Cultura & Società
La Francigena non era «angligena»
di Franco Cardini
Insomma, non se ne può più. E, a dirla tutta, uno che da anni affianca il suo lavoro di ricerca scientifica a uno sforzo costante di miglioramento del livello medio di conoscenza storica (la cosiddetta «buona divulgazione»), a volte si scopre a pensare di aver perduto un sacco di tempo prezioso in chiacchiere inutili.
Sembra ad esempio inutile (per quanto forse in realtà non sia così) aderire costantemente alle richieste dei mezzi di comunicazione stampa o Tv o quello che volete per cercar di contribuire a migliorar le conoscenze medie sulla storia, se poi un lavoro condotto alla luce d’un continuo sforzo di miglioramento e di aggiornamento viene vanificato dai soliti venditori di fumo che, potentemente appoggiati dai massmedia, proclamano arroganti e pericoloso vaniloqui di sedicenti addetti ai lavori sui templari, sul santo graal, sui pellegrinaggi, sulla gastronomia medievale e via blaterando. Verrebbe voglia d’invitar la gente a tenersi i suoi grandi o piccoli Dan Brown e a lasciar in pace le persone serie che fanno il loro modesto lavoro di ricerca. Tanto, è tutto inutile.
Però, di quando in quando, accadono fatti che ti procurano feroci attacchi di adrenalina e ti costringono ad alzar la voce, anche se sai che sarà del tutto inutile.
Prendiamo il caso della Via Francigena. Come ormai perfino il mio gatto ha imparato, si tratta del nome convenzionalmente attribuito almeno a partire dai secoli X-XI al complesso dei fasci viari che univano, con molti diverticoli e numerose varianti, Roma alle Alpi occidentali: era l’asse stradale su cui viaggiavano soprattutto (anche se non soltanto) i pellegrini che dalla Città Eterna si dirigevano verso il santuario di Santiago de Compostela, in Galizia; o che di là provenienti puntavano verso Roma, oltre la quale avrebbero magari proceduto poi a sud, verso il santuario michelita del Gargano, i porti pugliesi, Costantinopoli e Gerusalemme. Una strada che collegava i massimi luoghi di culto della Cristianità euro-mediterranea e sulla quale è davvero maturato, al di là delle etichette retoriche, l’autentico senso identitario dell’Europa cristiana. Lungo la Via Francigena e gli altri tratti di quello che in Spagna si denomina la «Via Lattea» o il Camino de Santiago sono transitati il culto dei santi e delle reliquie, le principali leggende epiche come la Chanson de Roland , la nascente idea di crociata, il nucleo della pratica dell’assistenza ai poveri e agli ammalati, le maestranze che hanno sviluppato l’arte romanica e poi gotica, i numerosi gruppi di pellegrini ch’erano sovente coloni in cerca di nuove terre da dissodare e da bonificare in quell’alba della rinascita anche demografica e urbana del nostro continente, la cultura cortese e quella delle nascenti università, le merci pregiate provenienti dall’Oriente e quelle di uso più comune che andavano ad alimentare fiere e mercati.
Il flusso dei pellegrini, che ebbe la sua «età d’oro» tra XI e XII-XIII secolo, in realtà non si è mai propriamente interrotto. Esso si è tuttavia accompagnato, col tempo, a sostanziali mutamenti che hanno finito con il sommergerlo: il progresso della rete dei rapporti viari nuovi determinati dalle esigenze del crescere e del moltiplicarsi dei centri urbani e dei traffici; lo svilupparsi delle rotte navali ritenute più veloci, sicure ed economiche di quelle terrestri; quindi il decollo delle vie ferrate, delle strade di nuovo tipo imposte dai mezzi automobilistici e delle comunicazioni aeree. Ma il fascino del pellegrinaggio è rimasto latente; e oggi, con la riscoperta del paesaggio, dell’ambiente, del territorio e delle tradizioni, esso viene riproposto con crescente forza e dà addirittura adito a nuove forme di turismo e a nuove professioni, a nuovi posti di lavoro. Non si può essere che favorevoli a tutto ciò: anche perché la riscoperta e la riappropriazione delle nostre autentiche radici culturali passa anche attraverso la consapevolezza del ruolo di quei vecchi sentieri e delle chiese, dei santuari, degli ospizi, dei ponti che caratterizzavano il millenario «asse attrezzato» delle antiche vie di pellegrinaggio. Tutto ciò implica riscoperta, restauro, mantenimento, impulso al rilancio e alla riutilizzazione, prospettive di sviluppo economico e culturale d’un immenso e prezioso patrimonio. È naturale che gli enti locali siano attentissimi a tutto ciò.
Ma bisogna farlo bene. in piena consapevolezza storicamente fondata e nel rispetto del passato. Le fonti che c’informano della Via Francigena sono ad esempio numerose: e tra esse hanno speciale rilievo alcuni veri e propri «diari di viaggio» scritti da pellegrini che molte centinaia di anni fa volgevano i loro passi verso Roma o Gerusalemme oppure da quelle mète tornavano in patria. naturalmente, molti tratti viari nella nostra penisola recano l’appellativo tradizionale di «via francesca» o «romea». Ma quella che provenendo attraverso vari itinerari dalla Galizia e dai Pirenei attraverso la Francia dal Moncenisio e dal Gran San Bernardo , attraverso convergenti tracciati, confluiva su Piacenza dov’era agevole appare il Po e procedeva quindi attraverso il passo della Cisa e la Toscana (Lucca, Valdelsa, Genova, Acquapendente) fino a Roma, era la «via regia» percorsa dai Francigenae, da chi fosse originario delle terra dei franchi o ne venisse.vFrancigena, quindi: e non Angligena. Il che va detto, dal momento che alcuni anni or sono un fortunato itinerario percorso in bici da alcuni simpatici inglesi, e confortato da un documentario della BBC, rese popolare l’itinerario seguito nel 990 dal buon Sigerico, vescovo di Canterbury, il quale ci ha lasciato una bella memoria scritta del suo viaggio a Roma. È ovvio che, provenendo dalla sua sede episcopale, egli passò la Manica a Calais e proseguì tagliando per la Francia fino a collegarsi in effetti con la nostra Francigena. A partire dalla fine del XII secolo il culto di san Tommaso Becket, vescovo appunto di Canterbury e martire, innestò ancora sulla Francigena un culto santorale collegato con la città britannica. Che, tuttavia, non è assolutamente considerabile come il suo «capolinea»: tale funzione è tenuta soltanto da Santiago de Compostela. Se non si capisce tutto ciò, si equivoca gravemente sulle radici stesse dell’Europa.
Ma purtroppo, finora, ha prevalso la potenza massmediale della BBC e di alcuni gruppi di semicolti furbastri, «specialisti» per autoreferenza del pellegrinaggio medievale e delle sue strade. Essi hanno saputo imporsi anni fa all’attenzione dei comuni interessati alla Francigena e abusando del nome stesso del povero vescovo Sigerico hanno diffuso capillarmente la notizia errata, e divenuta dogma, che la Francigena cominci da Canterbury e da Calais. Il che non ha alcun senso. Ma è stato accolto e diffuso in migliaia di pubblicazioni semiscientifiche e di cartine distribuite ai turisti. E ha dato luogo a un’autentica fioritura di opuscoli su come e dove si viaggiava, si dormiva, si mangiava su questa fraintesa Francigena «da Canterbury a Roma».
Mentre si sta cercando disperatamente di costruire un minimo di tessuto identitario europeo ed esiste altresì una «Associazione dei Comuni italiani sulla Via Francigena», ricostruire correttamente la storia di questo nostro patrimonio è divenuto fondamentale. Onoriamo la preziosa testimonianza del nostro buon Sigerico. Ma facciamola finita con l’attribuire a lui e alla sua Canterbury un ruolo che spetta a ben altri centri di pellegrinaggio, con una ben diversa prospettiva per l’Europa e il Mediterraneo. Stiamo parlando dell’asse viario che da oltre un millennio congiunge il nord-ovest europeo della Galizia , attraverso la nostra Toscana e Roma, al sud-est mediterraneo della Terrasanta. Non barattiamo la nostra primogenitura con un piatto di lenticchie cucinate in Inghilterra: tantopiù che gli inglesi, popolo di molte virtù, cucinano male. Non scherziamo con la storia.
Marco Lapi