Vita Chiesa

Diocesi di Arezzo, Fontana: “La Grazia Divina intervenga per farci artefici dell’impossibile”

Ecco il testo integrale dell’omelia dell’arcivescovo Fontana.

Sorelle e Fratelli amati nel Signore: Iddio ci dia pace. In questo Giorno Santo!

1.      La Chiesa celebra la sua Festa

L’eco di quella cena, durante la quale Gesù si affidò alla sua Chiesa, nella sala grande al piano superiore del Cenacolo[1], arriva fino a noi, questo pomeriggio, avviando la celebrazione della Pasqua.

Siamo qua anzitutto per ringraziare, per ridirci ancora l’un l’altro che “Chiesa è bello”: un’esperienza che vale la pena di rinnovare, chiedendo al Signore la sua Grazia.

È Gesù che ha voluto essere presente nell’Eucarestia: “fate questo in memoria di me[2]. È il mandato che, giovanissimi, abbiamo ricevuto e ad esso è legata la partecipazione al sacerdozio di Lui, il Signore.

È questo il momento per dire grazie, tutti insieme, a Dio, prima di fare ritorno con i Santi Oli alle comunità che ci furono affidate, per fare, con la nostra gente, un’esperienza gioiosa di Chiesa.

È questo il momento per tornare a prendere coscienza con umiltà dei nostri limiti e, mentre chiediamo perdono perché avremo voluto fare di più e meglio, ci confermiamo vicendevolmente come popolo della riconciliazione. È nostro compito attutire le asperità del carattere e chiedere a Dio che intervenga a limitare gli effetti delle nostre responsabilità, per costruire ancora una volta una storia alternativa e bella.

È questo il momento per rinnovare l’entusiasmo dei nostri momenti migliori e fare arrivare a tutti il dono della Grazia. Ci è affidato il compito delicatissimo di riaccendere il fuoco dell’amore, in ciascuna delle storie che ci crescono accanto, per edificare tutti insieme una storia alternativa dove non contano gli errori, ma il loro recupero. Quanto le forze umane non sono in grado di fare da sole, la Grazia Divina intervenga per farci artefici dell’impossibile: “beati gli operatori di pace[3].

2.      La comunità degli Apostoli nella vita secondo lo Spirito

Sicut cervus ad fontes aquarum [4]. Il popolo del nostro tempo manifesta un particolare bisogno di essere aiutato a recuperare la dimensione soprannaturale delle nostre esperienze umane. Soprattutto in queste settimane, in cui abbiamo dovuto subire la vicinanza della guerra accanto a noi e ci siamo misurati con le sofferenze, che in altre parti del mondo non hanno mai cessato di sconvolgere la vita della gente, si rende palese una riflessione alta sul senso della vita praticato nel nostro tempo dall’Occidente.

In alcuni prevale il desiderio di non essere travolti dalla molteplicità dei mali che sono connessi con la guerra, in altre persone, pronte a commuoversi per la morte degli innocenti, spicca specialmente lo scompenso economico che l’attuale situazione provoca. Allo smarrimento di tutti occorre che noi ministri del Signore ricordiamo la presenza di Dio, il senso del Vangelo, e riscopriamo che vivere senza senso è un peccato di cui dobbiamo liberarci.

A noi cristiani, in modo particolare, è chiesto di non lasciarci dominare dalla tentazione di ridurre il gran pasticcio, che c’è al mondo in questi giorni, a uno scontro ideologico. La sofferenza non ha colore politico. I bambini ci interrogano a che cosa serva questa Chiesa, se non è capace di ridire a tutti la logica delle Beatitudini. Il nostro servizio di membri del Presbiterio ci fa riscoprire la necessità della testimonianza che ci è affidata.

La tradizione cristiana insiste, in modo forte, sul rapporto che esiste tra l’Eucarestia e la storia del pane. “Noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. Questo pane è quel corpo di Cristo del quale l’Apostolo, rivolgendosi alla Chiesa afferma: Voi siete corpo di Cristo e sue membra[5]. Anche noi eravamo tanti come i chicchi di grano: simili sì, ma mai uguali. Le nostre diversità, solo se si fondono, tolgono la fame alla gente, fame di giustizia e di pace, una farina di cui, in queste ore, vi è particolarmente bisogno.

L’acqua della purificazione trasforma il bianco fior di farina, frutto del grano macinato, in cibo saporoso, a condizione che il fuoco dell’entusiasmo renda commestibile questa parte della nostra storia comune di un mondo globalizzato.

 

3.      Il servizio al popolo di Dio

Cari Fratelli, siamo proprio benedetti: ci è capitato di essere, noi stessi – con i nostri limiti e le nostre titubanze –, lo strumento che, in mano di Dio, può cambiare la realtà, se abbiamo l’attitudine a non farci condizionare dal “si è sempre fatto così”. Tornando all’aratro che ci è stato affidato nel santo campicello del Signore, possiamo dar vita una pastorale creativa. Ciascuno di noi può far vibrare, nel servizio al popolo, la Grazia che ci ha fatto partecipi del sacerdozio di Cristo e che è il contenuto della preghiera personale e silenziosa di ogni ministro, di fronte all’Eucarestia.

Il bianco di quel pane eucaristico torni a rammentarci i chicchi di grano da cui è generato, solo a condizione che tu intenda, con uno specifico atto di volontà, andare a ritrovare un posto nel Cenacolo dell’Ultima Cena e con zelo tu torni a inventare i modi e le forme perché i ragazzi che hai portato alla Prima Comunione e alla Cresima non si disperdano.

Solo una Chiesa ricca di Spirito Santo, con poche forme e molta sostanza, sarà attraente e capace di aiutare i tuoi giovani a capire quale sia la vocazione a cui Cristo ti chiama. Dobbiamo aiutare i ragazzi e le ragazze delle nostre comunità a riscoprire la dimensione soprannaturale del Matrimonio, che è il più laico dei modi per avvicinarsi a sostanziali storie d’amore. Sarà Sacramento se riusciremo a liberarci dell’inutile pompa, ritroveremo il fascino dell’incontro tra un uomo e una donna, che in sé è manifestazione della presenza di Dio, al di là dei nostri moralismi e delle forme esteriori. Una Pastorale familiare non si esaurisce nel momento celebrativo del Matrimonio, ma da esso si avvia, con la consapevolezza di essere la Chiesa del Signore.

Chiediamoci, quest’oggi, quanto siamo capaci di sostenere le incertezze e le apparenti delusioni, se solo riusciremo a far capire ai nostri giovani sposi che anche noi ministri del Signore abbiamo talvolta la tentazione di mollare tutto e poi, magari quando meno te ne accorgi, sopravviene la Grazia che fa nuove tutte le cose, anche quelle che apparentemente appaiono insterilite.

Noi, tutti i ministri di questa Chiesa, siamo la voce di Dio, se con la nostra presenza – so bene quanto sia scomodo e a volte difficile – proveremo ancora ad essere accanto a chi soffre a ogni svolta complicata della nostra storia comune.

Neppure la morte ci spaventa, se sapremo cogliere il complesso momento del commiato come l’inizio di una nuova evangelizzazione, che torna a riprendere forza da questa Eucarestia che stiamo celebrando insieme, in questo giorno particolarmente santo.

I Santi Oli, che porteremo al Vespro di domani come dono della Chiesa a ciascuna nostra comunità, sono il segno tangibile che, ancora per un anno, proveremo a fare del nostro meglio, con la Grazia di Dio. Vogliamo servire i bambini e i catecumeni tutti, desideriamo accompagnare con amore le famiglie segnate dalla perdita della vicinanza fisica di qualcuno dei loro cari: è il segno del sacerdozio che, con questo Crisma, cercheremo ancora sia presente nella nostra Chiesa particolare.

La gioia di questo momento ci fa ritrovare con le nostre diversità ad essere quell’unico pane di cui ancora il Signore vuole servirsi, per mostrare la sua tenerezza verso la nostra gente, a partire dai più poveri e da quelli che, se sapremo far vedere la nostra storia come concreta manifestazione di multiformi storie d’amore, saranno certamente meno lontani di quello che appare oggi. Questo è l’atto di fede che insieme facciamo in questa Messa Crismale, per rinnovare la certezza che possibile una Chiesa tutta ministeriale, se nell’aiuto vicendevole ciascuno tornerà a promettere di fare del proprio meglio, perché a nessuno manchi la forza che trae le sue origini dal Cenacolo di Gerusalemme.