Cultura & Società
Marasco: mio zio futurista
di Riccardo Marasco
Soltanto martedì 3 marzo Firenze, con notevole ritardo su Parigi e altre città d’Italia o d’Europa ha dato segni di vita annunciando per i prossimi mesi iniziative a celebrazione del centenario del Manifesto futurista di Marinetti. Un ritardo sintomo di una certa indifferenza, come se il Futurismo non l’avesse mai neppure sfiorata, o forse quasi per vendicarsi di quel movimento che dichiarava guerra all’arte passatista delle accademie che hanno deificato questa nostra città, una bella regina addormentata.
Finché ho vissuto in casa di mio padre ho sempre visto nella sala da pranzo un quadro a olio dai colori armonici, sereni, con linee e forme geometriche che simulavano onde di mare e turbini di vento, un susseguirsi continuo di bianchi-avorio, di celesti e di blu: si intitolava «Vele Vento». Era stato per le nozze dei miei genitori il regalo del fratello di mio padre, uno zio che non ricordo di avere mai visto nei primi dieci anni della mia vita. Lo conoscevo attraverso quella sua pittura e in casa se ne parlava poco: era un esempio da non seguire perché aveva voluto fare il pittore, l’artista. Un bel giorno, a circa otto anni, ne sentii parlare più frequentemente: ascoltavo i miei genitori confabulare che aveva dei guai con dei giudici di un tribunale, che si trovava in prigione a Pavia, che andava difeso perché lo volevano fare apparire un assassino, lo volevano condannare a morte. Calunnie infondate, campate in aria, secondo mio padre che lo descriveva come una testa matta ma un mite, capace solo di impugnare matite e pennelli, di roteare nell’aria solo parole e sprecare colori sulle tele, un rivoluzionario del mondo delle idee.
Anni fa, seguendo il mio interesse per la canzone fiorentina, feci ricerche su Odoardo Spadaro studente ginnasiale e scoprii Antonio Marasco, quel pittore originario della Calabria che, pur essendo mio zio, era stato per me un mistero fino a quel momento. Negli archivi del Liceo Dante rintracciai per Spadaro Odoardo, classe 1893 in quarta ginnasio, la pagella dell’anno 1906-1907, con voti discreti in tutte le materie tranne che nelle lingue straniere. Spadaro, che avrebbe affascinato mezzo mondo cantando e recitando in ben cinque lingue, e che viveva a casa della nonna materna di lingua inglese, risultava refrattario alle lingue. Ma con mia grande sorpresa trovai che in quegli stessi anni, in classi immediatamente inferiori, erano iscritti due fratelli, Francesco (classe 1894, dodicenne) e Antonio Marasco (classe 1896, 10 anni) e sulle loro pagelle, accanto ai voti insufficienti in quasi tutte le materie, lessi giudizi, quasi sarcastici, degli insegnanti: «Proveniente da scuola di Nicastro (Catanzaro), parla solo calabrese!». Erano i fratelli di mio padre, che allora, nel 1906, aveva appena 4 anni.
A Firenze, culla della lingua, parlare solo calabrese era un handicap disonorevole, oggetto di scherno per i compagni e forse anche per gli insegnanti. Ho cominciato a capire perché quei due fratelli siano diventati insofferenti della società di quegli anni e in seguito dei rivoluzionari.
Capii perché Antonio, che aveva già mostrato anni prima in Calabria inclinazione verso il disegno, si sia poi iscritto al Liceo artistico. Sfuggendo alla dittatura della parola e alla ghettizzazione della sua lingua madre, cercava nel mondo dell’immagine rifugio e diritto di esistere per la sua anima. Ma formatosi ormai uno spirito ribelle, le lezioni del liceo artistico, sempre meno frequentate, si alternarono alle «scazzottate futuriste» al seguito di Filippo Tommaso Marinetti o alle lotte sindacali dietro a Filippo Corridoni, e così Antonio finì negli schedari della Questura come «pericoloso anarchico sovversivo», una schedatura che gli segnerà tutta la vita futura.
Proprio partendo dalla parola, Marinetti, con il suo manifesto, ridava libertà alla creatività nelle arti e Antonio Marasco, che avrebbe in seguito rivelato anche elevate qualità di scrittore, vide nella pittura e nella parola, uno strumento di riorganizzazione del pensiero, di rivoluzione sociale, di ricostruzione dell’universo: il suo cammino di futurista era segnato. In lui al pensiero seguì immediatamente l’azione. Fra il 1913 e il 1914 per essere presente e partecipe alle mostre e alle serate futuriste fu continuamente in viaggio per l’Italia e per l’Europa fino ad arrivare in Russia dietro a Marinetti per conoscere le avanguardie di quel Paese, stabilendo profondi rapporti di amicizia con altri artisti di tutta Europa. Ma il rapporto più tonificante fu per lui quello che nacque nella primavera del 1914 con Boccioni, anche lui calabrese, che lo chiamò «compagno di miracoli» e con lui partecipò perfino a mostre d’Oltreoceano. Dopo pochi mesi, però, la prima guerra mondiale disperse i futuristi richiamati a partecipare a quel conflitto che loro stessi avevano caldeggiato e molti se li divorò. Data la sua giovane età Marasco partì volontario e quando il 22 maggio nel 1915, appena undici giorni dopo aver compiuto il suo diciannovesimo anno, si presentò spontaneamente al Distretto di Piazza Santo Spirito, offrendo alla patria la sua giovinezza, fu subito assegnato alle speciali compagnie di correzione per via di quella schedatura «pericoloso sovversivo».
L’idea futurista lo aveva pervaso e lo possedette tutta la vita in misura totalitaria (Primo Conti lo definì «frate trappista del futurismo») e quando si convinse che Marinetti, Accademico d’Italia, stesse perdendo l’originario slancio ideale ed organizzativo, dette vita ad un «Futurismo Indipendente» creando i «Gruppi Futuristi Indipendenti», riconosciuti ed accettati dallo stesso Marinetti. A questa nuova realtà futurista aderirono gruppi nati in molte regioni italiane, oltre che in Germania, Svizzera, Olanda, Svezia, Francia, gruppi che riconobbero in Marasco il loro leader.
La sede della direzione di questi gruppi fu a Firenze, in Piazza della Signoria, al numero 5, dove era anche la redazione del giornale letterario, artistico, «Il Passo Oltre», diretto dallo stesso Marasco e dove successivamente, il 15 giugno 1933, nacque il numero unico «Supremazia Futurista», quasi un manifesto del nuovo movimento nel quale si vantava come uno dei primi grandi successi del Futurismo Indipendente la nuova stazione ferroviaria di Firenze.
Ma la Bella Addormentata tutto questo non lo sa!
Un centenario ricco di eventi
«Vi annuncio il prossimo lanciamento delle cucina futurista per il rinnovamento totale del sistema alimentare italiano, da rendere al più presto adatto alle necessità dei nuovi sforzi eroici e dinamici imposti dalla razza. La cucina futurista sarà liberata dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l’abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita al palato, è una vivanda passatista perchè appesantisce, abbrutisce, illude sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d’altra parte patriottico favorire in sostituzione il riso». Secondo Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista, la pastasciutta era l’«assurda religione gastronomica italiana» che legava «con i suoi grovigli gli italiani di oggi».
Se queste parole di Marinetti vi hanno fatto sobbalzare sulla sedia, la lettura delle ricette anzi, delle «formule» contenute nel libro del 1932 scritto assieme all’«aereopittore» Fillìa potrebbe addirittura farvi cadere. Reggetevi forte, allora, e sappiate che ad esempio il «carneplastico» («interpretazione sintetica degli orti, dei giardini e dei pascoli d’Italia») era una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita, ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte, disposta verticalmente al centro del piatto, «incoronata» con uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia poggiante su tre sfere dorate di carne di pollo. Il «pollo d’acciaio» o «pollofiat» era invece un pollo arrostito, ripieno di zabaione rosso e confetti sferici argentati e decorato con creste di pollo. Non ebbe miglior fortuna, ma fece senz’altro meno danni il tentativo di italianizzare certi termini di origine straniera, in omaggio ai dettami patriottici del ventennio: fu così che il cocktail divenne la «polibibita», il bar si trasformò nel «quisibeve», il sandwich fu tradotto con «traidue» e il dessert con «peralzarsi». Quanto al picnic, si optò per «pranzoalsole», a dimostrazione del ferreo ottimismo in questo caso meteorologico da cui era pervasa l’idea futurista.
Chi volesse saperne di più, per semplice curiosità o per autentico autolesionismo gastronomico, non ha che da attendere la presentazione della ristampa del famigerato volume, «La cucina futurista», che avverrà a Firenze nell’ambito della rassegna «Taste», in programma alla Stazione Leopolda dal 14 al 16 marzo. Sarà la prima iniziativa fiorentina per celebrare il centenario del Manifesto della pittura futurista, pubblicato da Tommaso Marinetti il 20 febbraio 1909 su «Le Figaro».
Altrove, ad esempio a Cortona e Siena, si è già provveduto; la città etrusca ha anzi colto l’occasione per presentare un film sul pittore cortonese Gino Severini, anch’egli firmatario del Manifesto. Nel capoluogo toscano una delle culle del futurismo e nella vicina Fiesole si svolgeranno invece, tra la primavera e l’estate, numerosi eventi promossi dalle due amministrazioni comunali assieme alla Fondazione Primo Conti, al Gabinetto Vieussieux e dalla Fondazione Jorio Vivarelli di Pistoia. Per martedì 24 marzo è prevista, a Palazzo Strozzi, una serata teatrale con lo spettacolo «Donne, Velocità, Pericolo», ispirato a tre libri futuristi, mentre sabato 18 aprile, nella Basilica di Sant’Alessandro a Fiesole, sarà presentata la mostra «Primo Conti. Capolavori del futurismo e dintorni», che resterà aperta fino al 31 maggio. Dal 14 maggio al 15 giugno il Gabinetto Vieussieux ospiterà invece «Bruciamo le biblioteche… Il libro futurista nelle collezioni pubbliche fiorentine», mentre il 28 maggio in Palazzo Vecchio sarà presentato un dvd dedicato a «Il futurismo a Firenze». La Provincia, dal canto suo, darà il suo contributo alle celebrazioni ospitando a Palazzo Medici Riccardi, il 15 e 16 maggio, il convegno di studi «Firenze futurista 1909-1920». A chiusura delle celebrazioni per il centenario, è prevista per il 23 luglio a Fiesole, nella sede della Fondazione Primo Conti, una cena futurista in… carne e ossa, nonché, supponiamo, confetti, zabaione, miele e quant’altro. Per i più coraggiosi, s’intende. Ma niente paura: pare che un’altra, più modesta, si sia già tenuta nei giorni scorsi e non siano stati rilevati casi d’intossicazione…
Marco Lapi