Vita Chiesa

Prato, l’omelia del card. Betori in occasione dei duecento anni della nascita di Cesare Guasti

La connessione tra la prima lettura e la pagina del Vangelo che ci propone la liturgia di questa domenica invita a porre sotto l’orientamento della fede il nostro pensiero e la nostra volontà, la comprensione della realtà che la mente offre e il proposito da assumere per una scelta coerente ed efficace. Ci viene quindi proposto un orizzonte di riflessione che ben si incontra con l’esperienza umana e di fede del venerabile Cesare Guasti, esponente di spicco del mondo culturale del suo tempo, uomo di importanti responsabilità nella società civile e affettuoso sposo e padre nella vita familiare, testimone esemplare delle virtù cristiane.

Ma veniamo alla pagina del libro della Sapienza, che già nelle categorie di pensiero che utilizza ci offre un primo messaggio di come la fede sappia entrare in dialogo con ogni cultura, facendo di essa lo strumento per rivelare i contenuti del disegno di Dio sul mondo. Il testo che abbiamo letto non teme infatti di utilizzare le categorie della filosofia greca, in specie platonica, per parlare della persona umana come spirito che la materia limita e costringe nella fragilità del tempo. Siamo lontani dalla visione antropologica del mondo semitico che incontriamo in genere nelle pagine bibliche, che offre una visione unitaria della persona e non vede per sé nella condizione corporale un peso per lo spirito, bensì lo strumento della sua espressione.

Senza entrare ora in queste problematiche di carattere filosofico, ci basti qui registrare che l’intento dell’autore sapienziale di entrare in dialogo con il mondo ellenistico lo induce ad assumerne linguaggio e pensiero per comunicare il messaggio della fede, in questo caso l’annuncio che la pienezza della comprensione dell’umano sta nel suo aprirsi alla rivelazione divina. Lungi dall’opporre umano e divino, Dio si propone all’uomo come la sua più profonda comprensione di sé e del mondo. La fede non nega l’umano ma lo accoglie per portarlo alla sua piena verità. Entra qui in gioco il concetto stesso di Sapienza, dono di Dio fatto all’uomo e sua rivelazione: «Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?» (Sap 9,17) abbiamo ascoltato. E la Sapienza di cui si parla è la Sapienza che prenderà carne nell’umanità del Figlio di Dio: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14).

Di come questa sintesi tra fede e ragione, tra luce della rivelazione e ricerca della cultura sia fonte di conoscenza e di retto orientamento, è testimonianza esemplare la vicenda terrena di Cesare Guasti, così pronto a immergersi nelle vicende storiche del suo tempo, così alacre nel ricercare la verità nei documenti della storia da far rivivere nel suo perenne messaggio, tutto illuminato e orientato da una fede viva, capace di motivare e mai di frenare la ricerca dell’uomo. Un vero uomo di cultura cattolico.

Ma la conoscenza illuminata dalla fede deve poi tradursi in scelte di vita coerenti. Così ci mostra la vita di Cesare Guasti, così ci invita a fare la pagina evangelica. Il problema che Gesù pone ai suoi ascoltatori è quello della coerenza che deve esserci tra ciò che intendiamo conseguire e gli strumenti a cui ci affidiamo. Costruire una torre o intraprendere una spedizione di conquista esigono una valutazione delle risorse per non rimanere a metà dell’opera. Quel che vale in una logica puramente umana ha ancor più ragione d’essere nella vicenda della salvezza, quella salvezza che ora si decide in rapporto alla persona stessa di Gesù, nella scelta a farsi suoi discepoli.

Una mente illuminata dalla fede scopre anzitutto che il destino di una persona si gioca nel rapporto con Dio. E ora Dio ha il volto del Figlio suo fatto uomo, che chiede che noi aderiamo a lui. E a questo punto occorre mettere in conto che va fatta una scala di priorità in cui le cose del tempo, non solo gli averi ma anche gli affetti più cari e perfino la propria vita, vanno deposti dalle loro esclusività, che ne fa degli idoli, e collocati a servizio dell’unica cosa necessaria che è il nostro legame con Cristo. E, ci ricorda il Signore, in questo legame è incluso anche il mistero della croce.

Di tutto questo è stato ben consapevole Cesare Guasti, che ammoniva: «Bisogna rimettersi nel Signore e pensare che senza croce non si vive, per chi è cristiano. La Croce di Cristo è il nostro segno, come la nostra speranza». Espressione, questa, significativa di una comprensione del mistero della croce non come espressione di una perdita, bensì della pienezza di un gesto di amore, di consegna di sé in totale abbandono. Guardando alla realtà con gli occhi di Dio, illuminati dalla sua Sapienza, quanto appartiene a questo mondo riceve valore solo dall’atto di amore con cui Cristo ci ha donato sé stesso e ci chiama a condividere questa donazione.

Ci soccorrono le parole del Sommo Poeta, la cui Commedia fu tanto amata dal nostro venerabile, che insegnano come nella logica dell’amore gratuito, che in Cristo ha la sorgente e il modello, si annulla ogni scala di misura umana. Ascoltiamo dunque lo spirito beato che nella sua risposta sembra ardere nel fuoco dell’amore divino: «la nostra volontà quïeta virtù di carità, che fa volerne sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta» (Par. III, 70-72). Questa è quanto ha testimoniato la vita di Cesare Guasti e per questo auspichiamo che il Signore, mediante il segno di un miracolo, ne apra le porte alla beatificazione.

Giuseppe card. Betori