Vita Chiesa
Mediterraneo: Mons. Raspanti, “Da Firenze un segnale di speranza”
Da Firenze, è giunto “un segnale di speranza” per andare avanti nel cammino intrapreso due anni fa dalla Cei a Bari, e che ora si è arricchito della presenza dei sindaci. Ne è convinto mons. Antonino Raspanti, arcivescovo di Acireale e vicepresidente della Cei, che traccia per il Sir un bilancio dell’incontro tra i vescovi e i sindaci del Mediterraneo.
Mons. Raspanti, come descriverebbe il clima di queste cinque giornate fiorentine?
Qui a Firenze c’è stata un’atmosfera molto fraterna. Rispetto all’analogo incontro di due anni fa a Bari, i vescovi delegati si sono dimostrati più sicuri, hanno parlato in maniera molto aperta delle situazioni che stanno vivendo e delle loro rispettive chiese, condividendo le varie tematiche e arricchendosi vicendevolmente delle diversità delle situazioni. Sono stati molto contenti, inoltre, di collaborare attivamente con i sindaci alla stesura della Carta di Firenze: era una novità assoluta e per molti è stata una scoperta. Il risultato finale è stato molto positivo: si è rivelato per molti un segnale di speranza per andare avanti in questo percorso che abbiamo iniziato.
È la prima volta che vescovi e sindaci lavorano insieme per un “cantiere di pace” nel Mediterraneo. Quali suggerimenti sono emersi per proseguire il cammino?
Certamente si è trattato di una prima volta molto importante, resa possibile dal primo appuntamento di Bari due anni fa, durante il quale i vescovi avevano già chiaramente manifestato la volontà di continuare a confrontarsi sui temi più urgenti che stanno a cuore dei Paesi e delle città che si affacciano sulle due sponde del Mediterraneo. A Firenze, il passo in più è stato il coinvolgimento dei sindaci. Molti delegati, è emerso dai lavori, vorrebbero che appuntamenti come questi continuassero ogni biennio, predisponendo anche una Segreteria che si occupi di coordinare la preparazione dei momenti di incontro, confronto e scambio reciproco. L’auspicio, condiviso da vescovi e sindaci, è che la Carta di Firenze si diffonda il più possibile nelle nostre comunità religiose e cittadine. La consegneremo innanzitutto al Santo Padre, al quale va la nostra vicinanza e il nostro sostegno, con l’auspicio di una pronta guarigione. L’intenzione è anche quella di far conoscere la Carta sul piano europeo, a vari livelli, e ai singoli Stati: c’è già una collaborazione in atto in questo senso, vedremo a quali risultati potrà portare. Gli auspici ci sono tutti.
Se dovesse indicare un tema che ha catalizzato l’attenzione di tutti, durante i lavori di Firenze, quali sceglierebbe?
Senza dubbio l’aspirazione alla fraternità. La voglia di fratellanza, tra i vescovi, qui a Firenze si è potuta toccare con mano. Come diceva Giorgio La Pira, quella del Mediterraneo è una vocazione alla pace tra popoli e religioni, e soprattutto in questo momento in cui le tensioni internazionali si sono acuite a causa della tragedia che si sta consumando in Ucraina c’è il timore che si irrigidiscano le violenze, ponendo ostacoli alla crescita del dialogo essenziale per un futuro di pace.
Anche tra i sindaci è risuonata la parola fraternità, come appello urgente per invertire la rotta in uno scenario internazionale in cui purtroppo c’è chi mostra pubblicamente i muscoli. La “diplomazia delle città”, come è risuonato durante le cinque giornate fiorentine, potrebbe fornire un grande contributo in questa direzione.
Le persone e le famiglie che stanno scappando dall’Ucraina ripropongono con drammatica urgenza il tema dell’accoglienza dei profughi. L’Italia e il Mediterraneo sono pronti a far fronte a questa nuova emergenza?
La Lituania, come ci ha detto il vescovo di Vilnius, ha già accolto 100mila profughi dall’Ucraina. In Italia il governo sta lavorando per il ricongiungimento dei nuclei familiari. Dei 250mila ucraini presenti nel nostro Paese, l’80% sono donne: se si permettono i ricongiungimenti, potranno tornare in Italia parecchi mariti e famiglie. Si può calcolare che in questo modo altri 100-150 mila ucraini potranno essere ospitati in Italia. Le nostre chiese sono pronte, hanno una grande tradizione su questo versante e si stanno preparando per garantire al meglio l’accoglienza dei nostri fratelli che fuggono dal conflitto.