“Le parole della fede in questo tempo – ha detto don Michele Gianola – hanno bisogno di un’opera di restauro capace di coniugare uno splendore antico e nuovo. Spesso annunciamo la vocazione alla vita nuova come una vita felice. Il rischio, però, è di pensare ad essa come un’esistenza ‘altra’, luminosa, senza difficoltà. La felicità del Vangelo è, invece, la presenza del Signore che attraversa il quotidiano e che è fatta di esperienze buone, faticose, che sono ciò che sostiene tutta l’armonia della vita”. Don Gianola, nel soffermarsi su come la “chiamata” interroghi non solo i giovani ma anche gli adulti “perché ha a che fare con la fecondità”, ha parlato del calo numerico di chi decide di entrare in seminario, in noviziato: “Le vocazioni sono calate negli ultimi dieci anni del 18%, contro un calo della popolazione giovanile dell’8%”. “Però – ha dichiarato – se intrecciamo vocazione e felicità forse nel cuore di ciascuno c’è una sorta di vocazione che è la chiamata alla vita, a spenderla insieme a qualcuno, per amore di qualcuno”. E questo “è ciò che dice il Santo Padre nella Evangelii Gaudium: ‘Io sono una missione in questo mondo’”, ha ricordato don Gianola, che ha così concluso: “Ciascuno di noi ha uno spazio, qualcosa di buono da fare, una vita bella da spendere. In questo senso ciascuno ha quindi una vocazione”.