«Per me fu un dono enorme il fatto che sia venuto ad Arezzo. Non fosse altro per il mio attaccamento alla Madonna del Conforto e come comandante della Gendarmeria fu un dono che porto profondamente nel cuore. Certo che gli fui grato per aver scelto proprio Arezzo tra le tante città doveva veniva invitato ogni anno», ricorda Giani, oggi presidente nazionale della Confederazione delle Misericordie d’Italia, in questa intervista a Toscana Oggi.In realtà era venuto ad Arezzo ma desiderava soprattutto andare a La Verna, al Sacro monte di san Francesco?«Papa Benedetto era molto attaccato a La Verna e già da cardinale c’era stato. Certo venne per visitare la diocesi ma per lui fu un grosso dispiacere non poter salire fino al monte. Anche perché non è potuto più tornarci».Cosa ricorda di quel giorno? Come si giunse alla decisione di non far partire l’elicottero per La Verna?«Era calata la nebbia e pioveva. Per lui fu, come ho detto, un grande dispiacere. Forse, ripensandoci subito dopo, mi pentii di non aver proposto a papa Benedetto di andare in auto e non in elicottero. Ma era anziano, era stanco anche se sapevo che davvero ci teneva molto. Si decollò e si tentò di arrivare a La Verna ma a un certo punto dovemmo rinunciare e atterrammo a Sansepolcro. Qui, a dimostrazione di quanto tenesse a quella tappa, fu molto bello che ripartendo disse al vescovo di Arezzo monsignor Fontana e al cardinale Betori: “Andate voi a La Verna a portare il mio saluto ai frati”».Poi, passato un po’ di tempo, in qualche modo lei riuscì a rimediare….«Papa Benedetto si era già ritirato e della mancata visita a La Verna ne avevamo riparlato. Fu molto bello quando si riuscì a organizzare, il 26 marzo 2014, l’incontro di tutti i frati de La Verna con lui in Vaticano, nel monastero Mater Ecclesiae. Fu un momento bello, intimo, che in parte ripagò i frati della mancata visita».Possiamo dire che il suo fu un rapporto quasi filiale con Benedetto XVI?«È vero. Avevo questo rapporto. Prima di tutto mi lasci dire che è stato davvero un grande uomo con un cuore molto, molto grande, che ha veramente voluto bene: si affezionava molto alle persone a lui vicine. Quindi c’era questo e ha avuto sempre totale fiducia e stima di me. Poi mi legava a lui questo rapporto intimo che era nato quando era ancora cardinale, prefetto del Sant’Uffizio, e io ho sempre provato per lui questo grande affetto filiale e lui lo ha sempre ricambiato: per me, per i miei figli, per mia moglie. C’è stato fino all’ultimo, qualche mese fa l’ho visto con la mia famiglia per l’ultima volta. Ma è vero che tutti gli anni del mio servizio sono sempre stati contraddistinti dall’amore al successore di Pietro e dall’amore alla Chiesa. La fedeltà per chi sedeva su quella sedia: una fedeltà che da un lato è istituzionale ma dall’altro è ecclesiale».In fondo un servizio che lei prosegue oggi anche presidente della Confederazione delle Misericordie d’Italia..«Credo che questo servizio agli invisibili, agli ultimi, al prossimo, sia un modo per proseguire il servizio che ho fatto per in tutta la mia vita nelle Istituzioni italiane e per la Santa Sede per oltre 40 anni, è proseguire un servizio al prossimo, un servizio alla Chiesa. Il servizio che ho svolto per ventuno anni in Vaticano è stato per me un grande dono del Signore e io sono debitore di questo».