Cultura & Società
Se a fare impresa sono gli immigrati
di Antonio Lovascio
«Un «modello toscano» per l’accoglienza, un altro «modello toscano» per il positivo inserimento e l’integrazione dei 340 mila extracomunitari che, promettendo di rispettare le nostre leggi, cercano di affermare il loro diritto di cittadinanza nella nostra comunità regionale e di conquistarlo attraverso tempi certi e procedure trasparenti. E se l’economia è ancora fragile e stenta ad offrire nuovi posti di lavoro, anche gli immigrati sono costretti a rimboccarsi le maniche e rischiare in proprio, accettando nuove sfide. Questa è la fotografia di una società in trasformazione rappresentata dall’Atlante realizzato dall’Università di Firenze per conto della Regione. Una ricerca completa ricca di grafici, cartine, immagini e saggi provincia per provincia, ma anche di storie a lieto fine coordinata dalla professoressa Margherita Azzari, docente di studi storici e geografici presso la Facoltà di lettere. Sicuramente aiuterà le Istituzioni committenti e la Caritas a capire meglio e gestire le nuove emergenze. Con altri strumenti che il LabGeo sta elaborando e che avranno un impatto sulla realtà toscana nei prossimi mesi.
Professoressa Margherita Azzari, si parla molto dell’invasione in Italia di profughi e clandestini da Tunisia e Libia, ma non si sta forse sottovalutando il fenomeno dell’integrazione?
«Le coste italiane sono di fatto la porta dell’Europa e i numeri che le cronache ci offrono sono tali da imporre politiche di gestione comuni. Non si tratta infatti semplicemente di accogliere nell’emergenza, garantire un tetto, un pasto, degli abiti asciutti, ma creare le condizioni per una reale inclusione dei migranti nel Paese che hanno scelto come meta. Entrano allora in gioco valutazioni complesse sulla reale capacità di accoglienza (disponibilità e costo degli alloggi, dinamiche del mercato del lavoro, leggi, politiche di welfare, ecc.) dalle quali non si può prescindere e che impongono sistemi efficaci di supporto, condivisi da tutti i membri della Comunità Europea».
Il suo Laboratorio ha messo a punto un Atlante dell’imprenditoria straniera in Toscana. A cosa serve?
«L’Atlante indaga il fenomeno dell’imprenditorialità straniera con approccio multidisciplinare, attraverso cartografie, dati statistici, storie e immagini. L’imprenditorialità rappresenta, infatti, un indicatore importante per comprendere i processi di territorializzazione della popolazione immigrata che scegliendo di fare impresa dimostra, nella maggior parte dei casi, di volersi radicare. Ciò che accade in Toscana non è dissimile da quanto avviene in Italia e in Europa, pur declinandosi in modo diverso, in relazione alle caratteristiche del sistema economico toscano e all’azione di reti etniche fortemente localizzate. Non sempre, tuttavia, tale processo è indice di maggiore integrazione, ma può rivelare la difficoltà a inserirsi in un modo diverso nel mondo del lavoro».
Che realtà è emersa da questa Mappa? Quali sono le nazionalità con la crescita più alta?
«Il crescente protagonismo imprenditoriale straniero in Toscana è chiaramente leggibile dai dati Infocamere anche se sono soprattutto le imprese individuali a crescere. Dal 1999 al 2008 sono passate da 7.600 a oltre 32.000, mentre dal 2008 ad oggi il ritmo di crescita è rallentato e sono cresciute di sole mille unità. Si tratta in prevalenza di microimprese artigianali attive nei settori edile, del commercio, dei trasporti, dei servizi e, grazie in particolare al contributo della comunità cinese, nel manifatturiero. Nell’ultimo decennio si è anche verificato un mutamento sostanziale nelle provenienze degli imprenditori stranieri. Nel 1999 il paese di nascita era in prevalenza un paese europeo che aveva accolto in passato importanti flussi migratori provenienti dall’Italia (emigrazione di ritorno), mentre alla fine del 2008 prevalgono nettamente i cittadini provenienti dal secondo e terzo mondo. I paesi con la crescita maggiore 18 volte rispetto al 1999 e 11.306 aziende in totale sono quelli europei ex socialisti, albanesi e romeni, che superano quelli dell’Asia orientale (quasi 8.000 aziende). Al primo posto restano comunque i cinesi, (7.029 imprese), seguono albanesi (5.114), romeni (4.259) e marocchini (3.489) che complessivamente coprono il 73% del totale delle ditte individuali straniere».
Le province toscane maggiormente interessate?
«A grandi linee la distribuzione delle ditte individuali straniere ricalca la distribuzione delle attività imprenditoriali nel loro complesso, con una evidente concentrazione nel Valdarno, lungo la costa e in corrispondenza dei capoluoghi di provincia, Firenze e Prato in particolare. Se tuttavia si analizza l’incidenza delle ditte individuali straniere sul totale delle imprese, la situazione è assai più varia e si evidenziano alcune situazioni di grande interesse. Molti comuni caratterizzati da ridotta dinamicità economica, ad esempio, presentano un’elevata incidenza di ditte individuali straniere: è il caso dell’Alta Lunigiana, di alcuni Comuni appenninici, di una vasta area interna a cavallo delle province di Siena e Grosseto, dove ormai sono solo i cittadini nati all’estero a fare impresa».
La normativa regionale facilita l’inserimento degli extracomunitari, la qualità dell’occupazione e la sicurezza sul lavoro?
«La legge regionale 29/2009 si è proposta di realizzare l’accoglienza solidale delle cittadine e dei cittadini stranieri, secondo i principi del pluralismo delle culture, del reciproco rispetto e dell’integrazione partecipe grazie a norme ispirate ai principi di uguaglianza e pari opportunità per gli stranieri che si trovano sul territorio regionale (art.1, c.1). In particolare nell’articolo 6 sono previste misure che dovrebbero favorire l’accesso all’abitazione, alle prestazioni sanitarie, alla formazione e anche al sostegno dell’imprenditorialità straniera».
Il vostro studio mi pare abbia evidenziato una plurispecializzazione a livello di imprese.
«L’analisi dei dati ha confermato l’esistenza di una vera e propria specializzazione per paese d’origine e la tendenza a concentrare le attività in aree strategiche (vicino ai mercati, alle stazioni ferroviarie, nel centro storico), creando vere e proprie aggregazioni. Circa l’85% delle imprese opera nelle costruzioni, nel commercio e nella manifattura. Quelle attive in un unico comparto sono prevalentemente di nazionalità senegalese (commercio), albanese e romena (entrambe edilizia). La doppia specializzazione prevale nelle cinesi (manifattura e commercio) e nelle marocchine (commercio e costruzioni). La plurispecializzazione è una caratteristica soprattutto delle imprese pakistane, argentine, brasiliane, macedoni e egiziane».
Che impatto hanno queste aziende multietniche sull’economia toscana ed in particolare sul commercio al dettaglio?
«Il settore commerciale è sicuramente uno tra i più rappresentati. Tutti possiamo agevolmente percepire la proliferazione di negozi di abbigliamento e di kebab house o di piccoli supermercati di generi alimentari, ma sono le attività ambulanti, il primo sbocco lavorativo per molti immigrati, quelle in cui maggiore è stata la sostituzione di imprenditori locali. Si tratta prevalentemente di ditte individuali (anche se i kebab sono in genere condotti in franchising) che solo occasionalmente fanno ricorso ad addetti esterni e che si rivolgono in prevalenza ad una clientela turistica o etnica. La concentrazione di questi esercizi in alcuni quartieri ha innescato un processo di sostituzione più veloce di quello fisiologico e la stampa quotidiana ha registrato il malessere dei residenti per il degrado ambientale e la diffusione di attività illecite e abusive messi in relazione con la mutata fisionomia di alcuni quartieri. Anche se questo non corrisponde alla realtà, la fragilità di queste attività rende indispensabile un servizio di formazione e di consulenza per elevare il potenziale commerciale di questo settore, la qualità dell’offerta e l’attrattività turistica di alcuni quartieri urbani».
All’Università di Firenze è sbarcato Google. Il LabGeo da lei diretto è coinvolto nel Progetto-Itaca: di cosa si tratta?
«LabGeo è impegnato in primo luogo sui temi della tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali e del monitoraggio e analisi delle dinamiche socio-economiche (mercato del lavoro, mobilità/migrazioni) attraverso ricerche condotte in stretta coesione con imprese e parti sociali, oltre che nella didattica e nella formazione che si esplicitano nell’offerta di master, corsi di perfezionamento e professionalizzanti. Il Laboratorio è ente cooperante del Portale cartografico nazionale (Ministero dell’Ambiente). Da gennaio ha dato vita, insieme al Centro Servizi Informatici e Informativi dell’Ateneo Fiorentino e a Google, al Laboratorio congiunto ITACA-M, con l’obiettivo di progettare sistemi per semplificare il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione».
Su quali settori punterete?
«Lavoreremo alla produzione di strumenti GEO (in particolare ad un’applicazione per la ricerca di risorse cartografiche), alla progettazione di elementi di esplorazione di dati e produzione di reportistica (i cosiddetti cruscotti decisionali, il primo dei quali è stato creato proprio per l’analisi dell’imprenditorialità straniera) e alla realizzazione di contenuti fruibili attraverso la tecnologia mobile per la valorizzazione turistica».
Per conto della Società Italiana di Geografia ha curato l’allestimento a Roma della grande Mostra fotografica «Paesaggi dall’Unità d’Italia ad oggi», in corso a Valle Giulia. Determinante è stato il contributo della Toscana.
«Molti importanti documenti provengono da collezioni e archivi toscani (Accademia dei Georgofili, Polo museale fiorentino, Istituto Geografico Militare, Ferrovie dello Stato, Fondazione Paolo Cresci di Lucca, La Chimera di Arezzo). Importante è stato inoltre l’apporto di ricercatori del nostro ateneo. La mostra è dedicata alle profonde trasformazioni che hanno disegnato i paesaggi attuali. L’idea intorno alla quale è stata pensata la mostra è la mobilità, intesa nel suo senso più ampio (geografica, economica e sociale), come risultato delle spinte che hanno mosso gli italiani nel corso degli ultimi 150 anni. Il percorso espositivo evoca i tratti salienti del dinamismo italiano e le trasformazioni del paesaggio, raccontati attraverso foto d’archivio e scatti d’artista che ripercorrono la nostra storia dalla riorganizzazione delle campagne, all’urbanizzazione, dall’industrializzazione alla creazione di quelle infrastrutture che hanno contribuito ad unire l’Italia e a farla crescere economicamente, ma innescando anche processi non virtuosi e introducendo elementi di criticità ambientale e sociale».
Le nostre Università devono fare i conti con pesanti tagli. Eppure gli atenei toscani stanno portando avanti ricerche significative.
«Anche LabGeo è specchio delle difficoltà che incontra la ricerca italiana: tutti i giovani impegnati nei progetti appena descritti sono precari, sostenuti da borse di studio o assegni di ricerca. Ciò non toglie che sia forte e motivato l’interesse a portare avanti nuove iniziative. Tra queste vi sono i progetti ArCEs (Archivi digitali della Cartografia coloniale e delle Esplorazioni) e WetTus (Atlante delle aree umide della Toscana), sostenuti da fondi strutturali europei attraverso Regione Toscana. Il primo è un piano-pilota per il recupero e la valorizzazione di archivi fotografici e cartografici, inediti e difficilmente consultabili, relativi all’attività di esplorazione nei territori delle ex-colonie italiane. Consentirà di creare uno strumento versatile di consultazione, applicabile a documenti di vario tipo. Il secondo concerne la realizzazione di un database geografico delle trasformazioni territoriali finalizzato alla ricostruzione storica dell’evoluzione territoriale delle aree umide ed ex umide della Toscana a partire da un complesso integrato di fonti (cartografie, fotografie, statistiche, documenti d’archivio) ed alla messa a punto di un sistema di supporto alla decisione per la promozione di progetti di sviluppo locale sostenibile e durevole in aree di rilevante valore storico e ambientale».
La scheda
Origini apuane (è nata a Carrara il 19 giugno 1956 ed è ancora molto legata alla sua terra), di studi e solida formazione accademica fiorentina, la professoressa Margherita Azzari, responsabile del Laboratorio di Geografia applicata, è fiera della sua appartenenza a quella scuola geografica dell’Istituto di via San Gallo che ha avuto il suo più insigne maestro nel professor Giuseppe Barbieri, negli anni Settanta uno dei precursori in Italia della moderna corrente ambientalista, che ha trovato ampio credito nell’ambito della pianificazione territoriale toscana. «Una geografia attiva al servizio della comunità», portata avanti oggi dai suoi allievi, che con le loro ricerche svolgono un prezioso servizio di monitoraggio sulla mobilità e sui flussi d’immigrazione in Italia ed offrono agli amministratori della Regione proposte per una politica programmata di tutela e valorizzazione del paesaggio e delle risorse culturali, non condizionata dalle contrastanti esigenze dello sviluppo economico. Ed allo stesso tempo seguono con passione le nuove forme di ruralità in Toscana. La professoressa Azzari membro dei principali organismi geografici nazionali è autrice di 150 contributi scientifici, ha progettato e curato l’Atlante Geoambientale della Toscana che l’Istituto De Agostini ha pubblicato nel 2006 per la nostra Regione; ha inoltre coordinato la sezione toscana dell’Atlante tematico delle acque italiane. Per conto della Società Geografica Italiana ha guidato l’allestimento della Mostra fotografica «Italia in movimento: direttrici e paesaggi dall’Unità d’Italia ad oggi», che resterà aperta a Roma Valle Giulia fino al 3 luglio nel quadro delle celebrazioni per il 150° anniversario tricolore.