una notevole stabilità.