Vita Chiesa
Diocesi Prato: vescovo Nerbini ai parrocchiani alla Castellina, “Vi chiedo perdono di non avervi protetto a sufficienza”
Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dal vescovo Giovanni Nerbini questa mattina nella chiesa dell’Annunciazione alla Castellina.
Carissimi fratelli e sorelle,
ho voluto essere presente qui oggi con voi per condividere insieme il difficilissimo momento che la nostra Chiesa attraversa e la vostra comunità parrocchiale sente come una bruciante ferita sulla propria pelle, nella vostra anima, come del resto, vi garantisco è nella mia. Sono venuto con il cuore in mano per ascoltare la vostra sofferenza, il vostro dolore, la vostra indignazione: sono la mia sofferenza, il mio dolore, la mia indignazione. Se il Vescovo è pastore, e questo sono, sente e vuole essere in mezzo ai suoi soprattutto nei momenti difficili. Sono qui a dirvi il mio percorso in questa vicenda, ad assumermi tutte le mie responsabilità; a prendere gli impegni che ritengo utili, necessari oggi, a mettermi con voi in ascolto della Parola di Dio che ci possa non solo salvare ma aiutare a crescere proprio a partire dalla crisi tanto dolorosa che stiamo vivendo. Non ripeterò ciò che ho già scritto e detto, ci sono altre sedi, non una celebrazione eucaristica, per approfondire ogni aspetto della vicenda, capire meglio. Quando nel settembre 2019 sono stato chiamato a Roma a frequentare il corso per i neo Vescovi, ho avuto la gioia di incontrare Chiara Amirante invitata a tenerci una riflessione che risultò apprezzatissima da tutti i 105 presuli presenti. Chiuse il suo intervento con un appello: “Io giro l’Italia ed il mondo e raccolgo tante confidenze e disagi. Vi prego, ascoltate i vostri preti, rimanete loro vicini, sosteneteli nelle loro difficoltà”. E giunto a Prato ho trovato don Francesco. All’inizio lontanissimo, quasi in fuga. Distaccato. Pian piano è nato un accenno di dialogo che è cresciuto insieme alle sue difficoltà che io non riuscivo a spiegarmi fino alla tristissima scoperta della sua dipendenza, davvero inimmaginabile. È nata la domanda: “Che cosa devo fare?”. E quella raccomandazione di Chiara è riaffiorata prepotente alla mia mente e nel mio cuore. E la risposta è arrivata sotto forma di un ricordo del 1980 quando a Firenze cominciai a frequentare il CEIS dove giungevano, disperati, i genitori con un figlio tossicodipendente. Una sera un operatore raccontò la sua drammatica esperienza. Aveva avuto non uno ma due figli vittime della droga e per 10 anni aveva lottato per loro. Ecco la risposta: Se ti trovi davanti un delinquente lo denunci. Se un figlio, ed è malato – questa è la droga – lotti per salvarlo. Ho cercato di fare questo: ho lottato per non perderlo, per non lasciarlo andare a fondo. Ho rivisto tanti genitori che il Signore mi ha fatto incontrare i quali per una vita intera, hanno saputo esprimere, suscitando la mia ammirazione, impegno, sacrificio, tenacia e fedeltà, ed ho tentato di seguire quella strada, da padre, e questa paternità non mi viene dalla natura ma dal Signore. Ho sbagliato? Credo di avere fatto molti errori. Di questi, sono qui, fra voi, a chiedere scusa. Non mi sono reso conto certamente dell’abisso in cui don Francesco era precipitato, inimmaginabile nei terribili aspetti in cui è venuto alla luce in questi giorni. Ma ancora oggi, conosciuta tutta la storia, Io continuo a soffrire, a sperare ed a pregare per lui. Cercherò di fare quel poco, pochissimo, che ormai è in mio potere fare per aiutarlo ancora. Spero che un giorno, col cuore in mano, lui possa domandare perdono, non a me ma a voi e sarebbe un grande passo. In attesa di questo, so bene quanto grave sia – sotto il profilo della giustizia divina ma anche di quella umana – ciò per cui don Francesco è accusato. Come Diocesi non possiamo fare altro che rimetterci – come ho subito affermato – alle indagini dell’autorità giudiziaria, a cui chiedo di fare piena luce sulla vicenda e di fare presto. Ribadisco anche in questo momento la piena collaborazione con la Magistratura, peraltro avviata già prima del clamore della notizia. Non è stato don Francesco l’unico mio tormento. Accanto a lui nei miei pensieri c’eravate voi con l’amore che gli avete portato, la illimitata fiducia riposta nella sua persona, la sconfinata generosità che non gli negava mai niente, l’impegno comunque profuso nell’interesse della parrocchia. Quante volte gli ho detto: “Francesco ogni prete ha i suoi estimatori e detrattori. Di te tutti mi dicono solo bene. Non tradire questa fiducia”. Ed ho vissuto lacerante il conflitto tra questi due beni che cercavo di tenere uniti e che continuamente confliggevano tra di loro, la cura della pecorella smarrita e quella dell’intero gregge, la comunità parrocchiale. Vi chiedo perdono per non avervi protetto a sufficienza. Sono consapevole che la vostra sofferenza è grandissima e il danno morale che avete subito, più ancora di quello materiale, è incommensurabile. Qui c’era un abisso, appunto, di fronte al quale non si può provare che dolore e raccapriccio per l’abbandono di ogni riferimento valoriale alla dignità della persona, tanto più grave perché a finire nel fondo di quell’abisso è stato, purtroppo, un ministro di Cristo. Dobbiamo intraprendere fin da subito un cammino di redenzione e di riscatto su molteplici piani. Uno dei primi atti compete soprattutto a me e consiste nell’accertamento puntuale del danno economico che la parrocchia ha subito, per quanto questo sarà possibile. È già in corso una dettagliata verifica e nei prossimi giorni tutto il materiale raccolto verrà presentato al sostituto procuratore che si occupa del caso con cui, ripeto, stiamo doverosamente collaborando già da tempo. La Diocesi, d’intesa con la parrocchia, si impegna fin d’ora – sulla base degli esiti di questa verifica – a mettere a disposizione dei poveri della nostra città una somma di denaro congrua a riparare quanto estorto a tante persone, della Castellina e di altre zone della città. Aggiungo un appello a tutti. Il nostro primo dovere, quali discepoli del Signore «Sole di giustizia» – come lo chiama il profeta Malachia – è la trasparenza. Chiedo a tutti, sacerdoti, diaconi, consacrati e laici di aiutarmi in questo dovere. Quando si registrano segnali pericolosi, si viene a conoscenza di situazioni dubbie o sospette, è un dovere cristiano segnalarle. Il Vescovo non è onnisciente e quindi ha bisogno di essere aiutato nel suo ministero di Padre ma anche – come dice la stessa etimologia greca del sostantivo episcopos – di «sorvegliante». Ma oggi sono qui per dirvi, soprattutto, quale Pastore di questa Chiesa che è in Prato, che ci sono, che sono accanto a voi, che la nostra forza è, nonostante tutto il Signore Crocifisso, quel volto continuamente sfigurato dalle nostre mancanze e dai nostri peccati; a dirvi che la nostra forza è, nonostante tutto, essere una comunità. Sarà per questo necessario, con un nuovo parroco ritrovare una vita comunitaria capace di far sentire a tutti l’esperienza autentica che in essa si fa del Signore. È quanto il Vangelo ci presenta stamani. C’è il momento comunitario dell’intimità con il Signore per imparare di nuovo in ogni occasione ad ascoltare il suo insegnamento così difficile a volte da comprendere tanto da suscitare equivoci come quelli vissuti dai discepoli. Egli parla un linguaggio di sacrificio, sofferenza e morte ed essi cercano la propria visibilità ed affermazione. Tutte le volte che nella Chiesa si vive poco la sequela di Cristo ci si accontenta dei ruoli; quando si dimentica di essere costituiti servi, si rischia di sentirci padroni. E il Signore non si stanca dei nostri limiti. Ci rimette intorno a sé, si identifica con un bambino, quello piccolo, fragile, semplice bisognoso di aiuto. Mi preme richiamare un’altra esigenza, indicare un’altra prospettiva. Questa vicenda terribile chiama tutti noi, consacrati e laici insieme, a riflettere con serietà e urgenza anche sul ruolo dei parroci e dei sacerdoti tutti: sulle loro potenzialità, sulle loro difficoltà, sulle loro solitudini, su come stare loro vicini. E sulla costruzione di una Chiesa che chiama tutti noi, nessuno escluso, non solo ad annunciare ma anche a testimoniare una buona novella di cui c’è, nel mondo, grande bisogno. Rimettiamoci di fronte, anzi ai piedi di Gesù come fece Maria, in tutta la nostra povertà, le nostre ferite, paure, dubbi, la rabbia per le ingiustizie registrate ed i torti subiti, per ritrovare fede, aprirci al suo perdono sapendo che egli ci raggiunge sempre anche dentro il nostro male. Siamo certi che Egli non ci abbandona, ci cammina accanto per suscitare pentimento, conversione, forza e coraggio. Molto spesso è proprio questo passaggio che fa passare dalla morte alla vita, e riapre su registri nuovi il nostro percorso. Vi ringrazio non solo della vostra presenza quanto anche della vostra preghiera ed impegno. In questi giorni difficili, quando era probabilmente più semplice rifugiarsi nella propria casa, avete dimostrato di essere comunità, di essere laiche e laici cristiani maturi e consapevoli della responsabilità a cui siete chiamati in questo momento così doloroso. Molti di voi hanno continuato a ritrovarsi per pregare, fare catechismo, custodire la chiesa, vivere la carità e la solidarietà senza clamori, piuttosto con grande slancio e passione. Grazie. La vostra è sempre stata una bella comunità di credenti: è un patrimonio di fede e di impegno di cui, ora, dovete far tesoro. La Chiesa di Prato, ferita, resta però – per la santità feriale e nascosta di tanti laici – la bella Sposa di Cristo, capace di testimoniare l’amore del Signore verso i fratelli, verso tutti. Accanto a pochi che sbagliano, anche gravemente, ci sono tanti sacerdoti che vivono con grande coerenza e con freschezza di fede il loro ministero, spendendosi con generosità e disinteresse totale tra la loro gente. Riprendiamo insieme da qui, sicuri che lo Spirito Santo, fuoco di verità e di carità, e la Madonna Annunziata – cui questa comunità guarda come modello – ci guidano nel cammino che abbiamo davanti.
+ Giovanni Nerbini, Vescovo di Prato