Mondo

IRAQ, L’ACCUSA DI POWELL ALL’ONU NON CONVINCE

La «lectio magistralis» di Colin Powell in cattedra sul banco delle Nazioni Unite non convince del tutto. Il Segretario di Stato americano, parlando ieri davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu contro Saddam Hussein – “Non gli concedo il beneficio del dubbio e non dovreste nemmeno voi” – non è riuscito a sfondare il muro di ostilità dei principali oppositori della linea «bellica» americana. Russia, Cina e Francia, al termine del durissimo atto d’accusa del capo della diplomazia Usa, ribadiscono che bisogna concedere più tempo agli ispettori. A rincarare la dose, di fronte alla crescente «ineluttabilità» della guerra sostenuta dagli Stati Uniti, arriva la presa di posizione del segretario generale di Palazzo di Vetro: “La guerra non è inevitabile”, ha dichiarato Kofi Annan”, aggiungendo che sarà determinante il rapporto degli ispettori previsto per il prossimo 14 febbraio. Nella sua filippica di qualche ora prima, Powell – rispettando le previsioni – non ha mostrato la «pistola fumante», cioè la prova certa e inequivocabile che il regime di Baghdad nasconda armi di sterminio. Ma per oltre un’ora l’ex generale della Prima Guerra del Golfo ha inanellato una teoria di accuse schiaccianti contro il Raìs. Quasi un segnale di guerra, una chiamata alle armi che ormai lascia poche speranze – per chi ancora le nutrisse – sulle reali intenzioni belliche dell’America. Davanti a un pubblico planetario, nella sua giornata più difficile, Powell mostra i documenti raccolti dalla Cia sulle armi segrete di Saddam, che starebbe addirittura cercando di costruirsi una piccola bomba atomica.

Il «ministro degli esteri» di George W. Bush sciorina fotografie satellitari, registrazioni audio, video (e persino un contenitore con un liquido misterioso). Il dittatore di Baghdad, colui che Bush padre non è riuscito a detronizzare, è ancora al suo posto – incalza Powell – e si è macchiato di palesi e molteplici violazioni della risoluzione 1441: ostruzioni alle ispezioni, minacce agli scienziati in caso di collaborazioni con gli ispettori, missili, armi chimiche, batteriologiche e persino nucleari, rapporti stretti con la rete terroristica di Al Qaida. E in più, qualcosa che il Segretario di Stato Usa definisce “profondamente inquietante” ma che – per ora – non può essere reso pubblico. Il capo della diplomazia statunitense ha rampognato il regime iracheno anche sul rapporto con gli ispettori Onu. “Non sono dei detective”, chiosa Powell, e fa sentire ai presenti alcune registrazioni in cui apparentemente due funzionari di Baghdad cercano di far scomparire delle prove delle armi di distruzione di massa.

Tra le reazioni al lungo atto d’accusa della «colomba» dell’amministrazione Bush (che ormai appare saldamente schierato sul fronte pro-guerra) ve n’è una che sfiora l’incredibile. Arriva proprio da Baghdad, da dove il consigliere di Saddam Hussein, Amer Rashid Saadi, punta il dito contro lo stesso Powell, reo – a suo dire – di avere violato l’articolo 10 della risoluzione 1441 dell’Onu per non avere fornito le informazioni in suo possesso direttamente all’Unmovic (la missione degli ispettori in Iraq) e all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).

Gelida, invece, la reazione dei tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Russia, Cina e Francia), riluttanti ad appiattirsi sulle posizioni degli Stati Uniti. Appoggiati dalla Germania, che a febbraio assumerà la presidenza di turno del massimo organo decisionale dell’Onu, il ministro degli esteri francese, Dominique de Villepin, ha ribadito che la guerra deve rimanere “l’estrema ratio”. Parigi chiede il potenziamento del ruolo degli ispettori per il disarmo, mentre i ministri degli esteri di Russia e Cina ritengono ancora prematura una valutazione finale sull’Iraq. Agli Usa è chiaro che i tre – soprattutto la Francia – potrebbero ricorrere al diritto di veto in sede di voto in Consiglio di sicurezza su un’eventuale opzione militare contro l’Iraq. Mosca e Pechino, dimostratisi in passato più possibilisti verso Washington, per ora insistono a chiedere che il lavoro di verifica degli ispettori Onu non si fermi.

In controtendenza, come previsto, il ministro degli esteri britannico Jack Straw, pronto a spalleggiare Powell quando inchioda Saddam alle proprie responsabilità.Nel giorno del processo contro l’Iraq, nella Sala del Consiglio di sicurezza è stata data la parola anche al principale imputato, rappresentato dall’ambasciatore di Baghdad, Mohammed Aldouri. In chiusura del dibattimento ha respinto tutte le accuse, bollando come menzogne le prove addotte da Powell. L’Iraq non possiede armi di distruzione di massa ed è pronto a fornire le informazioni necessarie, ha ribadito il diplomatico. Risponderemo a tutte le ‘menzogne’ degli Usa, gli ha fatto eco da Baghdad un comunicato del ministro degli esteri di Saddam, Naji Sabri. Il teorema del j’accuse degli Usa ormai è noto, le strategie della ‘difesa’ irachena – contraerea a parte – non ancora. I tempi stringono. Bush vorrebbe emettere la sentenza entro la metà di febbraio. Il processo d’appello per la pace e per i civili iracheni, in questo caso, non è previsto. (di Emiliano Bos)Misna