Cultura & Società
San Giacomo di Compostela e il mito della Via Lattea
di Carlo Lapucci
San Giacomo Apostolo, è detto il Maggiore per distinguerlo dall’altro dello stesso nome, figlio d’Alfeo e forse cugino di Cristo. Questi fu il primo vescovo di Gerusalemme ed è indicato come autore del Protovangelo di Giacomo, ma ha minore rilievo nella narrazione evangelica, a differenza del patrono della Spagna, la cui festa si celebra il 25 luglio, giorno della traslazione del suo corpo da Gerusalemme in Galizia.
Giacomo o Iacopo, è fratello maggiore di Giovanni, e i due sono figli di Zebedeo e di Salomè che li incoraggiò a seguire Cristo. Anzi la madre fu tanto orgogliosa che chiese al Maestro che nel Regno dei Cieli i suoi figli fossero posti uno alla destra e l’altro alla sinistra del Signore. I due fratelli stavano rassettando le reti sulla barca del padre sul Lago di Genezareth quando Gesù li chiamò «ed essi lasciando la barca e il loro padre lo seguirono». L’Apostolo fece parte del gruppo di coloro che furono più vicini al Maestro e fu con Pietro e Giovanni presente all’agonia di Gesù nell’orto e alla sua Trasfigurazione.
È assai venerato nel mondo cristiano; in Italia un tempo era molto popolare come patrono dei pellegrini. Viene raffigurato comunemente con il bastone del pellegrino (bordone) e un grande cappello in capo. Talvolta nelle immagini compare anche la fiasca o il bariletto per l’acqua, così per gli oggetti che accompagnano la sua figura è divenuto patrono dei cappellai e dei barilai. Moltissime sono le chiese dedicate a Giacomo o Iacopo, molti anche i paesi e le città che portano il suo nome.
Questa magra figura la leggenda gliela fa fare non per caso: colui che divenne il protettore della Spagna ne doveva essere anche il primo predicatore, per cui gli si fece fare questo viaggio e i deludenti risultati servirono per farlo tornare in Palestina dove cominciò la lotta con il Mago Ermogene, che ricalca più o meno la storia di San Pietro e Simon Mago. Per istigazione dei farisei Ermogene gli mandò il suo seguace Fileto per confutare le sue dottrine, ma il giovane tornò convertito al Cristianesimo. Allora Ermogene lo incatenò sfidando l’avversario a liberarlo, cosa che l’Apostolo fece immediatamente.
Il mago allora ordinò ai suoi demoni di portargli Giacomo e Fileto in catene: tutto inutile perché furono i demoni ad essere avvinti in catene di fuoco. Dopo altri scontri Ermogene si convertì e gettò nel mare tutti i suoi libri di magia. La cosa però non piacque ai farisei e il gran sacerdote Abiathar fece arrestare l’Apostolo che fu condotto davanti a Erode Agrippa e condannato alla decapitazione. Prima della morte però furono molti quelli che egli convertì, tra i quali lo scriba Iosia che lo trascinava al patibolo tirandolo con una fune. Iosia venne battezzato e quindi furono ambedue decapitati nel giorno 21 di marzo, (secondo altri il 30 aprile), ma la Chiesa festeggia Giacomo il giorno della traslazione del corpo in Galizia come avvenuto il 25 luglio.
Per sottrarre il corpo allo scempio dei carnefici i discepoli lo sottrassero trasportandolo su una navicella e vi si imbarcarono sciogliendo le vele ai venti e lasciando che andasse senza nocchiero dove volesse la volontà di Dio e così giunsero sulle coste spagnole. Vi regnava una regina di nome Lupa che si oppose quanto poté all’insediamento del santo corpo sulla sua terra, finché si fece cristiana e onorò le spoglie.
Qui la Leggenda aurea fa seguire un certo numero di miracoli che servono ad accreditare la fama di Giacomo come taumaturgo e incoraggiare il pellegrinaggio a Santiago. Il ciclo leggendario più interessante riprende e continua dopo molti secoli.
Come tale la sua immagine è quella di un uomo maturo, severo, con la barba rada, i capelli divisi in cima alla testa e ricadenti in due spioventi simili a quelli che comunemente si attribuiscono a Cristo. Come attributo porta la spada che fu lo strumento del suo martirio a Gerusalemme. Può anche avere il bastone.
Dal XIII secolo in poi San Giacomo ebbe anche la caratterizzazione del pellegrino per le connessioni con il suo sepolcro e la Via Lattea, per cui ha diversi attributi specifici primo tra i quali il cappello a larghe falde, parapioggia del tempo antico, tipico del viandante. L’altro era il bastone, strumento necessario per chi camminava un tempo per appoggiarsi, ma soprattutto per difendersi da animali e da malintenzionati. La bisaccia viene raffigurata a tracolla ovvero appesa al bastone: non è grande perché deve contenere solo lo stretto necessario a un viaggio devozionale di penitenza e meditazione. Il simbolo più noto che appartiene a San Giacomo come pellegrino è quello della conchiglia che porta come attributo ed è posta sul mantello, o sul cappello oppure sulla bisaccia. È quindi il simbolo dei pellegrini che si recano al Santuario di Compostella (nella foto, pellegrini verso Santiago).. La Veronica era invece il simbolo dei pellegrini che si recavano a Roma, detti Romei: portavano l’immagine del volto di Cristo sopra l’abito, secondo la forma che si vuole sia stata impressa sul velo offerto dalla Veronica per detergere il sangue e il sudore di Cristo sulla via del Calvario. La palma invece distingueva i pellegrini che andavano a Gerusalemme ed erano detti palmieri.
Il terzo aspetto di San Giacomo meno conosciuto da noi è quello del cavaliere, mentre nella Penisola Iberica è il più noto e il più importante, al punto che gli è stato dato l’epiteto di Matamoros, uccisore dei mori. Forse questa qualità si collega al nome di figli del tuono dato da Cristo a Giacomo e Giovanni (Marco III, 17).
In realtà fu la figura che polarizzò le forze degli spagnoli per la liberazione della loro patria dai mori invasori. La base di questo tema è la battaglia di Clavijo combattuta da Ramirez I delle A-sturie contro i saraceni verso l’anno 844, liberando Calahorra, ponendo fine al tributo di 100 vergini da consegnare agli Emiri. Le sorti per i cristiani stavano volgendo al peggio quando nella notte San Giacomo apparve al re incoraggiandolo a combattere e promettendogli la vittoria. L’indomani il santo apparve sul campo di battaglia con le armi di cavaliere sopra un cavallo bianco e, postosi a capo delle schiere cristiane, le portò alla vittoria e da allora il grido di guerra dei combattenti spagnoli per la Reconquista della loro libertà fu Santiago!
Allo stesso modo Ferdinando I re di Castiglia e di Leon combatté i saraceni con l’aiuto del celeste cavaliere conquistando Coimbra nel 1065 entrandovi trionfalmente proprio il 25 luglio.
La ragione per la quale i pellegrini erano distolti da visitare la tomba di San Giacomo era dovuta alla presenza dei musulmani che nell’VIII secolo avevano occupato parte della Spagna per cui recarsi in quelle terre comportava il rischio della vita. Questo aspetto, fondamentale per la diffusione del culto del Santo, complica sia l’interpretazione della figura data dalla tradizione, sia la natura reale del carisma dell’Apostolo che a questa connotazione fondamentale vede sovrapporsi quella di martire e poi di evangelizzatore d’una terra, di campione militare, Miles Christi, di taumaturgo, pellegrino e patrono di pellegrini alla ricerca di penitenza, di espiazione e di salute eterna.
Il motivo politico si affaccia con la necessità di cancellare l’onta degli spagnoli di aver subito per secoli la dominazione saracena, per cui l’Historia Turpini comincia ad attribuire a Carlo Magno la riconquista di gran parte della Spagna, la liberazione del sepolcro del Santo e la sicurezza delle strade che conducevano a Compostella: la via di Santiago. Turpino, che alcuni identificano con l’ar-civescovo Turpino di Reims del seguito di Carlo Magno, è uno scrittore non ben identificato autore del Libro della spedizione [carolingia]e della conversione di Spagna e Galizia. L’importanza di Carlo Magno in tale impresa si enfatizzò quando se ne promosse la canonizzazione.
Il sepolcro dell’Apostolo restava da secoli sconosciuto e abbandonato quando Giacomo, apparendo a Carlo gli dà precise indicazioni per ritrovarlo in Galizia, lo conforta a liberarlo dagl’infedeli rendendo sicure le strade che vi conducono in modo che tutte le genti confluiscano da ogni parte del mondo e vi trovino perdono e salvezza. L’imperatore pone mano alla spedizione, la porta a compimento e fonda la Cattedrale di Santiago.
Tema fondamentale di questo mito cristiano è il sogno di Carlo Magno che, come quello di Ramirez I delle Asturie richiama il sogno di Costantino. Nella notte Giacomo appare all’Imperatore e gli addita la Via Lattea: un cammino fatto di stelle che il cielo: quello è il suo compito, cioè ristabilire il rapporto interrotto da Oriente a Occidente, unificare il mondo cristiano restaurando sulla terra quella strada che è tracciata nel cielo: «Dopo di te, dice l’Apostolo, tutti i popoli peregrinando da mare a mare andranno là a chiedere perdono a Dio delle colpe, canteranno le sue lodi e ammireranno le virtù e i miracoli e ciò sarà dai giorni del tuo regno fino alla fine del mondo».
Un programma cosmico che coinvolge la vita, lo spazio terrestre, il cielo, il tempo e la sua fine. Tale forza e altezza di concezione non fa meravigliare del fatto che da questo testo sia stata tolta la materia per comporre la Chanson de Roland, il poema nazionale francese.
È detta anche Ponte delle Anime secondo la credenza che sia il grande ponte tra il cielo e la terra che congiunge quello a questa. Sarebbe il punto più difficile che devono passare le anime per salire al Cielo. Qualcosa di simile si dice in certi luoghi anche dell’arcobaleno, mentre opportunamente si distingue: la Galassia sarebbe il ponte di coloro che devono espiare i peccati della vita, mentre l’arcobaleno sarebbe il ponte agevole, luminoso e felice per i bambini morti prematuramente.
Realmente è la sintesi della vita umana tradotta in un’immagine fantastica in modo che ogni pellegrino della terra guardando il cielo ricordi che lo aspetta a occidente dei sui giorni la tomba ma, insieme a quella, San Giacomo amorevole psicopompo, conoscitore del cammino, capace di assisterlo e condurlo, mediante il sacrificio e la contrizione, alla felicità eterna. Come il Cammino di Santiago termina ad una tomba, l’Iter Stellarum, il cammino delle stelle, è la via che conduce gli uomini all’Aldilà, termina ai confini dell’altro mondo e costituisce l’ultima prova che l’uomo, pellegrino della vita deve compiere prima che il suo compito sia terminato. Tanto era viva questa metafora del pellegrinaggio come bilancio dell’esistenza che i pellegrini, visitata Compostella, non mancavano di raggiungere sul mare la vicina Finis Terrae per avere la visione dell’estremo limite dell’Europa, l’orlo del mondo conosciuto.
La tradizione ha fiorito questo mito di semplici leggende come quella dell’Erba di San Giacomo: erba comune, detta anche matricale selvatico o senecio (Senecio Jacobaea). Si vuole che San Giacomo, patrono dei pellegrini, l’abbia lasciata lungo i bordi di ogni strada dove è passato perché servisse di medicina ai viandanti. Infatti medica le ferite ed è, sotto forma d’impiastro, benefico per l’angina, le fistole e i dolori.
Sono gli uomini che chiamano i santi a occuparsi delle cose terrene, a risolvere i loro problemi non sempre limpidi, ne ottengono l’aiuto e poi si lamentano del mercato che si svolge spesso intorno ai santuari. Di San Giacomo, sotto le incrostazioni storiche lasciate dalle indebite utilizzazioni, peraltro indotte dalle pene e dalle necessità di condizioni umane di servitù, oppressione e miseria, rimane la figura cristallina del Vangelo, dell’uomo generoso che segue generosamente la Verità senza dubbi subito al suo primo incontro; quella della leggenda ha la luce del Paradiso insieme alle ombre che vi hanno confuso gli uomini nel chiamarlo in soccorso: meno adamantina, forse più umana.
Verso il 1350, mentre la città era tormentata da dissidi il Vescovo Atto ottenne dal Vescovo di Compostella Diego Gelmirez un frammento di reliquia dell’Apostolo che fu sistemato degnamente nella Cattedrale su un altare di marmo di Nicola Pisano per impetrare la pace. L’altare fu poi sostituito da un altro d’argento, celebratissima opera d’arte. La città si trova sulla via percorsa dai pellegrini a Santiago e proclamò Giacomo suo protettore, onorandone a lungo la festa con una corsa di cavalli berberi. Oggi si organizza un altro spettacolo popolare detto La giostra dell’Orso.
Il giorno della festa (25 luglio) la sua statua che sta sulla facciata del Duomo viene ornata con un mantello rosso. Una leggenda, che ha diverse varianti, spiega come sarebbe nata l’usanza.