Cultura & Società

Manzoni, la verità e l’inquietudine

di Pietro Baronidirettore de I Colloqui Fiorentini

E’  il nostro privilegio, o il nostro peso, se non lo vogliamo accettare come privilegio, l’esser messi tra la verità e l’inquietudine».

Il desiderio insaziabile di Manzoni di conoscere la verità, anzi di non «tradirla», fu sempre la molla che lo spinse a ricercare, a scrivere, a vivere il lungo arco della sua esistenza (1785-1873).

Il ribrezzo per la menzogna, anche quando si presentava mascherata da buone intenzioni, anche a fin di bene, lo smagava e dovette riempire di sdegno i suoi giovani anni, quando divenne ateo e rifiutò con sprezzo l’educazione cristiana e cattolica, formale e vuota, che gli era stata trasmessa in collegio ed abbracciò le nuove filosofie d’oltralpe, che promettevano la liberazione dell’uomo dalle catene della religione, lo svelarsi definitivo e luminoso della sua verità.

Era questa immagine che egli perseguiva: l’uomo nuovo, l’uomo libero, l’uomo vero, e che egli sublimò nella figura di Carlo Imbonati, compagno della madre Giulia Beccaria. Nell’ode composta in occasione della sua morte, Manzoni così lo fa parlare: «Sentir», riprese, «e meditar: di poco / esser contento: da la meta mai / non torcer gli occhi, conservar la mano / pura e la mente: de le umane cose / tanto sperimentar, quanto ti basti / per non curarle: non ti far mai servo: / non far tregua coi vili: il santo Vero / mai non tradir: né proferir mai verbo, / che plauda al vizio, o la virtù derida».

«Sentir e meditar» e conservare la mano e la mente pure e non accettare mai il compromesso, il comodo, il proprio tornaconto, ed essere sempre nobile e mai schiavo. Fu questa la grande immagine cavalcata dalle nuove filosofie illuministe che illuse il giovane Manzoni, come illuse tutta la sua generazione. Ma già allora il poeta intuiva che, per poter essere perfetto, occorreva riconoscere ed adorare il «santo Vero», e non tradirlo mai. La constatazione più interessante è il fatto che Manzoni non affermi, neanche al tempo dell’adesione all’ideologia illuminista, che il vero lo deve costruire l’uomo, come frutto della sua ragione e della sua virtù. Il «santo Vero» con «V» maiuscola, c’è, esiste. All’uomo sta non tradirlo. Non si può essere servi degli uomini, non si può far tregua con i vili, perché l’unico da non tradire è il «santo Vero».

Su queste corde nasce la vocazione letteraria di Manzoni, che trova fin da subito una precisa motivazione: dare voce alla verità e alla giustizia e a quegli uomini che dicono la verità e che amano la giustizia. Sempre nel testo In morte di Carlo Imbonati, Manzoni inizia dichiarando di aver composto l’ode per rispondere ad un’esplicita esigenza della madre: che la grandezza umana del compagno non scomparisse con la sua morte. «Sarà», dicea, «che di tal merto pera / ogni memoria? E da cotanto esemplo / nullo conforto il giusto tragga, e nulla / vergogna il tristo?». Era la notte; e questo / pensiero i sensi m’avea presi; quando / le ciglia aprendo, mi parea vederlo / dentro limpida luce a me venire…». E qui non si tratta solo di tessere le lodi di un grande uomo, ma di conservarne l’eredità morale. Non è possibile che, scomparso lui, muoia la sua testimonianza di giustizia, il suo esempio di virtù, tali da confortare il giusto e far vergognare il reo.

Passione per la giustizia, passione per la verità, passione per la virtù: passione, cioè, per la propria umanità, per ciò che fa palpitare il cuore, avrebbe detto Leopardi. Passione per la propria vita ed esistenza.

«Sentir e meditar», il titolo della decima edizione de I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum, promossa da Diesse Firenze (24-26 febbraio 2011 Palazzo dei Congressi Firenze), è la strada per prendersi cura della propria umanità, del proprio cuore che arde di passione per la verità. «Sentir e meditar», cioè vivere intensamente il reale, viverlo con tutta l’ampiezza del proprio cuore, interrogandolo e lasciandosi interrogare.

Certo nel primo verbo vi è l’influenza del sensismo settecentesco, ma in Manzoni questo non si irrigidisce mai in uno schema o in una categoria filosofica e rimane aperto al suggerimento sempre nuovo della realtà, per come si manifesta. Il fatto, il dato del reale, con la sua energia di novità e il suo fondo pieno di mistero, sono il costante punto di riferimento di Manzoni, non le ideologie, tanto più perfette, al loro interno, quanto più cristallizzate e insensibili al confronto con la realtà.

Quando esprimerà le sue opinioni sul compito della letteratura ed in particolare dell’invenzione letteraria, in una famosa lettera al Giudici del 1820, scriverà: «Una finzione la più vicina al vero di quel misto di grande e di meschino, di ragionevole e di pazzo che si vede negli avvenimenti grandi e piccoli di questo mondo: e questo interesse tiene ad una parte importante dell’animo umano, il desiderio di conoscere quello che è realmente, e di vedere più che si può in noi e nel nostro destino su questa terra». L’ideologia contempla sempre solo metà dell’uomo: ciò che è «grande» e «ragionevole». È questo l’uomo che vuole vedere e su questo ritratto imbastisce l’immagine del mondo perfetto. Il lettore de Il trionfo della libertà del sedicenne Manzoni, ritroverà questi tratti nel volto luminoso dell’uomo liberato dalla schiavitù della tirannia e della religione. Ma la passione per la libertà impedirà a Manzoni di sostenere troppo a lungo questa ipotesi. Nella realtà l’uomo non è solo grande e ragionevole, ma un «misto di grande e di meschino, di ragionevole e di pazzo». E non è un cadere dell’illusione, per rientrare in un più grigio realismo, in un tardo pessimismo. Manzoni attraversa queste riflessioni verificandole in un percorso letterario che passa dalla poesia esaltante degli Inni Sacri, alla pensosa riflessione delle tragedie fino a sfociare nel romanzo. Si tratta di un percorso dettato sempre della passione al reale, perché Manzoni sa che nel reale può cercare la risposta al desiderio di verità, può capire il suo «destino». Ecco una parola profondamente manzoniana: ogni uomo è un destino, eterno e misterioso.

La conversione al cristianesimo altro non è se non l’accettazione di questa buona novella. Il «guazzabuglio» del cuore dell’uomo e della storia umana, quel labirinto, avrebbe scritto Calvino, contro il quale si sono infrante tutte le ideologie – e la storia dell’Otto e Novecento lo avrebbe palesato in tutta la sua tragicità – è comprensibile ed accettabile solo nella rivelazione di un destino finale e definitivo, cui l’uomo è chiamato. Allora tutto si spiega, non nel senso che si esaurisce il mistero, ma che si pacifica. «Tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo […] e più s’esamina questa religione, più si vede che essa ha rivelato l’uomo all’uomo». Nell’introduzione alle Osservazioni sulla morale cattolica, Manzoni esprime la sintesi della sua convinta conversione al cristianesimo come esito imprevisto della sua leale ricerca del «santo Vero». Non un’abdicazione della ragione, che aveva fallito nel suo sogno illuministico di ergersi a centro del cosmo; non un ripiegamento su una fede irrazionale a seguito del fallimento della virtù umana; ma l’adesione ragionevole ad un annuncio che ha attraversato la storia per svelare all’uomo la propria umanità.

Ancora nelle Osservazioni afferma: «La ragione sola non poteva certamente scoprire questa dottrina, perché il fondamento di essa è la carità; ma quando essa le sia annunciata dalla Rivelazione, la ragione è costretta di approvarla: difatti tutte le opinioni che le si vollero sostituire, finiscono ad essere abbandonate come insostenibili» ed ancora «… bisogna rassicurare quelli che sono affezionati ad una idea vera e generosa, che la religione non gli domanderà mai di rinunziarvi. Ah i sacrifici ch’ella esige non sono mai di questo genere».

E la conversione al cattolicesimo per Manzoni non è la conclusione del viaggio, nel senso di un appagamento della sua tensione conoscitiva. Si connota, invece, come il momento di reale esaltazione della libertà dell’uomo: solo innanzi all’annuncio che il desiderio di verità e di felicità, di bene del cuore dell’uomo può realizzarsi si spalanca alla libertà la possibilità di prendere una posizione.

Questo è il cuore dei Promessi Sposi. Il romanzo si connota come la dinamica vicenda della libera azione di Dio nella storia (Provvidenza) in rapporto alla libera risposta dell’uomo, di ogni uomo, dal nobile e ricco al povero e misero; dal fervido credente, al criminale; dall’arrogante signorotto al pavido curato; dal colto ecclesiastico alla contadina semplice ed ignorante.

Basti pensare a Renzo Tramaglino: un giovane buono come il pane, ma focoso, facile all’ira, istintivo. La sua storia di crescita personale lungo tutto il romanzo è possibile solo per la presenza fedele e forte di Fra Cristoforo e di Lucia, che continuamente provocano la sua libertà a prendere una posizione. Dopo aver saputo che don Rodrigo ha voluto impedire le nozze, Renzo è un animale ferito, col cuore colmo di disegni di sangue. Non ha alternativa alla sua rabbiosa ansia di vendetta per l’ingiustizia subita. Solo il pensiero di Lucia e poi la presenza forte di Fra Cristoforo, lo pongono di fronte ad una reale possibilità di scelta, cioè gli permettono di essere libero. Ed ancora alla fine del romanzo, nel lazzaretto, ritroviamo un Renzo sconvolto dall’odio e pronto all’omicidio, nell’angoscia di non conoscere la sorte di Lucia, e di nuovo solo la presenza di Fra Cristoforo, lo salva, indicandogli l’orizzonte del destino: Guarda, sciagurato! […] Guarda chi è colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va, sciagurato, vattene!

Non sono parole gentili; fra Cristoforo non consola Renzo, non lo invita dolcemente al perdono: lo sferza, lo mette senza sconti di fronte al Mistero ultimo della vita, gli ricorda che la storia e la vita, fatta di dolore e sacrificio, di gioia e di contraddizione, di speranza che passa attraverso la rassegnazione, sono il segno di Dio. Così Renzo è libero di scegliere e sceglie il perdono.

«Verità» e «inquietudine», tra questi due poli si colloca la vita libera dell’uomo, creatura di Dio, ma che può negarlo e rifiutarlo, condannandosi a quella inquietudine che tormenta l’Innominato e che alla fine si rivelerà proprio essere l’ultima arma usata dalla Provvidenza per riconquistarlo.

La verità non si impone mai, non schiaccia la nostra volontà; per tutti, nel grande mistero del proprio cuore, è possibile fino all’ultimo esercitare la propria libertà come adesione a Dio. È questo il motivo della sottesa nota di compassione che Manzoni riversa sui suoi personaggi, anche i più negativi, come don Abbondio, o il padre di Gertrude («Così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano»).

Tra «Verità» e «inquietudine»: questo è il nostro privilegio.

Studenti e docenti, tutti insieme appassionatamente in nome della cultura

I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum è un convegno scolastico nazionale per le scuole superiori, dedicato ogni anno ad un autore della letteratura italiana.

I Colloqui Fiorentini sono uno spazio di libertà nella scuola italiana: libertà per i docenti di affrontare gli autori senza l’ansia di dover portare a termine il programma scolastico; libertà di potersi avvicinare agli autori lavorando sui testi e non solo sui manuali, inevitabilmente schematici, spesso ideologici e superficiali; libertà di guardare agli autori, incontrandoli al livello della loro effettiva proposta culturale ed umana. Libertà per gli studenti di leggere gli autori direttamente e di lavorare insieme, a gruppi; di confrontarsi con la bellezza delle opere e di coglierne la provocazione per la propria vita; di imparare un metodo di studio e di approfondimento grazie agli interventi di docenti universitari; di intervenire con la propria esperienza e la propria interpretazione, che viene considerata e discussa in momenti di lavoro specifici; la libertà per docenti e studenti di incontrarsi, perché la cultura è innanzitutto incontro fra uomini appassionati della bellezza e della verità.

Il convegno si svolge a Firenze e, giunto alla decima edizione, ha visto, fino ad oggi, la partecipazione di dodicimila fra studenti e docenti da tutta Italia.

In breve, i partecipanti sono chiamati nei primi mesi di scuola ad un lavoro di lettura e studio dei testi degli autori, finalizzato all’elaborazione di una tesina di approfondimento con cui partecipare al Convegno a Firenze nel mese di febbraio.

Il Convegno, nell’arco di tre giorni, prevede relazioni sull’autore di docenti universitari e la partecipazione attiva di docenti e studenti all’interno di tre seminari, in cui vengono presentate e discusse le tesine precedentemente elaborate. Si viene a creare così un vero e proprio momento di scuola per gli studenti e di aggiornamento di alta qualità per i docenti. I lavori del convegno sono arricchiti dalla proposta di spettacoli, esposizione di produzioni artistiche realizzate dagli studenti, progetti di integrazione didattica con visita alla città di Firenze.

La decima edizione, prevista per i giorni 24-26 febbraio 2011, è dedicata ad Alessandro Manzoni. Sono previsti 2.000 iscritti provenienti da tutte le regioni d’Italia. Le iscrizioni sono aperte fino al 30 ottobre.

Il Ministero dell’istruzione, università e ricerca ha promosso con propria circolare I Colloqui Fiorentini in tutte le scuole d’Italia e li ha inseriti nell’Elenco delle Esperienze di promozione delle eccellenze.

Info: Segreteria convegno Diesse Firenze e Toscana, via Nomellini, 9 – 50142 Firenze.

Tel: 055-7327381 – segreteria@diessefirenze.orgwww.diessefirenze.org