Cultura & Società

«Testimoni digitali»: tra oceani di parole, la Parola diversa

di Mauro Banchini

Comincio con il direttore de «La Stampa». In un convegno dedicato alla comunicazione («Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale»), è stato Mario Calabresi a regalare una sintesi che poi è stata la cifra della tre giorni voluta dai vescovi italiani. Davanti all’enorme potere della «crossmedialità» (parolaccia che rimanda a un concetto semplice: la convergenza digitale, sul web, dei diversi media tradizionali) non si può fare a meno di essere «coinvolti» ma bisogna stare molto attenti a non essere «rapiti».

E un’altra cosa ha comunicato Calabresi invitando tutti (cittadini e giornalisti) a una sana diffidenza per le superficialità e le manipolazioni facilmente riscontrabili con un uso ingenuo di internet: secondo una ricerca Usa il 95% dell’intera informazione reperibile in rete arriva dalla carta stampata. Attenzione, dunque, a pensare di poter fare a meno non solo dei professionisti dell’informazione ma anche delle loro regole etiche.

Un altro input forte lo ha fornito, all’udienza pubblica, un papa timido che si trova a governare la Chiesa in una bufera nella quale ha un potente ruolo, su scala mondiale, proprio quella crossmedialità su cui hanno riflettuto a Roma, la scorsa settimana, un migliaio di operatori ecclesiali e oltre ottomila persone arrivate in Aula Paolo VI per ascoltare il Papa tedesco. Brevissimo l’intervento di Ratzinger, ma destinate a essere citate spesso undici sue parole: «Il mondo della comunicazione entri a pieno titolo nella programmazione pastorale».

Questo significa che la comunità ecclesiale non deve avere paura dei media ma deve sempre più imparare a usarli cercando di evitare di esserne usata e comprendendo, a tutti i suoi livelli, che il continente digitale è una «enorme potenzialità di connessione, comunicazione e comprensione».

Impossibile dare atto di tutta la tre giorni. Gli interessati possono recuperare su www.testimonidigitali.it ma è forse utile riferire alcune pillole di diario restate nel taccuino.

Il bidone. Tutti lo aspettavamo in gloria. Nicholas Negroponte conosce segreti e sentieri, passato e presente, vantaggi e pericoli della medialità. Da lui ci aspettavamo molto, comprese dritte su dove può andare, nel futuro, la baracca. Ma lui non si è presentato. Quando ne hanno scusato l’assenza causa malattia contratta ad Haiti, in molti ci siamo lasciati scappare un «ohhh» di delusione che si è certo sentito anche in quell’ospedale di Miami dove il «guru» era ricoverato.

I portatili. Moltissimi, in aula, ascoltavano le relazioni avendo sulle ginocchia non il tradizionale blocchetto per gli appunti ma aggeggi tecnologici sempre più potenti. Ero fra i pochi a prendere appunti sul taccuino. Qualcuno dovrà però spiegarmi come sia possibile stare attenti ai relatori e, insieme, leggere le ultime notizie, controllare la posta, aggiornare il blog, rispondere su Facebook, giocare e prendere appunti. Tutte cose che – giuro – ho visto fare a un ragazzo seduto accanto a me. Ho poi scoperto che era un prete.

I coraggiosi. Sono stati due (peraltro ottimi) docenti universitari scaraventati sul palco per tentare di sostituire il «buco» creato dall’assenza di Negroponte. Ci hanno raccontato sulle nuove forme di presenza della Chiesa davanti ai nuovi scenari. Onore a loro: Francesco Casetti e Michele Sorice.

La carta. Qualcuno dovrebbe fare un conto su quanti alberi sono stati salvati dalla mancata consegna, ai convegnisti, dei testi scritti. Fino a pochi anni fa, era un classico: terminata una relazione, questa veniva distribuita in cartaceo e se il convegno era ampio, la valigia del convegnista raddoppiava di peso. Adesso tutto è on line e uno, se crede, si scarica solo la relazione che vuole o il pezzo che più gli serve. La valigia del ritorno pesa come quella dell’andata.

La valigetta. È quella raccontata dallo scrittore turco Orhan Pamuk. Era piena di appunti e di scritti. Suo padre gliela affidò con l’impegno di aprirla solo dopo la sua morte per verificare se ci fosse qualcosa degno di essere pubblicato. La citazione è servita a Mariano Crociata, segretario Cei, per fare un raffronto con le valigette di oggi, gli iPod.

La cappella. Noi toscani, pacatamente ma perfidamente,  siamo andati «in discesa» con tutti gli altri davanti al toscano Antonio Paolucci che ci ha narrato, dal par suo, la Cappella Sistina. La prima giornata si è infatti chiusa con una visita riservata, notturna, a uno dei luoghi più visitati al mondo (quattro milioni e mezzo all’anno) ed è stato il direttore dei musei vaticani a guidarci nel «luogo identitario della Chiesa cattolica che è un grande sistema di comunicazione». A proposito di comunicazione: nel Giudizio Universale, i due libri in mano agli angeli hanno dimensioni diverse; quello che riguarda i peccati è più grande rispetto a quello che rimanda alle opere di bene. Ovvio il commento del toscano Paolucci che ha anche citato il famoso detto del toscano Vasari a quel Papa turbato dai troppi nudi michelangioleschi: «i nudi, Santità, si accomodano facilmente, pensi lei ad accomodare la Chiesa». Ecco come stare sulla notizia …

Il nome. In molti lo abbiamo notato: durante il convegno nessuno ha citato quel Dino Boffo che fino all’estate scorsa era il «principale» nei media cattolici italiani. Poi è successo ciò che tutti ricordiamo: Boffo è stato «ucciso» e sono chiari sia il nome dell’assassino che quello del mandante. Ci si aspettava un po’ meno di prudenza nel citare una storia scomoda e invece ha prevalso proprio un sentimento che talvolta sconfina nell’ipocrisia. Meno male che, in aula «Paolo VI» ci ha pensato il nuovo direttore di «Avvenire», Marco Tarquinio. Significativo il lungo applauso che ha accolto (ore 10:58 di sabato 24 aprile) le sue parole e il suo bel riconoscimento a chi, dai media, è stato «stritolato».

I trucchi. Onore al semiologo della Luiss Paolo Peverini: ha ricordato come non tutto ciò che si muove nel web sia così spontaneo come sembra. Molti contenuti, anzi, sono progettati ad arte e non mancano, anche nei social network, forme di inquinamento che andrebbero considerate. Anche per aiutare i navigatori più ingenui.

L’ottimismo. Personalmente diffido dei sociologi, quasi come dei sondaggisti. Ma la bionda Chiara Giaccardi (mi si perdoni la franchezza) ha un aspetto troppo gradevole per non starla ad ascoltare e così mi sono sciroppato la sua sintesi di una ricerca fatta dal suo gruppo alla Cattolica di Milano attorno alla cosiddetta «generazione digitale». Come, cioè, i giovani usano il web. La notizia è che dobbiamo essere un po’ più ottimisti: i giovani sono crossmediali ma sanno anche districarsi. Dolce professoressa Chiara: come vorrei che lei avesse ragione!

Le famiglie. Quattro, secondo un allievo della Giaccardi, le «famiglie» dei giovani davanti ai social netword (face book, msn, cellulari …): i riservati, gli ipersocievoli, i collezionisti e i conviviali. Se volete saperne di più andate sul sito. Ma questo ricercatore, Simone Carlo, ha sostenuto che «i ragazzi sono più intelligenti e moderati nell’utilizzo dei social network rispetto a quanto certe rappresentazioni mediatiche vogliano far pensare». La colpa, ha detto il giovane Simone, è spesso di noi adulti a cui sfugge la comprensione sia del mondo giovanile che di quello cross mediale. Anche qui: spero che la ragione stia con Simone.

Il decoder. Un gesuita decisamente esperto di media – padre Antonio Spadaro, suo il sito www.bombacarta.it – ha usato una similitudine poi ripresa da altri. È passato il tempo della bussola e del radar: oggi l’uomo è trasformato in decoder e il problema odierno è proprio quello di saper decodificare messaggi spesso non trasparenti. La parola chiave è «discernimento» e c’è un enorme bisogno di spiritualità perché solo «l’uomo spirituale» è in grado di riconoscere le domande vere.

L’olandese volante. Ha fatto fare un balzo a tutti, per la simpatia con cui si è posto e per l’efficacia comunicativa di un intervento che andrebbe rivisto. Si chiama Roderick Vonhogen ed è un giovane sacerdote di Utrecht. Venne a Roma quando stava morendo il papa polacco e affidò le sue cronache al web. Il successo fu così grande che da allora non si è più fermato: lui che, in chiesa, raggiungeva a malapena un centinaio di persone a forte rischio di… assopimento, ha messo in piedi una «stella» che raggiunge, ogni giorno, 250 mila persone in una Olanda decisamente scristianizzata. Ci ha fornito, l’olandese anche i suoi (7) «segreti».

Tiberio. È il nome di un cinema, a Rimini, che quelli della parrocchia di San Giuliano hanno salvato da sicura morte. Lo hanno potuto fare grazie al «micro cinema» con offerte a elevata qualità possibili proprio con i sistemi satellitari. Un esempio da esportare, anche in una Toscana che di queste sale di comunità potrebbe recuperarne molte.

L’imbarazzo. Decisamente non è stato un intervento riuscito, quello della signora Lorenza Lei. In Aula Paolo VI eravamo in molti, direi quasi tutti, fra gli ottomila a chiederci che senso avesse quell’intervento scritto evidentemente da altri su una materia che lei, la Lei, non padroneggia. Forte imbarazzo e molte ironie. Anche perché sto parlando del potente vicedirettore generale della Rai.

Il silenzio. Se un convegno sul rapporto Chiesa/media ignora la bufera che proprio su questo terreno è scatenata da mesi a proposito della questione pedofilia, questo – diciamolo con franchezza – è un limite di non poco conto.

Aria fresca. Meno male che, alla fine, ci ha pensato padre Federico Lombardi. Il direttore della sala stampa vaticana ha detto ciò che avrei voluto sentir dire anche dai vertici della Chiesa italiana e che loro non hanno detto. Rileggetelo, quell’intervento, con il riferimento al «tempo della verità, della trasparenza, della credibilità»; con l’appello, forte e drammatico, al «bisogna essere in grado di non avere nulla da nascondere»; con l’autocritica sulla importanza dell’opinione pubblica nella Chiesa («non ci si è riflettuto troppo»); con il monito a quei siti che seminano zizzania anche nella Chiesa. Aria davvero fresca. Aria di montagna.

Risus paschalis. L’uomo chiave del convegno, il direttore dell’Ufficio nazionale Cei per le Comunicazioni Sociali, ha usato proprio questa espressione, al termine di uno stimolante contributo con sei inviti davanti alla crossmedialità: essere leggeri, fantasiosi, allegri, autonomi, originali. E, appunto, ritrovare una qualche forma di allegria capace di «contagiare un mondo troppo serioso». Bravo, don Domenico Pompili.

Passione gioiosa. E bravo anche … il Papa. Ha esortato a non stancarci di «tenere dentro una sana passione per l’uomo» e ci ha ricordato come un consistente aiuto debba venire da una «profonda e gioiosa passione per Dio». Un invito, alla gioia, che spesso siamo i primi a dimenticare.

Il limite. Quello più evidente della tre giorni è stata l’assenza di confronto. Non poteva essere altrimenti, vista la impossibilità – in un’assise con quei numeri – di trovare i tempi per far intervenire i tanti che, certo, avrebbero voluto farlo. È stato comunque possibile interagire, dire la propria, con sms, mail e quant’altro.

E adesso? Il bello dovrebbe poter cominciare ora. Non mancano i luoghi – compreso lo spazio web di questo settimanale: www.toscanaoggi.it – per proseguire un confronto, anche operativo, attorno alle diverse frontiere attraversate con «Testimoni digitali» nei vari media: il quotidiano e i settimanali, i siti web e i social network, le emittenti radiofoniche e quelle televisive nel tempo della rivoluzione digitale con tanti canali da riempire di contenuti, le librerie e i cinema. La questione riguarda tutti: essere «testimoni digitali» non è sfida solo per addetti ai lavori.

Le scelte. I problemi aperti sono tanti e complessi. Anche in Toscana. È anche un problema di scelte pastorali e di risorse economiche. Non basta affidarsi al puro volontariato, ma bisogna puntare su professionalità vecchie e nuove: giornalistiche e non solo. Istituendo la figura degli animatori della cultura e delle comunicazioni sociali, il Direttorio Cei (documento abbastanza ignorato) ha tracciato una linea che può essere molto utile alla vigilia delle nuove scelte pastorali, della Chiesa italiana, sulla sfida educativa. Una cosa è certa: è impossibile prescindere dai «linguaggi nell’era cross mediale» se vogliamo avere «volti» capaci di abitare la contemporaneità. Una contemporaneità che, spesso smarrita tra oceani di parole, ha enorme fame di una Parola diversa. Altra e alta.

Benedetto XVI, discorso ai «Testimoni digitali»

Con la testa e con il cuore alla ricerca della verità (Umberto Folena)