Vita Chiesa

«Papa in Marocco: Messa allo stadio, «odio, divisione e vendetta uccidono l’anima della nostra gente»

«Per lui suo fratello continua ad essere perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore. Nella sua incapacità di partecipare alla festa, non solo non riconosce suo fratello, ma neppure riconosce suo padre. Preferisce l’essere orfano alla fraternità, l’isolamento all’incontro, l’amarezza alla festa». Così il Papa, nell’omelia della messa celebrata, in spagnolo, nel Complesso Sportivo «Principe Moulay Abdellah», davanti a circa 10mila persone di 60 nazionalità, ha commentato la figura del figlio maggiore, al centro della parabola del padre misericordioso narrata da Luca nel suo Vangelo.

Al contrario del padre, che «scosso nelle viscere non aspetta che arrivi a casa ma lo sorprende correndogli incontro», il figlio maggiore «non solo stenta a comprendere e perdonare suo fratello, nemmeno riesce ad accettare di avere un padre capace di perdonare, disposto ad attendere e vegliare perché nessuno rimanga escluso, insomma, un padre capace di sentire compassione». «Sulla soglia di quella casa sembra manifestarsi il mistero della nostra umanità», il commento di Francesco: «da una parte c’era la festa per il figlio ritrovato e, dall’altra, un certo sentimento di tradimento e indignazione per il fatto che si festeggiava il suo ritorno. Da un lato l’ospitalità per colui che aveva sperimentato la miseria e il dolore, che era giunto persino a puzzare e a desiderare di cibarsi di quello che mangiavano i maiali; dall’altro lato l’irritazione e la collera per il fatto di fare spazio a chi non era degno né meritava un tale abbraccio. Così, ancora una volta emerge la tensione che si vive tra la nostra gente e nelle nostre comunità, e persino all’interno di noi stessi. Una tensione che, a partire da Caino e Abele, ci abita e che siamo chiamati a guardare in faccia».

«Chi ha il diritto di rimanere tra di noi, di avere un posto alla nostra tavola e nelle nostre assemblee, nelle nostre preoccupazioni e occupazioni, nelle nostre piazze e città?», la domanda provocatoria del Papa, secondo il quale ancora oggi «sembra che continui a risuonare quella domanda fratricida: sono forse il custode di mio fratello?». «Sulla soglia di quella casa appaiono le divisioni e gli scontri, l’aggressività e i conflitti che percuoteranno sempre le porte dei nostri grandi desideri, delle nostre lotte per la fraternità e perché ogni persona possa sperimentare già da ora la sua condizione e dignità di figlio», ha fatto notare Francesco: «Ma a sua volta, sulla soglia di quella casa brillerà con tutta chiarezza, senza elucubrazioni né scuse che gli tolgano forza, il desiderio del Padre: che tutti i suoi figli prendano parte alla sua gioia; che nessuno viva in condizioni non umane come il suo figlio minore, né nell’orfanezza, nell’isolamento e nell’amarezza come il figlio maggiore. Il suo cuore vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità».

«La tentazione di credere nell’odio e nella vendetta come forme legittime per ottenere giustizia in modo rapido ed efficace» è sempre dietro l’angolo. Però «l’esperienza ci dice che l’odio, la divisione e la vendetta non fanno che uccidere l’anima della nostra gente, avvelenare la speranza dei nostri figli, distruggere e portare via tutto quello che amiamo». Ne è convinto il Papa, che nell’omelia è tornato sul tema della fratellanza, trasversale a tutto il viaggio, come era successo negli Emirati Arabi Uniti. «Solo se siamo capaci ogni giorno di alzare gli occhi al cielo e dire ‘Padre nostro’ potremo entrare in una dinamica che ci permetta di guardare e di osare vivere non come nemici, ma come fratelli», la tesi del Papa per «superare le nostre miopi logiche di divisioni». «Tutto ciò che è mio è tuo», dice il padre al figlio maggiore: «E non si riferisce solo ai beni materiali ma al partecipare del suo stesso amore e della sua compassione». «Questa è la più grande eredità e ricchezza del cristiano», ha spiegato Francesco: «Perché, invece di misurarci o classificarci in base ad una condizione morale, sociale, etnica o religiosa, possiamo riconoscere che esiste un’altra condizione che nessuno potrà cancellare né annientare dal momento che è puro dono: la condizione di figli amati, attesi e festeggiati dal Padre».

«Vi incoraggio e vi incito a continuare a far crescere la cultura della misericordia, una cultura in cui nessuno guardi l’altro con indifferenza né giri lo sguardo quando vede la sua sofferenza». Con questo invito il Papa si è rivolto al piccolo gregge dei cattolici del Marocco. «Continuate a stare vicino ai piccoli e ai poveri, a quelli che sono rifiutati, abbandonati e ignorati, continuate ad essere segno dell’abbraccio e del cuore del Padre», ha raccomandato Francesco, che poco prima aveva esortato a non cadere «nella tentazione di ridurre la nostra appartenenza di figli a una questione di leggi e proibizioni, di doveri e di adempimenti». «La nostra appartenenza e la nostra missione non nasceranno da volontarismi, legalismi, relativismi o integrismi, ma da persone credenti che imploreranno ogni giorno con umiltà e costanza: ‘venga il tuo Regno’», ha spiegato il Papa, esortando a scrivere con la propria vita il «finale aperto» della parabola del padre misericordioso, in cui «vediamo il padre pregare il figlio maggiore di entrare a partecipare alla festa della misericordia», ma l’evangelista «non dice nulla su quale sia stata la decisione che egli prese. Si sarà aggiunto alla festa? Possiamo pensare che questo finale aperto abbia lo scopo che ogni comunità, ciascuno di noi, possa scriverlo con la sua vita, col suo sguardo e il suo atteggiamento verso gli altri». «Voglio ringraziarvi per il modo in cui date testimonianza del vangelo della misericordia in queste terre», l’omaggio di Francesco: «Grazie per gli sforzi compiuti affinché le vostre comunità siano oasi di misericordia».

Il saluto di mons. Lopez Romero, «vogliamo essere un ponte tra musulmani e cristiani». «Grazie per aver voluto incontrare i nostri fratelli migranti». Lo ha detto mons. Cristobal Lopez Romero, arcivescovo di Rabat, salutando il Papa al termine della Messa. «Vogliamo continuare ad essere una Chiesa del buon samaritano, una Chiesa che si slancia verso colui che è caduto e che è ferito per venire in suo soccorso, senza domandargli la ragione del suo viaggio, la sua origine e la sua destinazione». «Grazie per il suo sostengo continuo al dialogo tra musulmani e cristiani, per i suoi sforzi di tradurlo in iniziative concrete, come questo viaggio apostolico», ha proseguito il presule. «Vogliamo essere un ponte tra musulmani e cristiani, tra il Nord e il Sud, tra l’Europa e l’Africa», ha assicurato: «Vogliamo essere costruttori di ponti, e non di muri, né di separazioni di barriere o di frontiere».

Il saluto finale del Papa: «perseverare sulla via del dialogo con i nostri fratelli e sorelle musulmani». «Al termine di questa Eucaristia, desidero nuovamente benedire il Signore che mi ha permesso di compiere questo viaggio per essere, davanti a voi e con voi, servitore della speranza». Sono le parole pronunciate dal Papa nella Messa di congedo dal Marocco, subito prima della benedizione finale. «Ringrazio Sua Maestà il Re Mohammed VI per il suo invito, come pure le autorità e tutte le persone che hanno collaborato per la buona riuscita di questo viaggio» ha proseguito Francesco: «Grazie ai miei fratelli nell’episcopato, gli arcivescovi di Rabat e Tangeri, e anche ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli laici che sono qui in Marocco al servizio della vita della missione della Chiesa. Grazie a voi, cari fratelli e sorelle, per tutto quello che avete fatto per preparare questo viaggio e per tutto ciò che abbiamo potuto condividere grazie alla fede, alla speranza e alla carità». «Con questi sentimenti di gratitudine, desidero incoraggiarvi di nuovo a perseverare sulla via del dialogo con i nostri fratelli e sorelle musulmani e a collaborare anche perché si renda visibile quella fraternità universale che ha la sua fonte in Dio», la consegna del Papa: «Possiate essere qui i servitori della speranza di cui il mondo ha tanto bisogno».

Subito dopo il Santo Padre ha lasciato il Complesso Sportivo «Principe Moulay Abdellah» per trasferirsi in auto all’aeroporto internazionale di Rabat-Salé, luogo della ceri