Vita Chiesa

Pasqua: mons. Pizzaballa (Gerusalemme), «dove si scommette sulla fiducia, lì trionfa il Risorto»

Al Sepolcro, come gli apostoli Pietro e Giovanni, ognuno portando con sé la propria esperienza di «Pasqua, di morte e risurrezione. Abbiamo bisogno di tornare qui per dare concretezza alla Speranza che qui, in questo Luogo, affonda le sue radici». Dalla basilica del santo Sepolcro di Gerusalemme, nel giorno di Pasqua, si è alzata la preghiera dell’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa: «qui oggi, portiamo le fatiche nostre e della nostra Chiesa e chiediamo, preghiamo, imploriamo che avvenga ancora oggi il miracolo». L’omelia dell’amministratore apostolico è stata un continuo richiamo alla speranza, quella che «viene in soccorso ad una fede che si scontra tutti i giorni con una violenza così grande, che davvero ci pare la vittoria del Male», la stessa che «ogni giorno ci spinge ad operare la carità, anche se vediamo bene che è una goccia d’acqua nel deserto. È la speranza di un mondo diverso, secondo il cuore di Dio, che ci aiuta a camminare verso un futuro per noi imprevedibile».

La Speranza che, ha detto mons. Pizzaballa, «non è attesa di un futuro improbabile, ma consapevolezza di un dono che accompagna il presente. È il buon terreno su cui la fede si fonda, su cui la carità diventa testimonianza; senza la speranza la fede muore, e la carità non trova forza per agire. Per comprendere questo mistero è tuttavia prima necessario entrare nel Sepolcro». «Ciascuno di noi – ha spiegato – deve vedere con i propri occhi che la morte non è più lì, che la morte non regna più». Entrare portando dentro «le nostre personali attese» e quelle «della nostra comunità, della nostra Chiesa, della nostra gente». Attese spesso «frustrate, perché sbagliate, legate al risultato finale; attese interessate al successo e al salvataggio delle nostre imprese pastorali, sociali ed economiche, più che alla salvezza delle nostre vite. Portiamo i nostri orizzonti piccoli, il nostro ripiegarci sempre su noi stessi, la difficoltà a creare spazi per gli altri e le loro necessità, il timore che la vita e le attività degli altri ci tolgano qualcosa che invece deve essere solo nostro; la paura di perdere posizioni. Portiamo logiche e attese di potere, di desiderio di centralità a scapito altrui. Portiamo la rassegnazione all’idea che non possa mai accadere qualcosa di nuovo, qualcosa di bello per noi. Portiamo la sfiducia in un cambiamento possibile per la nostra vita, per la nostra gente, per la nostra Chiesa».

«Sogniamo la libertà, anziché conquistarla. Libertà di dire ogni giorno di si a Dio, quasi ricominciando tutto da capo, con lo stesso entusiasmo, valutando la sconfitta di ieri come partenza per l’impegno di oggi e di sempre. Libertà di scegliere ogni giorno da che parte stare, operando il bene secondo il cuore di Dio». Mons. Pizzaballa ha poi rimarcato che «nella vita politica tutto ciò è evidente e visibile agli occhi di tutti. Ma dovremmo smettere di puntare il dito fuori di noi, e guardare agli altri; dobbiamo riconoscere che, si, anche noi, in fondo, non siamo in nulla diversi o esenti da queste ombre di morte e che fatichiamo, come gli altri, a collaborare, condividere e accoglierci». Da qui la preghiera finale: «chiediamo qui la grazia e il dono di un cuore capace di scorgere i segni del risorto, del Vivente in mezzo a noi, di una presenza concreta, consolante, tenera. Solo l’amore può vincere la morte e superare i confini del tempo. Dove si scommette sulla fiducia, lì trionfa il Risorto».