Vita Chiesa
Giovedì Santo, Papa Francesco: “La Croce non è un danno collaterale”
È partita da una frase che “qualcuno mormorò a bassa voce” – “Non è costui il figlio di Giuseppe?” – e che poi “si viralizzò insidiosamente”, come “una di quelle frasi ambigue che si lasciano cadere di passaggio”, l’omelia del Papa per la Messa del Crisma, concelebrata oggi nella basilica di San Pietro – alla presenza di pochi fedeli a causa delle misure restrittive dovute all’emergenza sanitaria ancora in corso – insieme ai cardinali, ai vescovi, ai superiori della Segreteria di Stato e con i membri del Consiglio presbiteriale della diocesi di Roma. “Se ci facciamo caso – ha fatto notare Francesco a proposito della frase citata, che si può pronunciare “con gioia” oppure “con disprezzo” – si ripete quando gli apostoli, nel giorno di Pentecoste, pieni di Spirito Santo cominciano a predicare il Vangelo. Qualcuno disse: ‘Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei?’. E mentre alcuni accolsero la Parola, altri li presero per ubriachi”. “Queste parole contenevano un germe di violenza che si è scatenata contro Gesù”, ha osservato il Papa a proposito degli eventi che hanno preceduto la crocifissione del Figlio di Dio, che “smascherò la logica maligna che si nascondeva sotto l’apparenza di un semplice pettegolezzo di paese”.
“La parola di Gesù ha il potere di far uscire alla luce ciò che uno porta nel cuore, che di solito è un miscuglio, come il grano e la zizzania. E questo provoca combattimento spirituale”, l’analisi di Francesco: “Vedendo i gesti di misericordia sovrabbondante del Signore e ascoltando le sue beatitudini e i ‘guai a voi!’ del Vangelo, ci si trova obbligati a discernere e a scegliere”, il monito: “Gesù è segno di contraddizione, l’ora dell’annuncio gioioso e l’ora della persecuzione e della Croce vanno insieme. Questo lo vediamo costantemente nel Vangelo”.
“La Croce è presente nella vita del Signore all’inizio del suo ministero e perfino prima della sua nascita”, la tesi del Papa: “è presente già nel primo turbamento di Maria davanti all’annuncio dell’Angelo; è presente nell’insonnia di Giuseppe al sentirsi obbligato ad abbandonare la sua promessa sposa; è presente nella persecuzione di Erode e nei disagi che patisce la Santa Famiglia, uguali a quelle di tante famiglie che devono andare in esilio dalla propria patria”. “Questa realtà ci apre al mistero della Croce vissuta da prima”, ha commentato: “Ci fa comprendere che la Croce non è un fatto a posteriori, occasionale, prodotto da una congiuntura nella vita del Signore. È vero che tutti i crocifissori della storia fanno apparire la Croce come se fosse un danno collaterale, ma non è così: la Croce non dipende dalle circostanze. La grande croce dell’umanità e le nostre piccole croci non dipendono dalle circostanze”.
Gesù “ha abbracciato il tradimento e l’abbandono dei suoi amici già dall’ultima cena, ha accettato la detenzione illegale, il giudizio sommario, la sentenza sproporzionata, la cattiveria senza motivo degli schiaffi e degli sputi gratuiti… Se le circostanze determinassero il potere salvifico della Croce, il Signore non avrebbe abbracciato tutto. Ma quando è stata la sua ora, Egli ha abbracciato la Croce intera. Perché nella Croce non c’è ambiguità! La Croce non si negozia”.
Nella Croce, oltre alle nostre fragilità, c’è “il morso del serpente, il quale, vedendo il crocifisso inerme, lo morde e tenta di avvelenare e screditare tutta la sua opera. Morso che cerca di scandalizzare – questa è l’epoca degli scandali – di immobilizzare e rendere sterile e insignificante ogni servizio e sacrificio d’amore per gli altri”.
Nella Croce di Cristo, c’è “il veleno del maligno che continua a insistere: salva te stesso. E in questo morso, crudele e doloroso, che pretende di essere mortale, appare alla fine il trionfo di Dio”, ha spiegato il Papa. Abbracciare la Croce con Gesù e come lui, “già da prima di andare a predicare, ci permette di discernere e respingere il veleno dello scandalo con cui il demonio cercherà di avvelenarci quando inaspettatamente sopraggiungerà una croce nella nostra vita”.
“Noi però non siamo di quelli che cedono”, è il consiglio che ci dà l’autore della Lettera agli Ebrei: “Noi non ci scandalizziamo, perché non si è scandalizzato Gesù vedendo che il suo lieto annuncio di salvezza ai poveri non risuonava puro, ma in mezzo alle urla e alle minacce di quelli che non volevano udire la sua Parola. Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù dovendo guarire malati e liberare prigionieri in mezzo alle discussioni e alle controversie moralistiche, legalistiche, clericali che suscitava ogni volta che faceva il bene. Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù dovendo dare la vista ai ciechi in mezzo a gente che chiudeva gli occhi per non vedere o guardava dall’altra parte. Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù del fatto che la sua predicazione dell’anno di grazia del Signore – un anno che è la storia intera – abbia provocato uno scandalo pubblico in ciò che oggi occuperebbe appena la terza pagina di un giornale di provincia. E non ci scandalizziamo perché l’annuncio del Vangelo non riceve la sua efficacia dalle nostre parole eloquenti, ma dalla forza della Croce. Dal modo in cui abbracciamo la Croce annunciando il Vangelo – con le opere e, se necessario, con le parole – si manifestano due cose: che le sofferenze procurateci dal Vangelo non sono nostre, ma le sofferenze di Cristo in noi e che non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore e noi siamo servitori a causa di Gesù”.
“Il Signore ci dà sempre quello che chiediamo, ma lo fa nel suo modo divino”, l’insegnamento ricevuto da una suora, in un momento “buio” della vita: “Questo modo implica la croce. Non per masochismo, ma per amore, per amore sino alla fine”.