Cultura & Società
Dio oggi, filosofi e teologi a convegno
Riflettendo sulla attuale tendenza a forme di religiosità anche paranormali o dell’occulto, il card. Bagnasco ha poi aggiunto: Le modalità sono in parte nuove, ma, a ben guardare, é tentazione di sempre: come Israele nel deserto, di fronte alle difficoltà e alla precaria incertezza, si ricorre a proposte apparentemente rassicuranti, si danza attorno a un vitello d’oro (cfr. Esodo 32). Anche l’uomo d’ oggi, l’uomo tecnologico, nonostante l’annuncio weberiano dell’era del disincanto, continua a cadere vittima dell’ idolatria: non soltanto nelle forme – mascherate, ma ben note – del denaro e del potere; anche ha poi sottolineato – in nuove forme di religiosità, insieme esotica e modernistica, nel cui crogiolo trovano risonanza e momentaneo appagamento le aspirazioni di superficie del nostro tempo. Secondo Bagnasco, quindi, la rilevanza insuperabile della questione di Dio viene positivamente riconosciuta quando l’uomo, superata la presunzione della ragione prometeica e l’abdicazione del pensiero debole si fa di nuovo con umile fierezza – cercatore di verità. Ha poi sottolineato che anche il cristiano che, illuminato dallo Spirito, testimonia la verità che ha ricevuto, se ne fa, nondimeno, ricercatore appassionato. Sa che essa è dono, non conquista; e che, tuttavia, solo cercandola si può riconoscerla.
Non esiste, a questo riguardo (dell’essere credenti o meno, ndr), nemmeno uno spazio di neutralità che possa consistere nel rifugiarsi in una posizione agnostica ha proseguito Ruini nella relazione di apertura: l’agnosticismo è infatti teoreticamente argomentabile ma assai meno concretamente vivibile. Nella pratica siamo costretti a scegliere tra due alternative, già individuate da Pascal: o vivere come se Dio non esistesse, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della nostra esistenza. Se agiamo secondo la prima alternativa ha notato il cardinale – adottiamo di fatto una posizione atea e non soltanto agnostica; se ci decidiamo invece per la seconda alternativa adottiamo una posizione credente: la questione di Dio è dunque ineludibile. Quindi ha aggiunto: L’impossibilità di un approccio neutrale e puramente scientifico’, se da una parte può essere avvertita come un limite, dall’altra ha un risvolto fortemente positivo, che consiste proprio nel totale coinvolgimento di noi stessi, della nostra esperienza di vita, della libertà e degli affetti, come dell’intelligenza e delle sue capacità critiche. Vale specialmente a questo riguardo la parola di S. Agostino: si conosce veramente solo ciò che si ama veramente’. Riguardo a Dio non è dunque il caso di chiudersi in alcuna ristrettezza razionalistica.
Tra gli argomenti che differenziano il credente dal non credente, Ruini ha posto anche il fenomeno religioso ebraico e cristiano. Ha infatti affermato: Già la nascita del monoteismo ebraico appare un segno forte della presenza di Dio, sebbene la fase di transizione che attraversano attualmente gli studi dell’Antico Testamento renda questo segno non facile, oggi, da inquadrare ed apprezzare criticamente. Più chiaro è il segno costituito dalla vita e in particolare dalla risurrezione di Gesù Cristo. Questi eventi ha aggiunto il cardinale – pongono quasi inesorabilmente alla ragione umana la questione di Dio e del suo intervento nella storia. Se infatti Cristo è soltanto un uomo, e soprattutto non è risorto, siamo costretti, alla fine, a ridurre a mito la sua vicenda storica o a ricorrere ad altre ipotesi storicamente assai improbabili. Anche nella successiva storia del cristianesimo non mancano i dati che rimandano, almeno in qualche modo, all’interrogativo su Dio: così non soltanto i miracoli e gli altri segni di un intervento speciale di Dio, ma anche le esperienze di Dio che hanno avuto i grandi mistici e in genere molti santi.
Le parti più dense della relazione del card. Ruini hanno riguardato le difficoltà moderne nel cammino razionale verso Dio. Il relatore ha infatti preso in considerazione i più importanti pensatori che si sono occupati del tema Dio, da S. Agostino a Kant, dai maestri del sospetto (Feuerbach, Marx, Nietzsche, Freud), fino a filosofi e pensatori più recenti, quali Heidegger, Spaemann, e lo stesso Ratzinger. Dopo aver notato la strana penombra che grava sulla questione delle realtà eterne nella cultura contemporanea, Ruini ha concluso affermando che da una parte è ben difficile fondare un vero e irriducibile emergere dell’uomo rispetto al resto della natura se la natura stessa è il tutto della realtà, e dall’altra è ugualmente difficile lasciare razionalmente aperta la via al Dio personale, intelligente e libero in modo vero anche se per noi ineffabile se non si riconosce al soggetto umano questa sua irriducibile specificità. Rendere testimonianza al vero Dio e al tempo stesso alla verità dell’uomo questo il pensiero conclusivo di Ruini – è però il compito forse più esaltante che ci sia dato di adempiere.
O Dio c’è afferma Spaemann – oppure l’autocomprensione dell’uomo in quanto essere di ragione, vale a dire in quanto persona, è una illusione. La visione scientifica del mondo considera il mondo e dunque anche se stessa come priva di un fondamento. La fede in Dio è la fede in un fondamento del mondo. Perciò colui che crede in Dio crede in una fondamentale razionalità della realtà, crede che il bene sia più fondamentale del male e che la potenza assoluta e il bene assoluto abbiano lo stesso riferimento:la santità di Dio. È importante avverte il filosofo – sottolineare questo oggi, dove addirittura i sacerdoti parlano soltanto di Dio buono. Il discorso su Dio che è amore, smarrisce il suo punto sconvolgente, se passa sotto silenzio che Egli è la Potenza che guida la nostra esistenza e il mondo. Soltanto tale Potenza, infatti, può salvarci dalla morte. Sono proprio ragione e coscienza (quest’ultima intesa come la voce della ragione pratica) a farci conoscere l’unità di questi due assoluti, onnipotenza e amore. La facoltà che ci consente di ricercare Dio afferma ancora Spaemann – è la ragione, ossia la capacità con la quale l’uomo oltrepassa se stesso e può porsi in relazione con una realtà che lo trascende. Credere che Dio esista, significa che Egli non è una nostra idea, ma che noi siamo una sua idea. Significa dunque rovesciamento’ della prospettiva.
La traccia di Dio nel mondo spiega ancora Spaemann a chi cercasse segni della Sua presenza, è l’uomo, siamo noi stessi. Tuttavia quando noi, vittime dello scientismo, non crediamo più in noi stessi, chi e che cosa siamo, quando ci lasciamo persuadere di essere soltanto macchine per la diffusione dei nostri geni e consideriamo la nostra ragione soltanto come prodotto di un adattamento evolutivo, che non ha nulla a che fare con la verità, allora non possiamo attendere che qualcosa ci possa convincere dell’esistenza di Dio. Anche se Dio esiste del tutto indipendentemente dal fatto che noi lo riconosciamo. Sul concetto di somiglianza con Dio, il filosofo chiarisce: essa significa capacità di verità. La personalità dell’uomo sta e coincide con la sua capacità di verità. Verità che presuppone Dio. Il fatto che l’uomo sia completamente natura, un essere naturale uscito fuori dalla vita subumana, può non essere letale per l’autocomprensione dell’uomo conclude Spaemann -, solo a condizione che la natura, per parte sua, sia stata creata da Dio e la creazione dell’uomo corrisponda ad una intenzione divina.
Ritengo – ha affermato Enrico Berti – che la vita umana sia talmente importante che la sua difesa non può essere fatta dipendere da un’adesione a una fede religiosa che non è da tutti condivisa: condivisa da tutti è la ragione. Ed ha aggiunto: Non condivido la contrapposizione fra bioetica laica e bioetica cattolica, nell’etica pubblica occorre trovare una base comune perché così si dispone di una base normativa. Incontro sì, ha aggiunto Giuliano Ferrara, ma non si deve sottovalutare che siamo diventati moralmente sordi alla tutela della vita umana. Ci sono fatti – ha commentato così il card. Carlo Caffarra dopo aver citato diverse situazioni di sofferenza – che aiutano a farci capire come nel cuore della persona umana abiti il bisogno inestinguibile di un senso che non può essere distrutto da niente e da nessuno, un bisogno così forte che non può essere neppure distrutto da una donna che maledice la sua maternità. In secondo luogo, ha aggiunto, non si può dimenticare che alberga nel cuore dell’uomo il bisogno di una beatitudine che sia eterna. Sia nell’ateo sia nel credente c’è il desiderio di vivere una vita buona e di vivere bene. Riferendosi al tema del convegno, il cardinale ha così concluso: Dobbiamo sempre evitare la confusione fra il nostro modo di conoscere e come sta la realtà. Dio non esiste perché l’uomo cerca un senso ma l’uomo cerca un senso perché Dio esiste.
Il frutto duraturo del processo di secolarizzazione sottolinea il card. Scola – è la differenziazione tra sfera religiosa e sfera secolare, mentre le tesi della secolarizzazione come inevitabile declino religioso e come irreversibile privatizzazione della religione non sono più attuali. Anzi le religioni di tutto il mondo stanno facendo il loro ingresso nella sfera pubblica e partecipano alle lotte per la ridefinizione dei confini moderni tra sfera pubblica e privata. Tuttavia, osserva il relatore, è innegabile che questo ritorno del sacro possiede un carattere problematico e non privo di vistosi equivoci, che hanno dato luogo a molte valutazioni contrastanti. È sicuramente vero che il tramonto degli assoluti terrestri potrebbe riaprire lo spazio per altri assoluti di carattere trascendente, ma nulla assicura che questi spazi oggi divenuti liberi vengano di fatto occupati da una religiosità in qualche misura davvero teologica, e non piuttosto lasciati vuoti da un disincanto universale circa la possibilità in sé di un assoluto. In tale orizzonte, due gli estremismi opposti e connessi: il rischio di una estrema soggettivizzazione dell’esperienza religiosa e il carattere fondamentalista di talune correnti religiose, soprattutto quelle legate all’Islam, e alla sua presenza massiccia in Europa.
Di qui l’interrogativo posto dal card. Scola: L’annuncio cristiano va effettuato diminuendo il peso della sua oggettività, cioè della sua densità ontologica, oppure è proprio tale riduzione una delle ragioni (o comunque un grave segnale) dell’attuale perdita di rilevanza, anche soggettiva, della fede cristiana?. Secondo il patriarca qui si pone la questione se il problema della trasmissione del cristianesimo non stia, soprattutto oggi, nell’assumere il linguaggio evangelico nella sua essenzialità’, piuttosto che nella ricerca, forse ossessiva, circa il modo di tradurlo nella complessità attuale. Richiamando l’insegnamento di Benedetto XVI, il card. Scola chiarisce che la domanda di Dio incontra adeguata ospitalità nell’orizzonte del Logos-Amore in cui la ragione, la fede e la vera religione trovano il loro nesso profondo e fecondo. La questione del binomio eclissi/ritorno di Dio chiede allora come comunicare questo Dio vivo all’uomo reale. L’unica possibilità, secondo Scola, è la persona di Cristo: in Gesù, morto e risorto, Dio ci viene incontro. Per dire Dio occorre, quindi, approfondire la grammatica di questa lingua della creatura assunta dal Verbo incarnato. Una perenne grammatica dell’umano che attesta anzitutto l’integralità e l’elementarità dell’esperienza umana. Unità, misericordia e perdono devono risuonare all’interno di questo linguaggio.
L’uomo prosegue il card. Scola -, oggi come sempre, non può che percorrere, a sua volta, la strada del Testimone degno di fede. Se Cristo è venuto per rendere testimonianza alla verità, all’uomo tocca dar testimonianza a Lui e di Lui. Più di ogni altra forma di espressione, la testimonianza brilla in tutta la sua integrità come metodo di conoscenza pratica e di comunicazione della verità, ma solo la testimonianza degna di fede com-muove la libertà dell’altro e lo invita efficacemente alla decisione. Di qui l’invito del patriarca ad andare alla scuola dei martiri: La narrazione che Dio fa di Sé e quella che permette a noi di fare su di Lui e a Suo nome trova nel martirio cristiano la sua piena manifestazione. Il martirio, grazia che Dio concede agli inermi e che nessuno può pretendere, è un gesto insuperabile di unità e di misericordia. Il martirio è la sconfitta di ogni eclissi di Dio, è il Suo ritorno in pienezza attraverso l’offerta della vita da parte dei Suoi figli. Una consegna di sé conclude il card. Scola – che vince il male, perfino quello ingiustificabile perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide.
Per Scruton, infatti, non vi è dubbio che in un mondo di abbondanza materiale, in cui la gente è vaccinata contro le difficoltà, la religione declina. Nella ricchezza sorge l’illusione di essere padroni del proprio fato e quindi di non avere più bisogno di un Dio che provvede per noi. S’inizia a perdere ogni senso della presenza divina, ogni senso del fatto che il mondo abbonda di momenti sacri, di luoghi sacri e di cose sacre. E così nasce in noi uno strano spirito di vendetta. Voltando le spalle alla bellezza, le persone smettono di percepire il mondo come casa, come luogo adatto alle nostre esistenze di esseri fatti così come noi siamo fatti e di credere nell’amore perdendo di vista il fatto che la ricerca della bellezza continua la ricerca dell’amore. La dissacrazione è una sorta di difesa dal sacro, un tentativo di distruggerne le pretese. Davanti alle cose sacre le nostre vite vengono giudicate; e per sfuggire a quel giudizio, noi distruggiamo la cosa che sembra accusarci. E siccome la bellezza ci ricorda del sacro e anzi di una forma speciale di esso , anche la bellezza deve venire dissacrata. Diversi gli esempi di dissacrazione del mondo attuale, tra questi il filosofo ha citato la pornografia sessuale e quella di violenza, in cui l’essere umano è ridotto a grumo di carne sofferente, reso miserabile, impotente e disgustoso.
Per costruire una risposta piena all’abitudine della dissacrazione ha spiegato Scruton – vi è bisogno di ri-unire l’intrapresa dell’arte alle finalità della bellezza e della creatività. Nel creare bellezza aveva detto all’inizio del suo intervento lo scrittore – l’artista rende gloria alla creazione di Dio. E la bellezza redime ciò che tocca, mostrando come i dolori e le traversie della vita umana siano, tutto sommato, non indegni. Nell’arte, la bellezza deve essere conquistata e l’impresa si presenta sempre più difficile in un tempo in cui il penetrante rumore della dissacrazione amplificato ora da Internet affoga le voci quiete che mormorano nel cuore delle cose. Una risposta è cercare la bellezza nelle sue forme altre e più quotidiane: la bellezza delle strade ordinate e dei visi gioiosi, delle forme naturali e dei paesaggi cordiali. Sporcare anche queste cose è possibile, ha avvertito, ed è il marchio di un artista di secondo piano. Ma è anche possibile ritornare alle cose ordinarie per mostrare quanto ci sentiamo a casa nostra con esse, e quanto esse magnifichino e giustifichino la nostra vita. È questa la via positiva della bellezza. Non vi è ancora ragione per pensare di doverlo abbandonare. Perché, allora, così tanti artisti si rifiutano oggi di camminare lungo quel sentiero? Forse perché sanno che esso conduce a Dio.