Vita Chiesa

Papa in Slovacchia: ai vescovi, “l’omelia non deve andare oltre i dieci minuti”

“L’omelia non deve andare oltre i 10 minuti”. E’ la raccomandazione del Papa, che nel discorso rivolto ai vescovi slovacchi, dalla cattedrale di Bratislava, ha dedicato un’ampia parte a braccio al tema della predicazione.  “Qualcuno mi ha detto che nell’Evangelii gaudium mi sono fermato troppo sull’omelia, che è uno dei doveri dei nostri tempi”, ha raccontato: “L’omelia non è un sacramento, ma un saramentale: non è una predica, è un’altra cosa”. “Pensiamo ai fedeli che devono sentire omelie di 50 minuti su argomenti che non capiscono, che non li toccano”, l’invito: “Lo dico a sacerdoti e vescovi: pensate bene a come preparare l’omelia, perché ci sia un contatto con la gente, e che prenda ispirazione da un testo biblico. Non deve andare oltre i 10 minuti, perché la gente dopo 8 minuti perde l’attenzione. Un professore di omiletica diceva che un’omelia deve avere una coerenza interna: un’idea, un’immagine e un affetto”. “Che la gente sene vada con un’idea, con un’immagine e con qualcosa che si è mosso nel cuore”, l’esortazione del Papa: “Così predicava Gesù, con le cose concrete ma che la gente capiva”. Le parole del Santo Padre sono state salutate da un caloroso applauso dei presenti. E il Papa ha scherzato, sempre a braccio: “Permettetemi una malignità: l’applauso lo hanno cominciato le suore, che sono le vittime delle nostre omelie. Cercare una falsa pace che ci lascia tranquilli, invece del fuoco del Vangelo che ci inquieta e ci trasforma”.

“Oggi tante volte facciamo cose che dicono i media per noi, e si perde la libertà”, ha poi denunciato, a braccio, il Papa, ai vescovi. “Le sicure cipolle d’Egitto sono più comode delle incognite del deserto”, ha fatto notare Francesco mettendo in guardia da questa tentazione: “Ma Una Chiesa che non lascia spazio all’avventura della libertà, anche nella vita spirituale, rischia di diventare un luogo rigido e chiuso”. I giovani, oggi, per Francesco “non sono attratti da una proposta di fede che non lascia loro libertà interiore, da una Chiesa in cui bisogna pensare tutti allo stesso modo e obbedire ciecamente”. “La libertà è sempre un cammino, a volte faticoso, da rinnovare continuamente, ogni giorno”, ha spiegato il Papa: “Non basta essere liberi esteriormente o nelle strutture della società per esserlo davvero. La libertà chiama in prima persona a essere responsabili delle proprie scelte, a discernere, a portare avanti i processi della vita. E questo è faticoso e ci spaventa. Talvolta è più comodo non lasciarsi provocare dalle situazioni concrete e andare avanti a ripetere il passato, senza metterci il cuore, senza il rischio della scelta: meglio trascinare la vita facendo ciò che altri – magari la massa o l’opinione pubblica – decidono per noi. Questo non va”. “Quasi quasi era meglio prima, almeno avevamo un po’ di cipolle…”, la tentazione del popolo di Israele in cammino nel deserto: “Una grande tentazione: meglio un po’ di cipolle che la fatica e il rischio della libertà”.  “I periodi drammatici della storia del vostro Paese sono un grande insegnamento”, ha osservato Francesco: “quando la libertà è stata ferita, violata e uccisa, l’umanità è stata degradata e si sono abbattute le tempeste della violenza, della coercizione e della privazione dei diritti”. “A volte anche nella Chiesa questa idea può insidiarci”, l’analisi del Papa: “meglio avere tutte le cose predefinite, le leggi da osservare, la sicurezza e l’uniformità, piuttosto che essere cristiani responsabili e adulti, che pensano, interrogano la propria coscienza, si lasciano mettere in discussione. E’ l’inizio della casistica, tutto regolato. Nella vita spirituale ed ecclesiale c’è la tentazione di cercare una falsa pace che ci lascia tranquilli, invece del fuoco del Vangelo che ci inquieta e ci trasforma”.